10. Schiaccio il tasto REC e il tasto PLAY

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POV: Manuel

Sono passati due giorni dalla litigata con Simone: da allora, il silenzio più totale. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso: gli ho urlato in faccia le cose peggiori che potessi dirgli. Ho ancora impressa nella mente l'immagine della sua espressione delusa e ferita: sono stato uno stronzo. Ho sputato veleno addosso all'unica persona che ha mai mostrato interesse e affetto nei miei confronti, oltre a mia madre. Che vigliacco! Dopo essermi reso conto di averlo ferito, non ho nemmeno avuto il coraggio di dirgli che mi ero pentito delle mie parole. La verità è che non sono riuscito a trattenermi oltre: sono scoppiato. Lui, dal canto suo, continuava ad insistere: dopo la festa, all'ospedale, fuori scuola e, infine, nella mia officina. Ciò che è successo è stato uno sbaglio, non ha significato niente. Sicuro? Sussurra una vocina fastidiosa. Certo che sono sicuro. Ero ubriaco, confuso, devastato da tutto ciò che mi era capitato; è stato un momento di debolezza: il problema è che ho sbagliato i modi nel farglielo capire.

Entro in classe con fare svogliato: istintivamente volgo lo sguardo verso il banco di Simone. È il terzo giorno che non viene a scuola. Non posso nascondere un accenno di preoccupazione: dopo avermi detto di aver preso il mio posto da Sbarra, sono corso dal professore per cercare di porre rimedio alla situazione. E ora trascorro le ore con l'incessante terrore che possa capitargli qualcosa di brutto.

Mi metto a sedere, prendendomi il viso tra le mani.

- "Manuel?"

La voce di Laura mi fa scattare.

- "Tutto ok?"

Annuisco.

Lei, non troppo convinta, continua:

- "Senti, domani sera faccio una festa per il mio compleanno, questo è il tuo invito"

Mi passo un biglietto rosa con indirizzo e orario.

- "Laura, ma questo indirizzo..."

- "Sì, è casa di Simone. Il padre ha accettato di lasciarcela libera per quella sera", asserì con un sorriso.

Annuisco e la ringrazio, poi torno con lo sguardo sul banco, con la mente assalita da vari pensieri: devo parlare con Simone.

La giornata passa in modo lento e piatto: appena rientro a casa, mi metto a lavorare in officina per distrarmi un po'.

Alle 21:12, dopo una cena fugace, mi butto sul letto: crollo poco dopo tra le braccia di Morfeo.

Sabato, ore 7:15: la sveglia suona. Vorrei rimandarla all'infinito, ma non posso.
- "Con chi parlavi stanotte?", esordisce mia madre, entrando nella stanza senza bussare.

- "Buongiorno, e grazie per aver bussato", rispondo stizzito.

- "Buongiorno, ecco il caffè" dice, porgendomi la tazzina, "ancora non hai risposto alla mia domanda, però."

- "A ma', co' chi dovrei aver parlato? Co' nessuno, stavo a dormì!"

Un'espressione stupita e scettica le compare sul volto: "Strano, avrei giurato di averti sentito pronunciare il nome di Simone stanotte...più di una volta."

Strabuzzo gli occhi e quasi mi strozzo col caffè. Tossisco per un paio di volte, il tempo per riprendermi e ricompormi. "Manuel, tutto bene?" Annuisco.

- "Boh, forse avrò parlato nel sonno."

- "E come mai chiamavi proprio Simone?"

- "Perché me sta a fa' diventa' matto da sveglio."

- "In che senso?"

- "A ma', er terzo grado de prima mattina no, dai. Me devo sbriga' pe' anna' a scola", concludo la conversazione, alzandomi dal letto e fiondandomi in bagno per docciarmi.

Ce mancava solo che me veniva a rompe er cazzo nei sogni.

L'acqua calda mi spinge a rilassare i muscoli: il getto picchia forte sulla pelle tra la nuca e le scapole. Provo a fare uno sforzo per ricordarmi cosa stessi sognando. L'unica scena che mi torna alla mente riguarda una figura alta, con i capelli corvini e di spalle: sta camminando e man mano si sta allontanando da me. Vorrei raggiungerlo ma non posso, le mie gambe sono ancorate al terreno come se stessero affondando nelle sabbie mobili: posso solo urlare, gridare il suo nome, nella speranza che si giri. Simone, Simone, Simone: la figura non si volterà.

Poco più tardi, in classe vedo i miei compagni in fibrillazione per la festa di stasera di Laura. Per la prima volta, sentirò di non essere il benvenuto: Chicca mi odia; Matteo non vedeva l'ora che mi levassi dalle palle per avere via libera con Chicca; Luna mi odia perché, una volta fuori dai giochi, Matteo, il ragazzo di cui è innamorata, ha potuto dichiararsi a Chicca. E Laura mi odierebbe se solo sapesse cosa è successo tra me e il suo ex, per il quale ancora prova qualcosa. Forse sarebbe meglio non andare: anche Simone preferirebbe non vedermi.

Finita la giornata di scuola, mi dirigo verso l'uscita, quando vengo intercettato dal professore di filosofia. "Manuel, posso parlarti un momento?"

Il cuore inizia a martellarmi nel petto con foga: sarà successo qualcosa a Simone per colpa mia? Ci accostiamo alla finestra del corridoio, mentre l'orda di gente, tra studenti e insegnanti, cammina e parla in modo confusionario.

- "So che stasera ci sarà una festa a casa mia."

Annuisco.

- "E so anche che tu stai pensando di non venire."

Ma come cazzo fa? Legge nel pensiero?

Deglutisco.

- "Perché ha questa impressione?"

- "Perché ti ho osservato oggi in classe: mentre tutti parlavano della festa con grande entusiasmo, tu eri in disparte, quasi come se ti desse fastidio l'idea di dover partecipare".

- "Credo solo di non essere il benvenuto" ammetto "Forse non tutti gradiranno la mia presenza."

Dante mi scruta con sguardo apprensivo.

- "Ascoltami bene" inizia "Se stasera ci sarà anche solo una persona a cui farà piacere la tua partecipazione, hai l'obbligo morale di presentarti alla festa".

- "E questo il problema professo'...non credo che esista qualcuno che mi voglia tra i piedi. Ho litigato con tutti: Chicca, Matteo... Simone". L'ultimo nome lo dico come un sussurro: trattengo una risata al pensiero che nel pronunciarlo, le labbra si contorcono quasi a formare la smorfia del bacio.

- "Manuel, io sono stato tanti anni lontano da mio figlio: ho le mie colpe e mi sono preso ogni responsabilità. Ma se c'è una cosa che ho capito in queste settimane in merito a Simone è che, per quanto possiate scannarvi, alla fine non riuscite mai a odiarvi".

- "Questa volta ho esagerato, prof. Gli ho detto delle cose orribili, e non sono stato capace di rimangiarmele".

- "L'ultima volta che hai detto così, è bastata una videochiamata per farlo tornare da Glasgow", ammicca, "Io ho orecchie e occhi ovunque, Manuel".

- "Va bene, provo a parlarci", mi arrendo alla fine.

Ci salutiamo e io corro a casa.

Sono le 14:30. Tra cinque ore inizia la festa: dovrò prepararmi e andare da lui prima per risolvere la questione. Speriamo de non fa' altre cazzate.

Non c'è un finale. ~ SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora