Lucciole

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Era il viale quello? Alla mia destra il sambuco, poi i tigli e i ciliegi. Improvviso il richiamo: " Rintiiiii!!! È prontoooo!". Il mio sguardo si spinge verso la fine della salita, incorniciato dagli alberi, il Casone. Mi sembrava di essere la protagonista del romanzo di Daphne du Maurier: quello era il mio Manderley. Poi il rumore sulla ghiaia di sandali che corrono, i saluti: "Ci vediamo dopo pranzo, il primo che scende chiama gli altri". Salgo la scala in legno tutto di un fiato, la porta che sbatte e la voce che si perde all'interno: " Nonna, sono arri....!".
È così.... così reale. Ma io sono ferma nel viale e nello stesso tempo corro sulla ghiaia. Solo nei sogni è possibile. Credo che il sogno sia la cosa più bella e terrificante che sia stata data all'uomo. Quando sogni il tuo passato, rivivi le stesse emozioni, provi le stesse sensazioni, le belle e le brutte. Sarebbe fantastico se prima di andare a dormire si potesse scegliere su un menù che cosa sognare. Apri il "Menù dei sogni" e fai scorrere il dito lungo l'elenco numerato e scegli: numero 4. Quando raccoglievo le balle di fieno con Riccardo. Già, sarebbe bello.
Ora non sono più nel viale, sono vicino alla casa; non mi ricordo di aver camminato, ma sono lì davanti al portone. Sulla destra un enorme cespuglio di ortensie di diverse tonalità di azzurro, tanto amate da mia nonna e poi da mia madre. Il mio sguardo vaga tutt'intorno: l'erba, i pini, il ciliegio, i tigli, il noce e sul fondo un muretto di mattoni rossi, intervallato da quattro panchine in muratura. Dietro un alto dislivello e ancora tigli e poi un enorme prato. Lo sguardo si sposta nuovamente al portone, all'interno l'aria è fresca. Entro. La grande testa di un bufalo con le lunghissime corna è appesa alla parete di destra, le grandi cavità dei bulbi oculari sembrano fissarmi e riconoscermi. Sulla sinistra un tavolino, al centro della parete, e ai lati, due sedie. Vicino alla prima rampa di scale, appoggiato al muro, un baule colorato.
Il luogo cambia nuovamente: il pozzo dietro la casa e, vicino, la fontanella. Quante angurie ha visto calate nella sua pancia quel pozzo! Così diventavano fresche. Sopra, cala i suoi rami un glicine che non è mai fiorito e non fiorirà mai, ma lì accanto l'intenso profumo dei lillà si diffonde tutt'intorno. Dietro il pozzo l'orto e, oltre, il campo da tennis in cemento, delimitato, da una parte, da altissimi pioppi. Più in là ancora i prati che degradano verso la Badia. Dietro ai prati il bosco.
Il mio Manderley.
Quei luoghi avevano visto la mia infanzia e la mia adolescenza; gli alberi avevano ascoltato le mie risate, i miei pianti, il mio canto. Quei luoghi che erano stati i miei, erano stati i luoghi di mia madre. Quei prati, quei boschi, quei tigli erano stati testimoni silenziosi della sua vita e poi della mia. I luoghi hanno una memoria e la conservano imperitura. I luoghi ci ricordano, così come noi li ricordiamo e li sogniamo. Ed io volevo ancora sognare, non volevo svegliarmi. Volevo rimanere in quella sorta di limbo, dove la realtà si mescola al sogno, dove il passato ritorna ad essere presente almeno nelle sensazioni e nelle emozioni. Solo in quel modo potevo rivedere quei luoghi, solamente nel mio inconscio. Nella realtà non ci ero ancora riuscita. Non dopo la morte di mia madre, non dopo la perdita di quei luoghi. Non sarei più entrata nel Casone, non avrei più salito quelle scale fino al nostro appartamento al secondo piano. Era stato un taglio netto. Obbligato. Ne ero stata consapevole da tempo e per questo mi ero preparata. Per lo stesso motivo, non avevo permesso a mio figlio di legarsi a quei luoghi. Durante l'estate, lo portavo dalla nonna per una quindicina di giorni, non c'era tempo per fare amicizie o per legarsi a quei luoghi. Sapevo che un giorno saremmo dovuti andare via e non saremmo più tornati. Non volevo che mio figlio soffrisse. Per lui, col tempo, i ricordi si sarebbero affievoliti e sarebbe rimasto vivido solo il ricordo dell'amata nonna. Per lui. Per me era tutta un'altra storia.
Quella era stata la "Mia Casa", più di quella albisolese e, più ancora, di quella savonese. La casa delle vacanze estive. Finite le scuole, partivo con mia nonna: la macchina carica di valige e borsoni. Pontinvrea. Il Casone. Così si chiamava e si chiama ancora adesso la grande casa che ci accoglieva per tutta l'estate, fino all'inizio della scuola. Lì ho conosciuto il mio primo amore, ho partecipato alla sagra di paese in costume, ho raccolto il fieno e guidato il trattore. Lì, la mia bicicletta diventava, per magia, un destriero spronato da un frustino fatto con il ramo lungo e sottile di un cespuglio di bosso. Lì, sull'altalena appesa al noce, cantavo le canzoni di Battisti e Baglioni, incurante dei vicini. Lì, ho lasciato la mia spensieratezza, quella leggerezza del cuore della quale non sei consapevole se non molti anni dopo, quando la vita ti ha caricato sulle spalle le responsabilità e le preoccupazioni. Credo che la frase "il senno di poi" si possa applicare anche a questo: se noi, mentre viviamo, fossimo pienamente consapevoli di ciò che stiamo vivendo e fossimo in grado di assaporarne tutte le sensazioni, che persone potremmo diventare? Potremmo essere più felici? Potremmo sentirci ripagati dalla vita?per questo motivo esistono la nostalgia e i rimpianti? Desideriamo rivivere certi momenti della nostra vita oppure rimpiangiamo di non averne vissuti altri.
Ogni individuo vive il presente e non pensa al futuro o meglio, sogna un futuro in base all'età che vive in quel momento. È così per tutti, credo, è così per mio figlio. Lui sta vivendo la sua adolescenza, ma non sa che questo periodo della sua vita sarà unico e prezioso. E non sa che verrà il giorno in cui lo ricorderà con nostalgia. Rimpiangerà qualcosa? Forse.
La vita è così: uguale per tutti e diversa per tutti. Ogni individuo è diverso e vive la sua esistenza, ma il ciclo è lo stesso, i meccanismi sono i medesimi per tutti.
Quanti pensieri, quanti ragionamenti, tutti in un breve momento, nel bel mezzo di un sogno. Che mistero la mente umana!!!
Dovevo svegliarmi? Stavo per svegliarmi? Per questo la mia mente sfuggiva alle immagini notturne per perdersi nelle elucubrazioni?
No... aspetta. Una lucciola, due lucciole, tre, quattro... dieci. Di nuovo il viale, immerso nella notte. Noi che torniamo dal paese e, nel buio più completo, contiamo le lucciole. Forse per distrarci dai rumori della notte che non conosciamo e che ci spaventano facendoci urlare e correre a perdifiato, all'improvviso. " Ci vediamo domani, ragazzi. Alle dieci?"
"Sì", in coro.
Un tuono, un altro. Il sogno fugge via. La mente è sveglia. È ancora buio, ma le lucciole sono sparite. Gli occhi riconoscono nella penombra la stanza. Un altro luogo della mia vita di adulta.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 26, 2021 ⏰

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