Pt. 4

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Fu così che la settimana passó senza che io prendessi decisioni, mi aspettavo sinceramente che Susie non sarebbe stata ancora a lungo, ed'ebbi ragione.
Quando il quarto anno di superiori cominciò la mia classe si riunì per dare l'arrivederci alla studentessa straniera. La vidi con un mazzo di fiori in mano, circondata da tutte quelle persone che pendevano sulle sue parole. Non avevo il coraggio di entrare in classe  e fare i conti con il suo sguardo, mi limitai a sbirciare da fuori alla porta di tanto in tanto. E quando uscì dalla classe Susie mi notó per qualche istante, con occhi che possibilmente volevano dirmi qualcosa, ma poi si voltó di scatto e cominciò a camminare velocemente verso l'uscita.
Non aveva più l'uniforme addosso, era tornata nei suoi abiti firmati e i suoi gioielli di Swarovski. Per un'attimo quell'incontro mi diede la nausea, immaginai in tantissimi modi come sarebbe andata a finire ma quello forse era il peggiore di sempre.
Avrei potuto dirle che l'amavo, avrei potuto prenderla e baciarla, avrei potuto non farmi prendere dal panico quel giorno maledetto.
Abbassai lo sguardo 'Tanto non piacerei ai suoi genitori' pensai sconfitta, ma era solo un modo per auto convincermi.
E mentre ero assorta tra i miei pensieri essi furono interrotti da un avvenimento che rimase alla storia nella mia scuola e nel resto della città.
D'improvviso la porta d'ingresso si spalancó e vidi una pattuglia di poliziotti fare irruzione nella scuola. Gli studenti di tutte le classi uscirno rumorosamente dalle porte incuriositi dalla scena. Vidi due poliziotti entrare in una classe di Quinto per poi uscire trascinadosi un ragazzo dietro.
Lo riconobbi subito, quello era Satoru che cercava di liberarsi e dare spiegazioni tra le mille urla.
Poi mi ricordai del piccolo segreto che mi aveva rivelato. Lui, a causa di un dolore cronico causato da una malattia, si comprava piccole quantità di Cannabis, una delle due droghe più illecite in Giappone oltre la metanfetamina.
Sul momento capii che in qualche modo era stato scoperto, poi però collegai i puntini. la gente nella scuola mi aveva visto più volte con lui e se la polizia mi avesse interrogato potrebbe aver scoperto che fumavo tabacco, e che avevo solo ancora sedici anni.
Stavo per avere un'altro attacco di panico quando la mia mente urlò al mio cuore di stare fottutamente calmo.
Nel caos che si era creato riuscii a sgattaiolare fuori dalla scuola e cominciare a correre come se la mia vita dipendesse da quello, il che aveva un fondo di verità.
Se mi avessero scoperto, io e mia madre saremmo finite nei guai più assurdi, e non ebbi neanche tempo di sentirmi in colpa per Satoru, povera anima, pensavo solamente 'Spero che nessuno mi abbia visto scappare, lo spero con tutta me stessa.'
Appena arrivata a casa sbirciai mia madre dormire profondamente sul divano. In punta di piedi salii le scale e frugai nei miei cassetti. Non avevo tanto tabacco ma anche solo averlo sarebbe stata una prova della mia colpevolezza. Mi misi una giacca e uscii fuori di casa con la busta nelle tasche. Quando lo lanciai nel fiume con tutta la mia forza mi accasciai immediatamente subito dopo sull'erba.
Ero esausta, sudata, il cuore mi andava a mille, non potevo avere tregua. E così avevo saltato il primo giorno di scuola, ero quasi finita nei casini, e, guardando le nuvole muoversi lentamente in quel cielo cristallino, pensai che non ero neanche riuscita a salutare degnamente Susie.
Qualche lenta lacrima grondó dal mio viso, non potevo assolutamente avere tregua.
Nelle settimane successive un poliziotto mi interrogó, dopo aver trovato una singola persona, di fatti, diversi studenti sospetti furono interrogati, e le voci sul mio conto giravano ma per mancanza di prove fui rilasciata. Debbi quindi fare i conti soltanto con la persona con cui vivevo in casa.
La condizione mentale di mia madre, dopo aver saputo la notizia, peggioró, oltre a tirarmi diversi schiaffi mi urló in faccia "Tu da questa casa non esci più, fino a quando non lo dico io!"
Finii per dirle senza sensibilità "è per colpa tua che papà ci ha lasciato..."
Ci causammo tanto dolore a vicenda per più di due anni. L'unica tregua per me era vedere Aoi di tanto in tanto ma le cose cambiarono presto.
Al mio diciassettesimo compleanno Aoi mi venne a trovare a casa. Aveva due pacchi regalo in mano e mi diede per primo quello più voluminoso.
Strappai la carta, sentii che anche quella piccola emozione di quel momento era meglio del nulla che provavo in quel periodo.
Nel pacco c'era il regalo di Aoi, un vecchio cappello che faceva parte di un uniforme di suo padre. Ricordo che da piccoli partecipammo insieme ad'una parata e lui indossó quella stessa uniforme. Ricordo la scena di io che lo imploravo di regalarmi il suo cappello perché mi piaceva davvero tanto, e in quel momento lo avevo in mano. Sorrisi ispezionadolo bene, il materiale, le cuciture, le rifiniture, era stato conservato alla perfezione.
Gli diedi un bacio sulla guancia. "Grazie Aoi... Davvero, non dovevi."
"Non è nulla... Ah! C'era anche questo nella cassetta postale, sta scritto che è per te."
Era un pacchettino leggermente più piccolo. Quando lo scartai tirai fuori una collana con un pendente azzurro, simile ad'una lacrima. Ispezionai la scatolo e lessi sul lato che veniva dall'America.
"Susie..." Sussurrai. Era una pietra di acquamarina e da quando la ricevetti non smisi mai di portarla, persino sotto la mia uniforme, così Susie mi era sempre vicino al cuore.
Aoi ad'un certo punto mi prese le mani. "Tra poco mi diplomo e mi trasferisco." mi disse guardandomi negli occhi "Ci vedremo molto meno..." distolse lo sguardo. "..." "... Niente, stai al sicuro, non metterti nei guai." si avvicinó e mi diede un bacio sulla fronte per poi alzarsi. "Ciao." chiuse la porta dietro di sé lasciandomi nel vuoto.
Era codardo ma non potevo biasimarlo, e di per certo non riusciva a mostrare i propri sentimenti a nessuno, un po per carattere un po per il metodo rigido in cui era stato cresciuto, poi pensai ancora e conclusi che si sarebbe persino vergognato a stare con me in modo romantico. Ebbi un momento che spero tutti passino, il momento della vita in cui pensi 'Nessuno mi vuole o mi capisce'.
Quella notte tenendomi i miei due regali il più vicino possibile feci un sogno molto strano.
Ero sdraiata in un campo di Gigli e una voce mi chiamava, la riconobbi subito, era 'lei' che mi diceva che ero molto carina. L'ultima cosa che mi ricordo del sogno è che 'Lei' mi accarezzava dolcemente i capelli e mi chiedeva di cercarla.
'Cercami'.
Quella parola mi risuonó nella mente, dalla fase REM sino al mio risveglio. Mi accorsi che dovevo fuggire da quella casa e da quella vita, semmai l'avessi voluta trovare, semmai avessi voluto la felicità, anche a costo di gettare via i miei legami di sangue.

SarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora