Esperienze investigative e rimproveri.

220 19 4
                                    

Non fu una mattinata facile, fui presa da mille dubbi. Soprattutto per quello che mi era accaduto e che lui aveva intuito. Non era forse soprannominato lo Smart One?

Non gli avevo detto nulla di quello che mi era successo, difficilmente lo raccontavo, essenzialmente perché non volevo inutili sguardi di compassione e pietà. Eppure lui non aveva insistito, mi aveva lasciato la scelta di raccontargli la verità. Questo lo investiva di un merito enorme.

Dopo la morte dei miei genitori e la violenza che avevo subìto ero stata seguita da uno psicologo per molto tempo. Il percorso fu costellato di attacchi di panico e prese di coscienza, ma sembrava che avessi superato le paure che mi avevano segnato. Ora mi domandavo per quale motivo fossero ritornate prepotentemente a galla.

Dovevo cercare di capire. E si insinuò dentro di me il pensiero che la causa fosse quella prima autopsia su quell'uomo. Tutte le mie ansie si erano risvegliate.

Se non le avessi superate avrei dovuto abbandonare il San Bart e il mio progetto di vita.

Preoccupata, saltai il pranzo, completai gli esami di laboratorio della salma di cui si era occupata Molly.

Ma il mio pensiero si contorceva su quella sensazione che avevo provato, quando Holmes, aveva appoggiato la mano sulla mia schiena. Mi aveva destabilizzato, creandomi un sottile ma piacevole disagio. Non riuscivo a mettere a fuoco cosa provassi per lui. Se fosse dovuto solo al momento o alla paura che avevo provato. Mi resi conto turbata, che mi mancava vederlo trafficare nel suo studio precario.

Mi diedi dell'imbecille, strappai malamente i fogli di appunti sbagliati.

Molly mi avevo concesso il permesso di terminare l'autopsia del caso di omicidio, mentre lei era assente. Mi decisi a riesaminare il corpo del povero uomo rimasto senza nome.

Non mi accorsi del tempo che passava, mi occupai di Hugo, così avevo chiamato la povera salma non lasciando nulla da parte.

Esaminai ogni ferita, cercando di non pensare a papà e alle torture che aveva patito. Hugo svelò tutti gli indizi necessari a trovare i colpevoli dell'aggressione e della sua morte. Sotto le unghie pezzi di pelle mi guidarono al DNA. Piccole tracce ematiche secche e tagli mi fornirono altri dettagli. I corpi dei miei genitori erano riusciti, con i loro indizi, a dare le informazioni che avevano incastrato i colpevoli.

Quei due balordi mandati a punire mio padre, perché non aveva ceduto la terra e le vigne a un socio d'affari persero la testa e li uccisero nel peggiore dei modi. Io ero presente, fui legata con il filo di ferro, che per tentare di liberarmi dalle loro violenze, si conficcò nei polsi e nelle caviglie.

Ma le prove erano poche, e se non fosse stato per un professore di anatomia forense che insegnava nella mia stessa università, l'avrebbero scampata. Fu semplicemente un genio, aveva trovato indizi che erano sfuggiti alla prima indagine. E li incastrò.

Ne rimasi affascinata e decisi d'intraprendere la stessa carriera. Volevo rendere giustizia alle persone morte in modo violento. Prestai maggiore attenzione al povero Hugo.

Notai che aveva le dita sporche di verde, quel verdore che rimaneva attaccato alle mani quando toccavi le foglie dei pomodori maturi. E di certo non era la loro stagione. Lo sapevo bene, perché i miei genitori avevano avuto l'orto più rigoglioso di Siena. Riflettevo su quella terra rimasta sotto alle unghie che aveva quel colore scuro e odore di torba e sulle mani rugose di Hugo. Mani di chi lavorava a contatto con il terreno. Quindi avrebbe potuto lavorare in una serra. Sui reperti e sui vestiti, specialmente sulle suole delle scarpe, aveva della terra rossiccia.

Londra era una città enorme e il corpo era stato trovato in un vicolo, non corrispondeva di certo.

Ricucii in fretta la salma e salutai un'ultima volta Hugo.

Le solitudini elettiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora