°Capitolo 6°

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Improvvisamente, nel preciso istante in cui iniziai a rilassarmi, sentii dei passi farsi sempre più intensi.

La porta si aprì, ci fu un tuono potentissimo e un lampo illuminò la stanza.
Notai una sagoma inizialmente immobile, poi iniziò ad avvicinarsi sempre di più.
Più si avvicinava più la tachicardia si accentuava, il sangue che scorreva nelle vene era come ghiacciato, avevo il cuore in gola, iniziai a tremare, ero terrorizzata, travolta da un profondo senso di ansia.

L'ombra si posizionò accanto alla luce e solo allora vidi la sagoma di una ragazza che stava portando delle legna per alimentare il fuoco.
Si mise esattamente sotto al bagliore della luce.
Una donna poco più grande di me di due o tre anni al massimo.
Bagnata, con qualche cicatrice qua e là e il volto segnato.
Era molto magra, aveva gli occhi di un castano chiaro con venature verdi, i capelli neri e ricci, la pelle molto scura.

Mi fissò con un aria interrogativa e a tratti preoccupata.

Mi alzai di scatto.

Dopo avermi domandato chi fossi mi permise di rimanere ancora un po'.
la ringraziai sentitamente e ci sedemmo entrambe davanti al caminetto.

Quando si tolse il cappotto notai che le cicatrici erano molte più di quante ne immaginassi, ne era piena dalla testa ai piedi.
Le chiesi ingenuamente come se le fosse procurate e lei mutò espressione. Si irrigidì come se le avessi riportato alla mente terribili ricordi.

"Vuoi veramente sentire la mia storia?"

Annuii con un lieve cenno del capo.

"E va bene", affermò sospirando e appoggiandosi comodamente sullo schienale della poltrona.

"Avevo circa quattro anni quando scoppiò la guerra in Nigeria, il paese dove sono nata. I miei genitori non avevano abbastanza soldi per farmi salpare per le Americhe, li avevano impiegati per dare un briciolo di speranza alle mie due sorelline: Malika, di due anni, e Kapera, che aveva qualche mese."

Non credevo alle mie orecchie, non la interruppi perché mi sarebbe piaciuto continuare ad ascoltarla, ma l'emozione era troppo forte.

Tutti i frammenti si unirono come i pezzi di un enorme puzzle.
Anzi.
Pensavo che tutti i frammenti si stessero unendo, ma, presa dall'emozione, non mi resi conto dell'improbabilità della scoperta.

Nella ricorrente scena io avevo due anni e tenevo in braccio una bambina molto più piccola di me.

Amelie mi aveva detto che il suo nome in origine era Kapera e, stando alla storia di Jamila, io ero Malika e Kapera, ovvero Amelie, era la bambina che tenevo fra le braccia in quella ricorrente immagine.
Io, Julia, ero nata in Nigeria con il nome di Malika e poi, quando scoppiò la guerra, i miei genitori biologici diedero a me e ad Amelie, ossia Kapera, la speranza di essere salvate e di vivere una vita migliore qui, negli Stati Uniti.

Povera illusa.
Avrei capito troppo tardi che quella non sarebbe mai potuta essere la realtà.

Nel frattempo Jamila continuava a raccontare, ma io, immersa nei miei pensieri, non riuscivo a concentrarmi. Ero assente, come se fossi entrata in un altro mondo, il lontano mondo del mio passato.
Continuare a farla parlare sarebbe stato scortese, maleducato, così la interruppi.

"Cosa succede?", chiese lei con un espressione confusa.

"Io... Io...", non riuscivo a parlare.

"Tutto bene?"

Non riuscivo ad emettere più di quelli che sembravano incomprensibili balbettii.

"Aspetta, tieni, può aiutarti", disse porgendomi una strana bevanda verdognola.

La assaggiai, non l'avrei mai detto, ma era gustosa.
La buttai giù tutta d'un fiato e iniziai a parlare.

"Ho una scena che ricorre sempre nella mia mente, rappresenta me su una specie di canoa colma di persone con in braccio una bambina di nemmeno un anno, da quel frammento partono tutti i ricordi. E poi, ieri, ho incontrato una ragazza, Amelie. Mi ha rivelato che il suo nome originario era Kapera, ma non ricorda nulla della sua vita prima di entrare in orfanotrofio. Ora mi è tutto chiaro, io sono Malika!".

Lei mi guardò stupita, disorientata, smarrita, socchiuse gli occhi come per focalizzare meglio ciò che aveva davanti, mi scrutò più che attentamente.

Ci stava credendo.

Poi, all'improvviso, mi abbracciò, mi strinse come se avesse ritrovato un affetto perduto, anche se io non ricordavo nulla.

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