La notte era calata, portando con sé tanta oscurità e poche luci. Rispecchiava la mia condizione mentale. I dubbi erano come il buio e le certezze fievoli lumi. Quella notte il cielo era ricoperto di nuvole e anche le poche certezze che avevo erano andate a farsi benedire.

Uscii di casa per riossigenare il pensiero. L'aria fredda non mi aiutò. Non pensavo allo strano sogno. Dopo quello che avevo passato, era possibile che la mente avesse dato le dimissioni, dando libero accesso alla psicosi.

Vagai tra i vicoli di Reinbrook, senza meta, con le mani in tasca. Sarei potuto andare al pub di Jim, ma la terza volta in neanche una settimana era troppo. Avevo bisogno di rimanere da solo, rimuginare sull'accaduto e sul lutto.

Clarissa era morta – me lo ripetevo di continuo per spronare la mia mente a secernere tristezza o malinconia, affinché potessi dare una forma al disagio. Ma non riuscivo a non pensare a me stesso. Secondo Leya ero morto. Era stata precisa a raccontare le dinamiche ma, dato che stavo respirando e camminando per il paese, mi sembrava tutto assurdo.

«Sei morto!»

Alzai lo sguardo verso la collina del laboratorio. Oltre le cime appuntite degli abeti c'era un alone bianco, una cupola di luce alogena. La scientifica stava ancora investigando il sito dell'incidente. Avrei potuto intrufolarmi tra di loro per cercare risposte alle mie domande.

Avrei potuto? Che domanda stupida. Pochi minuti dopo ero già in macchina per soddisfare i miei impulsi.

Nascosi la macchina dietro un cespuglio, sul ciglio della strada quattro curve prima del posto di blocco. Il compito di presiedere la sicurezza dell'indagine era stato affidato all'esercito. Il giochetto del badge con loro non avrebbe certamente funzionato. Sarei arrivato al laboratorio tagliando per il bosco, a piedi.

Stavo per addentrarmi, quando la vidi. Il suo fascino avvolto in abiti scuri era inconfondibile e misterioso come il motivo della sua presenza in quel luogo e in quel dato momento. Karyn Arper prese per un sentierino verso la vallata e la vidi scomparire in mezzo agli alberi.

Rimasi immobile. La strada per il laboratorio era nella direzione opposta, risalendo il versante ovest della collina. Ma in quel momento (è l'unica spiegazione che mi seppi dare) la mia mente inciampò in qualche pensiero e le mie gambe cominciarono a seguire Karyn. Scorsi la sua sagoma sfuggente a oltre duecento metri di distanza. Seguii le sue orme lasciate tra le foglie secche, stando attento a non farmi notare. Nel silenzio della collina, ogni fruscio era un sussurro all'orecchio, ogni scricchiolio richiamava l'attenzione facendomi voltare all'indietro per controllare che non ci fosse nessuno alle mie spalle.

Karyn si fermò e io mi nascosi dietro un tronco. Pareva spaesata. Si guardò attorno, cercando di orientarsi in quella vegetazione ripetitiva e scarna. Poi prese a destra.

Continuai a pedinarla, domandandomi dove stesse andando. Sorpassammo un vecchio pozzo abbandonato. Tenevo la distanza, nascondendo il rumore dei passi nel folto fogliame. Ma lo scendere della nebbia mi obbligò ad accorciare la distanza. Più si infittiva, più aumentavo il passo e con esso il rischio di essere scoperto.

Cosa diavolo stai facendo, Jake! Il pensiero cominciò ad ammonirmi. Ti stai comportando come un serial killer che insegue la sua preda. Dannazione, avrà i suoi motivi per fare le passeggiate nel bosco al buio. Un po' stravagante come passatempo, lo so, ma in fondo ognuno ha le sue stranezze, e la tua Jacob, porca miseria, è la più malata. Torna indietro, devi scoprire cosa è successo al laboratorio...

Ma in quell'istante Karyn si fermò di nuovo e mi dovetti nascondere dietro ad un grosso masso.

Avanti, Jacob, non è una cosa che ti riguarda.

La nebbia cominciava ad essere più fitta. Ebbi la percezione che stesse uscendo dalla terra, come fumi di un vulcano sepolto. Intensificava il silenzio e amplificava i rumori. Fu così che colsi il rumore di passi avvicinarsi a Karyn. Passi di più persone. Chiusi gli occhi.

Due persone.

Quando il rumore cessò, mi affacciai e notai due nuove figure in compagnia di Karyn. Erano tutti e tre incappucciati, come membri di una setta. Erano inquietanti. E l'atmosfera spettrale del bosco elevava il disagio. Gli alberi erano spettatori silenti. La nebbia chiudeva il mondo attorno a me, offrendomi come unica realtà quel losco incontro notturno.

Rimasi a spiarli da dietro la roccia. I due sconosciuti annuirono. Non sentivo nessuna parola. Prendevo appunti con gli occhi, come un giornalista inesperto in cerca dello scoop del secolo.

E lo ottenni. La mano di Karyn cominciò a decomporsi, fino a diventare l'arto di uno scheletro marcescente. Le dita secche e ossute. Mi rintanai immediatamente nel mio nascondiglio. La mano sul petto a controllare il battito del cuore. Il respiro spezzato.

«Che cosa diavolo ho appena visto?» L'ho detto o l'ho solo pensato?

Mi riaffacciai per controllare se avessi avuto un illusione ottica – sperai nell'illusione. In quel momento i due sconosciuti presero per la strada dalla quale erano arrivati. Karyn rimase ferma a fissarli. Controllai la mano...

Trattenni un conato di vomito. Era impossibile! Che razza di diavoleria era quella? Il mio cervello mi consigliò di svignarmela all'istante. Non controbattei.

Rifeci il tragitto al contrario, seguendo le mie stesse orme. La nebbia si infittiva, disorientandomi. Dovevo arrivare subito alla macchina, fare dietrofront e tornare a casa. Mi sarei fiondato a letto e avrei dormito fino all'indomani. Una volta riaperti gli occhi, tutto sarebbe tornato alla normalità. Perché era uno stramaledetto incubo – certamente, Jake, certamente. Un incubo molto persistente, ma pur sempre irreale.

Mentre le ansie e i pensieri si fondevano in qualcosa di mostruoso (come il braccio di Karyn?), la nebbia cominciava ad aprirsi al mio passaggio, come ad indicarmi la retta via per uscire da quel labirinto di alberi e foglie. Era un'altra prova a confermare la teoria dell'incubo.

Stavo intravedendo la strada quando qualcosa di appuntito mi perforò la schiena, tra le scapole. Con il respiro spezzato e scosso da un dolore gelido, caddi a peso morto tra il fogliame.

Fu come sprofondare in un letto di schiuma. Fissai le cime degli alberi innalzarsi nel cielo, una corona di denti che mordevano avidamente le nuvole.

Poi vidi Karyn. Si fermò sopra di me a fissarmi, come un predatore procinto a sbranare la sua preda. Chiusi gli occhi, ma non prima di notare il suo viso decomporsi.

NEMESIS: OLTRE IL BUIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora