Vapore

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  Ti darò certezze contro le paure

Per vedere il mondo oltre quelle alture

Non temere nulla io sarò al tuo fianco

Con il mio mantello asciugherò il tuo pianto

E amore mio grande, amore che mi credi

Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi

E resterò al tuo fianco fino a che vorrai

Ti difenderò da tutto, non temere mai



Il fatto che mi impedì di considerare anche quello uno dei giorni più belli della mia vita fu la ripresa del tuo atteggiamento schivo e silenzioso. Scappasti letteralmente dalle mie braccia per uscire dal torrente in cui ci stavamo lavando, facesti di tutto per rivestirti in fretta e furia. Rimasi di stucco, ho sentito come una fitta al cuore mentre i miei muscoli facciali si rifiutavano di ubbidirmi lasciando spalancata la mia bocca. Mi avvicinai a te con calma, non mi andava di mostrare apprensione questa volta, ero quasi in collera non sapendo che diavolo ti fosse preso. Ero ancora nudo, dopo tutto quello che era successo tra noi non pensavo che ti causasse problemi, invece mi ordinasti asciutto di rivestirmi mentre continuavi a voltarmi le spalle. Ero sempre più esterrefatto, ti afferrai con forza un braccio costringendoti a voltarti nella mia direzione, barcollavi, avevi una faccia così pallida da sembrare di cera, tenevi lo sguardo basso e mi sembrò di scorgere un tremito sulle tue labbra, allentai la presa sospirando ma senza lasciarti. Ti chiesi spiegazioni dandoti un piccolo strattone ma eri ostinato a non degnarmi di una risposta. Ti lasciai andare, la mia mano cadde come morta lungo il fianco mentre ti osservavo infagottarti di nuovo nel tuo mantello. Sentii come se il cuore stesse sprofondando sotto terra mentre mi chiedevo quale fosse il vero motivo per cui ti eri concesso a me. Tra le mille supposizioni che attraversarono la mia testa due mi sembravano quelle più plausibili, la prima era che tu non avessi la mente completamente lucida per colpa della febbre che ti aveva divorato l'intera giornata precedente, ma la seconda e ancora più terribile, era che ciò fosse stato un mero ringraziamento per le cure che ti avevo prestato e per averti lavato i vestiti. Io, invece, ti amavo. Avevo trovato divino fare l'amore con te, stringere e accarezzare il tuo corpo perfetto, così sottile in confronto al mio da ispirarmi tenerezza. L'estrema acuità di tutti i miei sensi, mi aveva fatto letteralmente perdere la testa nei profumi e nei sapori del tuo corpo, quel giorno capii che non esiste nessuno al mondo che li abbia inebrianti come i tuoi. Scossi la testa, non era da te una cosa del genere, illudermi così solo per riconoscenza, non poteva essere possibile, i tuoi occhi neri, eternamente velati dalla tristezza, erano soliti gridare intensamente una ricerca d'affetto che solo a me era concesso vedere, era reale ed ero certo di non essermi sbagliato, stavo diventando matto immaginando. Fui riscosso dalla tua voce che mi stava di nuovo parlando di lavoro, era calma come sempre, ma aveva come una nota straziante nascosta bene in profondità, mi stavi ricordando che non avevano ancora portato a temine la missione di catturare Naruto. Mentre mi rivestivo pensavo al fatto che eravamo stati interrotti, avevamo saputo che Naruto si trovava in realtà in compagnia del suo maestro Jiraiya in una città poco distante, erano in cerca di Tsunade la quale sarebbe stata candidata per il ruolo di Hokage. Fosse stato per te saresti partito immediatamente, ma io ti ricordai che ogni tanto è necessario mangiare. Ci incamminammo in direzione di un piccolo paesino circa a metà strada dalla nostra meta, più il posto era ridotto più potevamo passare inosservati, anche se quello stupido travestimento non poteva non essere notato. Il mio cuore era pesante come una pietra, ti lanciavo di tanto in tanto un'occhiata di sottecchi, barcollavi con lo sguardo spento, stavolta era diverso rispetto al giorno prima, ti avevo visto così ormai troppe volte, assonnato e con la voce impastata, se avevi bisogno di farmaci perché nascondermelo con tanta tenacia? Che tu avessi dei problemi di salute ormai era evidente, nonostante mi trattassi sempre come uno sprovveduto che non si accorge di niente, non avevi fatto i conti con i miei sensi molto sviluppati, molto tempo prima che la tua malattia fosse così evidente io avevo già iniziato a sentire qualcosa che non andava, l'odore della tua pelle e del tuo respiro, cose impercettibili, ma al mio istinto non poteva sfuggire nulla, solo che inizialmente avevo attribuito la cosa al martirio che ti portavi dentro pensando che poteva aver finito con lo sconvolgere il tuo fisico. Nel tentativo di portarti rispetto ero finito troppo nel silenzio anche io, eccessivamente con le mani in mano ed intento ad autocovicermi. Avevo l'impressione che tu abusassi anche un po' di queste misteriose pillole, ciononostante ti lasciavo fare, magari riuscivano un poco a lenire la tua pena anche dell'anima. Dal momento che era ancora piuttosto presto, nel piccolissimo ristorante dove decidemmo di fermarci non c'era anima viva. Normalmente in quelle circostante sarei stato letteralmente morto di fame, ma il mio morale era talmente basso da avermi fatto perdere l'appetito. Si trattava di un posto molto semplice, una piccola stanza alle cui pareti marroncine erano appesi solo quattro miseri fogli riportanti il menù. Entrando dalla porta a vetri, io avrei voluto prendere posto ad uno dei cinque tavoli nello spazio subito dietro, mi stavo dirigendo verso uno da due posti quando tu mi hai superato e, senza degnarmi di uno sguardo, ti sei posizionato seduto al bancone su uno degli sgabelli dall'imbottitura rossa. Stavo già scostando la sedia dal tavolo che avrei voluto per posizionarmi, il tuo atteggiamento mi congelò per un secondo in quella posizione, era evidente che volevi evitare di sederti di fronte a me e che preferivi darmi il fianco, guardarmi negli occhi ormai per te era una cosa da escludere a priori. Mi avvicinai lentamente guardando le tue esili spalle curve con il cuore di nuovo in frantumi. Sedutomi alla tua sinistra, ordinai all'anziano cameriere in divisa bianca con un fazzoletto sulla testa dello stesso colore, qualcosa di cui vado matto, gamberoni alla griglia, sperando di riprendere un poco il desiderio di mettere qualcosa nello stomaco. Tu fosti servito velocemente dal momento che avevi chiesto solo tre onigiri e un bicchiere di tè verde, mi ignoravi al punto che iniziasti a mangiare senza aspettare che io ricevessi il mio piatto, tuttavia lo facevi così lentamente, che quando servirono me non avevi ancora finito il primo pezzo. Avevo notato anche questo, ultimamente per te era diventato uno sforzo immane mandare giù del cibo. Io da bere non avevo potuto resistere alla voglia di prendere del vino bianco, solitamente non approvavi che io bevessi alcolici durante le missioni, ma quella volta non ero degno neanche di un rimprovero, non sai quanto mi fece star male, ero arrivato al punto da preferire una tua ramanzina piuttosto che il tuo silenzio, mi chiedevo chi diavolo ti credevi di essere per avermi cambiato così, finendo per mancare di rispetto addirittura a me stesso. Mettendo qualcosa nello stomaco notai che riprendesti un po' di colore, ci feci caso, naturalmente, come facevo caso a tutto ciò che ti riguardava, bastò questo a farmi sentire un poco sollevato e a farmi finire più volentieri ciò che avevo davanti. Il vino mi aveva sollevato l'umore, ti guardavo, mi assalì di nuovo la voglia di accarezzare quella testa che si vedeva appena, naturalmente dovetti trattenermi. Non ti sei voluto fermare un minuto di più al tempo che impiegasti per mangiare, dovetti solo ringraziare la tua lentezza se per un po' avevamo smesso di marciare. Sapevamo esattamente dove si trovava Naruto, appena arrivati in quella città ci siamo diretti immediatamente nell'albergo in cui alloggiava con Jiraiya, ci introducemmo all'interno passando attraverso una finestra. Avemmo la fortuna di trovare il biondino da solo, il suo maestro non c'era, conoscendolo mi parve una cosa normale, questo pensiero mi fece quasi scappare una risata. Andasti dritto come un fuso a spalancare la porta della stanza di Naruto, egli uscì, si fermò davanti a te con la bocca spalancata e gli occhi azzurri sgranati. Furono attimi interminabili, ebbi la netta sensazione che la fronte di Naruto fosse bagnata di sudore non solo per la semplice paura, era ancora giovane all'epoca ma mi sembrò di percepire la fibrillazione del suo cuore e il tremito delle sue gambe, solo che si trattava di qualcosa di molto diverso dal terrore, i miei sensi sopraffini non potevano ingannarmi. Mi avevi detto che lui non ti aveva mai conosciuto ma non so perché in quel momento fui certo del contrario, aveva piantato gli occhi chiari nei tuoi, non sapeva quanto rischiava? Iniziava a infastidirmi quella sua insolenza di fissare in quel modo un possessore di Sharingan pericoloso come il tuo. Cercai di stemperare la situazione facendo una battuta, commentando la scelta di aver sigillato Kurama dentro un moccioso simile. Niente, stavate ancora fermi occhi negli occhi. Naruto venne avanti uscendo dalla stanza e costringendoti a fare un passo indietro dal momento che stavi piantato sulla porta, continuavate a fissarvi senza dire niente e la cosa mi stava facendo innervosire sul serio. Io elemosinavo un tuo sguardo per intere giornate mentre quel biondino aveva tutta la tua attenzione in modo spontaneo, percepivo le vostre emozioni, entrambe molto intense. Era forse lui la causa della ripresa del tuo atteggiamento freddo e distaccato? Dovevo interrompere quella situazione, magari se ti avessi manifestato di nuovo la mia ammirazione e il mio riguardo avresti capito che io valevo di più di quel ragazzino, così affermai di non avere approvato il modo in cui ti era passato davanti senza alcun rispetto e che, se mi davi il tuo consenso, lo avrei fatto volentieri a fettine. Stavo per farlo, sul serio, quel biondino mi risultava veramente fastidioso, se non fossi stato interrotto dall'arrivo di un altro ragazzo, a occhio e croce della stessa età di Naruto. Ero meravigliato, appariva pressoché identico a te, infatti tu confermasti che trattava di tuo fratello Sasuke. Ero stato convinto fino a quel momento che tu avessi eliminato anche lui, un altro dei tuoi misteri, o probabilmente, ti vergognavi di ammettere addirittura di avere amato tuo fratello, ma perché volevi fingere di non avere sentimenti ad ogni costo? Sasuke cercò di colpirti con il Mille Falchi, lo smontasti subito senza neanche muoverti, ti bastò alzare una mano per afferrare la sua rompendogli il polso, mi addoloravo spesso rendendomi conto di come tu avessi sprecato il tuo considerevole talento e la tua vita. Io e Samehada ci occupammo di Naruto, la mia fedele spadona gli aveva appena prosciugato tutto il Chakra riducendolo all'impotenza, tremando e fremendo di piacere, quando giunse il suo maestro Jiraiya, sembrava ubriaco e si teneva una ragazza svenuta su una spalla, non sai che sforzo feci per non ridere davanti a una scena così demenziale non potevo credere che questo fosse uno dei tre Ninja Leggendari, si stava realizzando la promessa che ti avevo fatto quel giorno sul pontile, cioè che avrei fatto di tutto perché io e te insieme ci potessimo divertire il più possibile. Più la situazione si scaldava e più la ritenevo stimolante, lo sai come sono fatto. Sasuke si scagliò ancora contro di te gridando di pretendere la sua vendetta e la sua volontà di distruggerti, io e Samehada tenevamo a bada Naruto e Jiraiya, avevi affermato che si trattava di una faccenda tra te e tuo fratello e che non gradivi intromissioni, così feci per l'ennesima volta quello che mi avevi chiesto. Hai letteralmente fracassato di botte Sasuke per poi usare il tuo Sharingan Ipnotico su di lui, apparisti infinitamente spietato in quel momento, ma solo in seguito ho capito che era per il suo bene, per donargli amore lo costringevi ad odiarti, era per questo motivo che hai distrutto la tua vita, in fondo già allora sapevo che un cuore lo avevi, così grande che spesso eri tu il primo a perderlo di vista, come vedi, non mi è sfuggito mai nulla. Mi distrassi un attimo vedendo Naruto disubbidire all'ordine che gli avevo dato di non intervenire nella vostra questione, questo permise a Jiraiya di imprigionarci nella pancia di uno dei suoi rospi. Fummo circondati immediatamente da una prigione di carne viscida e gommosa, non riuscivo a muovermi, i miei piedi ci affondavano dentro, quella specie di gomma da masticare gigante stava risucchiando persino Samehada e non riuscivo a tirarla via, ti confesso che la paura e il nervosismo stavano iniziando ad assalirmi, cercavo di tenerli a bada ma alla fine venne tutto a galla tanto da esternarti la mia preoccupazione sul fatto che quella roba fosse più veloce di noi. Tu, al contrario, rimanesti calmo come d'abitudine, ti mettersi a correre ordinandomi di seguirti, ubbidii muovendomi con molta difficoltà sebbene non sapessi per niente cosa tu avessi intenzione di fare. Giunti alla fine della parete di vidi usare una delle tue migliori mosse per la prima volta, Amaterasu, la fiamma nera inestinguibile capace di non mollare mai il suo obiettivo finché non lo smaterializza completamente. Inutile spiegare fino a che punto fossi sbalordito. Avremmo potuto sconfiggerli facilmente, stavo scoprendo gradualmente che razza di prodigio eri, ma anche quella volta hai voluto battere in ritirata spiegandomi di essere molto stanco. Sul momento rimasi un po' sorpreso e deluso, poi pensai che forse avevi temuto di fare del male a Sasuke, ma guardando il tuo volto imperlato di sudore capii che stavi di nuovo male, ormai la situazione precipitava ogni volta che usavi le tue abilità. In quel momento presi la decisione di accollarmi completamente tutti i nostri lavori futuri, era vero che ti restava poco tempo ma volevo prolungarlo il più possibile. Sì, desideravo questo esclusivamente per stare con te. Ti indussi a fermare la nostra fuga trattenendoti con un braccio intorno alla vita, come sempre misurando la mia forza per timore di farti male. L'apprensione per te mi stritolò di nuovo in una morsa, mi evitavi ma esistevano priorità più importanti del mio orgoglio, decisi di ferirlo abbassandomi per offrirti la mia disponibilità a trasportarti per alleviarti un poco la fatica, non hai opposto la minima resistenza, anzi, mi sei salito in braccio ti tua spontanea volontà accoccolandoti addosso al mio petto. La gioia datami da questo gesto fu subito offuscata dal fatto che mi escludesti dal tuo mondo chiudendo gli occhi e nascondendo le tue mani dentro le maniche del tuo mantello e incrociandotele in grembo, le avrei volute strette al collo! Questi contrasti mi dilaniavano, non sapevo come comportarmi, ripensavo a come vi eravate guardati tu e Naruto, ormai era un chiodo fisso nella mia mente che nessuno al mondo avrebbe potuto sfilare. Ti baciai le tue folte ciglia abbassate, le fossette che avevi sul viso sembravano ancora più scavate del solito, ti ho dato ancora un bacio sulla la fronte e la punta del tuo naso dalla forma così armoniosa, sfiorandoli appena, niente, nessuna reazione da parte tua, solo un lieve movimento delle labbra, le catturai per un istante con le mie avvertendo il loro velluto. Il mio cuore si strinse raggrinzendosi letteralmente non appena scoprii che eri molto più leggero di Samehada, un misero fagotto freddo, un'immagine ancora più impressionante del giorno del tuo reclutamento in cui ti vidi nascosto sotto le coperte. Decisamente questa volta avevi bisogno di riposare in un vero letto e non nei nostri soliti giacigli di fortuna, così mi diressi verso il paesino dove avevamo pranzato quello stesso giorno totalmente in silenzio. Ti posai a terra non appena giunti sul luogo, già bastavano i nostri abiti ad attirare fin troppo l'attenzione. Facesti fare e decidere tutto a me senza protestare, optai per la peggior catapecchia capitatami sotto mano, una minuscola locanda dai muri sbrecciati e con qualche persiana sfondata, avevamo bisogno di riposare e nulla più, ma intanto sopirai di penosa rassegnazione pensando a questo e alla tua indifferenza. Era ormai sera quando entrammo nella miserabile stanzetta che ci era stata assegnata con il muro scrostato anche all'interno, l'intonaco bianco lasciava spazio ad uno verdognolo sottostante, il comò, i cui cassetti soqquadravano chiudendosi male, aveva lo specchio macchiato di umidità, il pavimento di mattonelle grezze e sbeccate, di colore grigio con delle chiazze nere irregolari. Al muro era appeso un quadretto di vetro con una semplice cornice marrone mostrante la pianta dell'edificio per svignarsela in caso d'incendio. Mi venne da ridere, eravamo appena fuggiti dalla pancia di un rospo che stava per digerirci! Non esisteva nessun'altra decorazione, soltanto delle tendine verdi sbiadite a velare una finestra piena di spifferi con il telaio dalla vernice sbucciata, sempre dello stesso colore. Decisi di andarmi a fare una doccia mentre tu ti stavi togliendo finalmente il mantello. Al bagno si accedeva attraverso una porta di legno così sottile che sarebbe bastato il pugno di un bambino per sfondarla. Il lavandino piccolissimo senza niente per coprire il collo d'oca, lo specchio opaco e l'unica finestra era quasi addossata al soffitto, inaccessibile e stretta, le piastrelle di un rosa sbiadito conferivano alla stanza un'atmosfera surreale. A mala pena riuscii ad entrale nella cabina della doccia con gli angoli neri di muffa, non appena aprii il rubinetto le vecchie tubature emisero un sibilo sinistro tanto che se fosse sgorgata anche della ruggine non mi sarei meravigliato affatto. Mi rilassavo avvolto dal tepore mentre osservavo le nuvole di vapore alzarsi. L'acqua sapeva anche volare quando qualcuno le dava la possibilità, per farlo aveva bisogno di calore, se ci riusciva nessuno più poteva impedirle di salire libera nel cielo senza l'obbligo di avere una forma. Io ero fatto di acqua, ero il mare stesso, lo comandavo, io per volare avevo bisogno del tuo fuoco, avevo bisogno di te e del tuo amore. Mi veniva da piangere mentre mi insaponavo, ero sempre più sicuro che non avrei potuto sopravvivere alla tua perdita, non avrei mai più trovato nessuno capace di farmi volare. Lasciai scendere le lacrime a confondersi con il getto d'acqua, chissà, magari anche loro un giorno avrebbero trovato qualcuno capace di trasformale in vapore rendendole libere. Ci avevano messo a disposizione solo tre piccolissimi flaconcini di sapone, per il mio corpo enorme a regola sarebbero serviti tutti quanti, pensai a lasciarne uno e mezzo per te. Mi asciugai tornando nudo nella stanza, ti eri già spogliato e coricato nel letto matrimoniale. Mi avvicinai lentamente e silenzioso, eri esausto e respiravi piano tenendo gli occhi chiusi, i tuoi capelli, sebbene nemmeno allora li avessi sciolti, invadevano il cuscino e parte del tuo viso, ti tirai bene le coperte sul petto nudo e candido premendole delicatamente con una mano. Ero disposto a portati del cibo in camera ma mi feci promettere che lo avresti mangiato, hai annuito senza aprire gli occhi, ti ho baciato piano la testa prima di infilarmi i soliti vestiti per scendere, l'indomani avremmo dovuto lavarli assolutamente. Dovevo mettere qualcosa sotto i denti anche io, la piccola saletta del ristorante aveva sempre quello stile da catapecchia, buia, le pareti ingiallite dall'umido. Ormai fuori era notte e l'illuminazione artificiale era veramente debole, per fortuna che la mia vista era acutissima come tutti gli altri miei sensi. Una di quelle piante che vivono bene all'interno perché disturbate da qualunque evento atmosferico o temperatura, era posizionata a un lato della porta d'ingresso, sulla parete alla mia destra erano appese alcune maschere simili a quella che avevi anche tu quando eri ancora un ANBU, solo che non erano esattamente quelle, ci assomigliavano soltanto, i ricordi mi diedero una piccola stilettata. Mentre aspettavo il pollo arrosto che avevo ordinato seduto ad un piccolo tavolo rotondo su una sedia durissima dalla quale sembrava che dovessero staccarsi delle schegge da un momento all'altro per infilarsi nella mia carne, mi accorsi che attiravo gli sguardi dei pochissimi commensali che si trovavano nella stanza, potevo comprendere, non capita tutti i giorni un colosso con i tratti da squalo e la pelle blu, vestito in modo stravagante e con una spada gigantesca appresso, sì, Samehada era con me. Uno di questi tizi che stavano a fissarmi aveva proprio uno sguardo strano, gli occhi dal taglio asimmetrico, la barba ispida e brizzolata, masticava lentamente con l'unto che gli colava sulle labbra, non riusciva a staccarmi quell'espressione inquietante di dosso. Anche quando mi alzai dal tavolo dopo aver finito di mangiare, i suoi occhi marroni e resi opachi dall'età continuarono a seguirmi come se fosse stato un robot programmato solo per questo. Non ho potuto fare a meno di chiedermi fino a che punto potessero spingersi il Rinnegan di Pain e le mimetizzazioni di Zetsu. Presi per te una scodella di brodo affrettandomi a portartelo finché caldo. Dovetti scuoterti e tirarti a sedere di peso per farti mangiare, mi dispiacque anche ma era necessario, hai finito tutto sia pure con una lentezza estenuante, non potevo staccarti gli occhi dosso, avevo bisogno di volare finché mi era concesso di farlo. So che mandasti tutto giù unicamente per farmi contento nonostante non dicesti una parola, ti aiutai a rimetterti sdraiato accarezzandoti per qualche minuto i capelli volevo tranquillizzarti che da quel momento in poi non ti avrei più disturbato. Mi spogliai completamente per coricarmi accanto a te, ti abbracciai piano facendoti appoggiare la testa sulla mia spalla, eri ormai scivolato nel sonno ma ti accoccolasti istintivamente contro di me, ciò mi fece rasserenare, desumevo che il tuo tenermi a distanza non era reale, la verità era che anche tu mi volevi bene a avevi bisogno di qualcuno che ti donasse affetto al tuo fianco, ero sicuro che stavi riconoscendo in me quella persona. La tua fragilità mi ferì di nuovo, avvertivo il dolore a cui ti aveva costretto la vita persino nel tuo respiro che in quel momento mi sfiorava la pelle del collo. Percepivo il battito del tuo cuore molto irregolare, sembrava fermarsi per qualche istante per poi ripartire improvvisamente con una specie di tuffo, intuivo che si stava stancando di vivere schiacciato dal tormento, ti strinsi ancora più a me, non sapevo cos'altro fare a parte volerti bene, mi arresi anche io al torpore.

Come l'acqua imparò a volareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora