23. La statua

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WARNING: contenuti religiosi. Non intendo assumere nessuna posizione, qui, nei confronti della religione, che è un aspetto molto marginale di questo romanzo. Quelli che leggerete sono i pensieri di un bambino di dieci anni cresciuto da una madre praticamente atea e da un uomo che crede solo in quello che gli fa comodo. Cosa prova, e perché, verso determinati aspetti del Credo cristiano, a questo punto della storia non necessità di spiegazioni.

Antivigilia di Natale, 1986

«Vediamo chi ha il coraggio di rimanere al buio con quella statua.»

Enrico indica la porta in fondo al corridoio e guarda uno a uno i sei ragazzini seduti con lui sul pavimento polveroso. Manca poco più di un'ora al pranzo con i genitori, e gli animatori li hanno lasciati liberi di gironzolare per il convento. La parte noiosa del ritiro spirituale pre-natalizio è terminata, ora è tempo di giochi, buon cibo, e poi ancora giochi.

Alessio, nonostante sia un bambino piuttosto timido e schivo, si trova bene col gruppo dell'oratorio, molto più che con gli scout. Ora che ha dieci anni (e otto mesi) è tra i più grandi del Secondo Gruppo Bambini e non si sente piccolo e stupido come a scuola. Le medie sono terribili, soprattutto se hai un anno meno dei tuoi compagni e sembri anche più piccolo, se ascolti la stessa musica di tua madre e giochi ancora con i Lego. Peggio di lui sta solo Gerardo, che è grasso, porta occhiali con le lenti spesse un dito e si mette a piangere se non prende "Eccellente".

«Io ce l'ho» risponde, ostentando sicurezza.

«Proviamo dieci minuti per uno. Chi esce prima deve tirarsi giù i pantaloni e mostrare il culo.»

Luca si tira indietro. Marco e Tonino ci stanno. Giovanni e Pietro sono indecisi.

La statua è la riproduzione di un qualche santo, alta un metro e mezzo. L'hanno scoperta la sera prima durante la caccia al tesoro. Sembra una persona vera, soprattutto gli occhi. Luca giura di averla vista sbattere le palpebre e non vuole più averci a che fare. L'hanno trovata buttata su una pila di vecchi banchi di chiesa, tra scatole di ceri e canzonieri liturgici con un dito di polvere sopra, in una stanza piccola e buia.
In un
ripostiglio, praticamente.

In Alessio è ancora vivo il ricordo di quella notte terribile di un paio di settimane prima, ma non ammetterebbe mai di avere paura. Ha una reputazione da difendere, soprattutto ora che è un punto di riferimento per i più piccoli.
E poi si tratta solo di dieci minuti. È sopravvissuto più di otto ore in uno spazio più angusto, al freddo, ferito e impreparato, non morirà per uno stupido gioco.

Enrico si offre di andare per primo. Marco fa partire il cronometro. Allo scadere del tempo, aprono la porta e il ragazzino esce fresco come una rosa, con un sorriso trionfante. Poi tocca a Tonino. Anche lui resiste per dieci minuti. Sembra più provato dell'altro, probabilmente un po' di paura l'ha avuta,  però ce l'ha fatta.

«Ora vado io.»

Alessio è tranquillo. Prova un attimo di sconforto quando la porta si chiude alle sue spalle, la sensazione che lo stomaco abbia preso l'ascensore e gli sia salito in gola per poi tornare al proprio posto, ma non si lascia intimorire. La stanzetta non è poi così buia: c'è una piccola fessura in una delle pareti, da cui filtra la luce del chiostro. E forse così è ancora più inquietante, perché nella penombra si scorgono cose che lui preferirebbe non vedere. In un angolo ci sono un paio di quadri  dai soggetti molto macabri: una donna che viene infilata in quello che sembra un forno e quel tizio legato a un albero, con delle frecce infilate nel corpo, che ha visto anche nel libro di Storia dell'Arte. Sono sicuramente dei Santi, e a lui questa faccenda dei martiri non è mai andata giù. Insomma, possibile che uno si lasci massacrare fino a morirne? Possibile non esistesse un altro modo per testimoniare la loro Fede? E Dio intanto che faceva? Dio padre onnipotente e buono, ha lasciato morire sulla croce il figlio prediletto e tutti gli altri figli?

AlessioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora