CHAPTER XVI

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LAUREN'S POV

''Ci vediamo il prossimo venerdì!'' disse la donna con un sorriso porgendomi la mano.

''Grazie, dottoressa'' risposi allo stesso modo stringendogliela per poi prendere il casco dalla sedia ed andare verso la porta.

''Ah, Lauren?'' la voce della mia terapeuta mi richiamò così mi girai per metà verso la sua figura.

''Stai facendo un ottimo lavoro, sono veramente fiera di te!'' disse sinceramente, io annuì sorridendo per poi farle un cenno di saluto ed uscire dallo studio. Erano ormai mesi che quell'appuntamento fisso del venerdì era per me l'unica boccata d'aria della settimana, a volte pesante ed estremamente lunga. Per la prima volta, da quando avevo deciso di intraprendere quel percorso, ero orgogliosa dei miei progressi, forse perché vedevo la mia vita decisamente migliorata, e non solo psicologicamente parlando. Ero sempre stata scettica sulla terapia e i suoi cosiddetti benefici, aprirmi con qualcuno di estraneo non mi piaceva particolarmente come idea ma quando senti il mondo schiacciarti e sei nel pieno dei vent'anni, provi di tutto per salvarti. Andare in terapia, iniziare questo cammino verso l'interno di me, era stato forse il primo vero atto di amor proprio che io avessi mai fatto in tutta la mia vita. E così, qualcosa che al principio non era altro che un modo per uscirne, era diventato un atto di cura, il mio atto di cura verso me stessa. Mentre camminavo verso il parcheggio e l'afa estiva m'impregnava la pelle, squillò il cellulare al quale poco prima avevo tolto la modalità aereo.

''Hey!'' dissi semplicemente, quasi contenta.

''Hey a te... begli occhi! Come vanno le cose?'' mi chiese la donna dall'altro lato dello schermo.

''Non mi lamento mai, lo sai... tu piuttosto, novità?'' chiesi accostandomi al sedile della mia nuova moto.

''Non proprio, solo... ho tantissima ansia e penso che potrei letteralmente svenire da un momento all'altro...'' risi piano all'affermazione, era sempre così esagerata.

''Ancora non sei entrata? Dovrò fare due chiacchiere con Devon... non è possibile che siano così lenti!'' dissi ancora ridendo, lei sbuffò divertita.

''Cambiando discorso... hai organizzato quella cosa con le tue amiche?'' chiese poi, istintivamente portai la mano al volto.

''Cazzo... mi son dimenticata!'' dissi di rimando e la donna rise forte dicendomi di essere unica.

''Dai, ora faccio il giro di telefonate... ma non dovrebbero esserci problemi siccome sono tutte a NYC'' dissi, lei non parlò per qualche secondo.

''Sei sicura di... ecco, di volerglielo dire?'' disse poi con tono basso.

''Certo che ne sono sicura, perché non dovrei?'' risposi con fare rassicurante, ma lo pensavo davvero.

''Non so... non è imbarazzante per te? Insomma... c'è la tua ex fra le tue amiche...'' farfugliò qualcosa ma la bloccai prima che si spingesse troppo oltre.

''Kate, perché dovrebbe imbarazzarmi portare la mia ragazza a conoscere le mie amiche? E per quanto riguarda Camila... devi stare tranquilla, sai che deve sposarsi fra meno di un mese e ti ho raccontato il nostro rapporto attuale, credimi non ci sarà nulla di imbarazzante né per me, né tantomeno per le ragazze'' dissi e lei parve rassicurata ma non disse nulla.

''E poi... è passato quasi un mese, quando vuoi che glielo dica?'' dissi ridendo per smorzare l'aria e lei rise con me.

''Va bene allora, ci sentiamo dopo? Credo che tocchi quasi a me...'' disse poi, io annuì anche se non poteva vedermi.

''Certo, a dopo... mi raccomando, fa' vedere a quel pallone gonfiato di Devon che le modelle inviate da Jauregui sono le migliori'' risposi provocando una risatina per poi concludere la telefonata salutandola. Salì in sella e, dopo aver infilato il casco, mi diressi verso la Wall Street. Feci slalom tra le macchine, il traffico era infinito e ringraziai mentalmente la mia scelta mattutina di prendere la moto per sbrigare le commissioni, data chiaramente dall'ondata di calore che invadeva l'aria. Queste settimane erano state molto scorrevoli, il lavoro pareva pesare di meno o forse era solo la freschezza mista a leggerezza portata da questa nuova presenza nella mia vita, che poi, in fin dei conti, tanto nuova non era. Sorrisi pensando alla donna che oramai condivideva, soltanto con la fotografia, lo spazio nei miei pensieri. Ripensai a come si fosse evoluta rapidamente la situazione, a quanto questo mi facesse bene. Benedissi, dentro di me, il giorno in cui a quel famoso bar dell'angolo la vidi. Ci guardammo da lontano, per un po'. Poi mi avvicinai, del resto – pensai in quel momento – sarebbe stato brutto non salutarla, così le offrì un drink, e due, e tre. All'inizio non seppi se fosse per l'alcool, ma la sua presenza mi tranquillizzava, la sua persona mi intrigava e, per quella che forse fu la prima volta, osservai la sua disarmante bellezza. Forse erano i panni che vestiva o forse ero stata io, troppo rivolta altrove, a non averla mai notata. E fu in quel momento che distrattamente le mie labbra pronunciarono un secco ''caspita, sei bellissima'', inutile dire che avvampò e, ammisi, trovai quella cosa tenera ma al contempo soddisfacente, segno del fatto che avessi colto pensando nascondesse una leggera cotta per me. Le proposi poi di tentare il concorso che uno dei miei clienti mi aveva detto di aver in corso, ma dovettero passare settimane prima che prendesse seriamente in considerazione l'idea di farlo. Del resto era comprensibile, non capita tutti i giorni di voler valutare il fatto di lasciare il proprio lavoro per buttarsi a capofitto in qualcosa di incerto, anche se hai la stoffa giusta per farlo. Comunque sia, iniziammo a vederci, spesso, sempre. Più la conoscevo e più mi sembrava di non averla mai vista per davvero, più mi lasciava entrare nel suo mondo e più capivo la magnificenza di quella donna, il suo coraggio e la sua forza. Sembrerà incredibile ed impossibile ma in quelle quattro settimane capì che non mi bastavano più le uscite, non mi bastava più solo il sesso, io volevo quella donna nella mia vita perché era diventata come luce per me. Così avevamo iniziato una relazione e, ammisi a me stessa, andava anche fin troppo bene, l'unico problema era che non l'avevo ancora detto alle mie amiche. Non sapevo bene perché, la verità era che in quel mese le avevo viste tutte più volte e ad ogni incontro avevo sempre in mente di raccontar loro di questa donna, di quanto ci stessi bene e quanto mi facesse bene, ma l'occasione non mi sembrava mai quella giusta. Sentivo sempre che ci fosse qualcosa ad impedirlo ma con la mia terapeuta alla fine eravamo arrivate alla conclusione che fosse solo un mio grande blocco mentale e, per citarla, un 'senso di dovere nei confronti di qualcuno che il senso del dovere non lo conosce affatto'. Arrivai finalmente allo studio e dopo aver fatto vari controlli al piano stampa, andai in ufficio a sbrigare le ultime cose prima di chiusura, diciamo che il grande l'avevo svolto fortunatamente in mattinata quindi mi restavano solo pratiche da firmare e un progetto da revisionare per poi inviare il nuovo via mail al cliente. Tra una cosa e l'altra, notai sull'orologio del mio laptop che si fossero fatte le sei, così staccai per un secondo e feci quel giro di telefonate che avrei dovuto forse fare prima, data l'ora.

DESTINYWhere stories live. Discover now