Prologo

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Le 5:15.
Per un attimo mi soffermai sui numeri a led che lampeggiavano sulla sveglia cromata, poggiata sul tavolo di fronte a me accanto al vecchio portatile spento, libri sparsi e una Iquos non mia. Certo che era davvero brutta, quella sveglia. Entrata in uno di qui meravigliosi negozi che vendono cose totalmente inutili ma assolutamente indispensabili, la vidi e, senza rifletterci troppo su, la comprai. Costo: 2 euro. Non avrei dato a quest'oggetto più di due mesi di vita; adesso invece testimone silenzioso dell'ennesimo dramma della mia vita.
L'ultima volta che mi ritrovai ancora sveglia fino a quest'ora fu per il ventinovesimo compleanno di Andrea.
Ottobre 2017. Si fotteva dal freddo.
"Ventinove anni si festeggiano una volta sola!" aveva esclamato il perfido, davanti allo sguardo dubbioso del suo neo innamorato, Fabio.
Fabio fa qualcosa. Lo supplicai con lo sguardo e un esplicito segno del capo.
"Ma non siamo un po' troppo cresciuti per una festa di compleanno?"
"Sciocchezze" liquido Andrea con un sorriso criminale "Ci divertiremo tantissimo, sarà come tornare di nuovo diciottenni!"
"Oh cielo" mi sfuggì.
Io e Andrea dividevamo da poco il costosissimo appartamento in centro città. In realtà, pur dividendo le spese, con il mio attuale e nuovo impiego, riuscivo a stento a contribuire economicamente. Ma Andrea mi accolse facendosi carico delle spese superflue. Un gatto randagio prima o poi ha bisogno di una casa dove rientrare la sera, aveva detto.
"Cos'hai da lamentarti tu?" disse puntandomi contro la tazza di decaffeinato che teneva in mano. "Sei la più giovane qui, dovresti morire dalla voglia di vivere serate folli!"
"Andrea" iniziai rassegnata "Prima di tutto, ne ho abbastanza di serate folli e, seconda cosa, non riesci a bere nemmeno un caffè vero, figuriamoci fumare erba e bere per festeggiare un compleanno deprimente".
"Tu sei deprimente" tagliò corto lui.
Presi una sigaretta, portandola alle labbra l'accesi rassegnata.
Alle 5:15 di quel venerdì di quasi quattro anni fa, ero sveglia. Seduta nel pavimento del bagno al piano di sotto di una casa che non mi apparteneva. L'odore di fumo, sudore e vomito permeava la stanza. Presi il pacchetto di Rothmans dalla tasca posteriore dei jeans. Pacchetto ormai quasi del tutto distrutto, dato che mi ero beatamente dimenticata di averlo e avevo finito per sedermi a terra, senza pensare.
"Cosa cazzo credi di fare?!"
Dovetti sforzarmi per non ridere.
"Mi annoio" lagnai. In realtà non mi divertivo così tanto da mesi.
Andrea sollevò a testa dal water e mi guardò sconvolto e disperato. Aveva la fronte madida di sudore, i capelli gli si erano appiccicati tutti sul collo umido. Le occhiaie e il colorito verde rancido gli conferivano un aspetto deliziosamente ridicolo. Chissà, magari sarebbe svenuto con la testa dentro il cesso dei suoi genitori. Presi in mano lo smartphone pronta ad immortalare l'evento.
Sorrisi.
"Demonio" sibilò socchiudendo gli occhi. O forse stava collassando.
Ci fissammo. Andrea scoppiò a ridere ed io con lui. Poi si fece improvvisamente serio, rifondò la testa nel water e vomitò per la sesta volta.
Ero felice.
Ricordo con tanta lucidità solo gli eventi che ho vissuto sentendomi estremamente felice. O disperata.
Il rumore del pacchetto di sigarette lanciato sul tavolo mi riportò alla realtà.
Dalla serranda abbassata filtrava una pallida luce. Troppo timida per invadere la stanza.
Il mio silenzioso compagno notturno portò la sigaretta alla bocca e la fugace fiamma dell'accendino gli illuminò il volto. Troppo velocemente per poterne cogliere le emozioni, i pensieri.
Il fumo invase la stanza.
Mi rannicchiai ancora di più, seduta sul letto, con le braccia che avvolgevano le mie gambe, portate al petto, come fossero uno scudo.
Un colpevole vigliacco che tenta di parare il colpo.
Non riuscivo nemmeno a guardarlo. Avrei voluto tirarlo a me, oltrepassare quella trincea immaginaria e portarlo da questa parte del mondo.
Ero una vigliacca è lui lo sentiva, forse fiutava perfino la paura nell'aria.
Non si sedette. Rimase poggiato sul tavolo senza dire altro da troppo tempo.
Fumando.
Fumando le mie sigarette.
In realtà non fu nemmeno una mia scelta, quella specifica marca di morte formato tascabile. In un'altra vita, nemmeno il veleno fui in grado di scegliere da sola.
Decisi di alzare lo sguardo. Cercai disperatamente di riuscire ad abituare i miei occhi al buio, trasformami un piccolo gufo che scruta nella notte.
Il mio telefono iniziò a vibrare e io m'irrigidì.
Quasi fosse fisicamente connesso al dispositivo alzò di scatto lo sguardo. Nonostante il buio ne colsi ogni singola sfumatura d'odio.
"Vi lascio soli" accusò.
E così dicendo, raccolse la felpa dal pavimento e lasciò la stanza.


Una semplice storiaWhere stories live. Discover now