Capitolo 29: Una cena piuttosto intima

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I giorni passarono fin troppo velocemente tanto che mi ritrovai a soli cinque giorni dalle nozze.
Dowen House era diventata, nel frattempo, una stazione di posta con valletti e corrieri che andavano e venivano di stanza in stanza.
I duchi del Devonshire avvisarono che non sarebbero giunti a causa di un soggiorno a Bath della duchessa mentre lord Spencer e lord North ci avrebbero deliziato con la loro presenza.

In quella tarda mattinata, mentre consumavamo un'abbondante colazione all'aperto, notammo una carrozza, sorvegliata da un piccolo manipolo di soldati, sopraggiungere.

Quando Edwin e suo padre si presentarono a noi mi andò di traverso il tè. Tutta l'ansia e il nervosismo che sentivo in sua presenza tornarono prepotentemente a farmi stringere lo stomaco. Avevo vissuto nella bambagia fino a quel momento, dove le nozze erano solo ai margini di quei giorni idilliaci.

Dowen baciò la mano della moglie e poi, con un cenno del capo a noi ospiti, si ritirò.

Edwin si intrattenne con noi. «Buongiorno lady Dowen» salutò la matrigna, «e anche a voi lady Verseshire e lady Amelie».

Risposi con un lieve cenno del capo.

«Aggiungete lord Brandon alla lista degli invitati» ci avvisò, prendendo posto accanto a me.

Non era cambiato: il viso pallido e rovinato, gli occhi chiari e leggermente infossati, il corpo dinoccolato. Se ne stava lì seduto con fare svogliato, indifferente.

«Finalmente siete arrivato Edwin. Vi aspettavo già settimane fa» lo rimproverò la Marchesa.

«Avevo delle cose da sistemare».

«Vi siete fatto attendere, vero Amelie?» mi sorrise la nobildonna.

Edwin pose gli occhi su di me e provai la classica sensazione di fastidio notando come il suo sguardo di ghiaccio non si sciogliesse.

«Non dubito dell'importanza delle faccende di lord Berdyshire».

Un valletto interruppe la risposta del Lord portando il vassoio della posta. Tra le lettere ne spiccava una in particolare, decorata con un mazzetto di fiori.
Ebbi un sussulto. Anche Lady Elizabeth si mosse sulla sedia, nervosa; poi prese la lettera e me la infilò tra le pieghe della gonna prima che mia madre o Edwin se ne accorgessero.

«Questo caldo mi ha fatto venire mal di capo. Mi ritirerò nelle mie stanze».

Così l'intero gruppo si separò ed io potei correre in camera e aprire la lettera lontano da occhi indiscreti.
Sapevo già che avrei trovato due sole parole ma non mi persi d'animo: afferrai una candela e, dopo averla accesa, l'avvicinai alla carta che rivelò le scritte nascoste. Percy mi avvisava che anche l'invito di Florence era giunto a destinazione e che la donna lo aveva già incaricato di avvelenare il mio piatto proprio durante la cena di prova. 

"Oltre al danno la beffa di vedermi star male davanti a tutti" pensai mentre un brivido mi scorreva lungo la schiena.

Con la coda dell'occhio notai la porta aprirsi e in fretta nascosi la lettera sotto al cuscino. La Marchesa Dowen mi intimò di tacere premendo il dito sulle labbra e, ad un'ultima occhiata dietro di sé, chiuse la porta a chiave.

«È di miss Harty vero?» indagò.

Annuii e le consegnai il documento.
«Daremo ordini ben precisi per salvaguardare il vostro cibo dovessimo incaricare la cuoca stessa di portare il vostro piatto in tavola» replicò afferrandomi con gentilezza le mani. «Ora dobbiamo parlare con Edwin».

«No» esclamai. «Anche lui è coinvolto»

«Mio figlio non è un mostro, Amelie. Per quanto possa essere innamorato di quella miss Harty dovrà aprire gli occhi. Non può nuocere anche a voi». Il suo tono rigido e severo mi fece quasi acconsentire ma fu solo per un momento.

Intrigo a CorteWhere stories live. Discover now