XXVII

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Lucifero e Kiral ci aspettavano alla fine del corridoio, erano entrambi in silenzio e nessuno di loro pareva essere intenzionato a parlarsi. Per conto mio vomitarsi addosso l'odio e la repulsione era il primo passo per cominciare a conversare civilmente, si erano già distrutti una volta e ora che avevano una famiglia entrambi avrebbero dosato meglio le loro azioni. A quel tempo pensavano a se stessi e basta.

«I miei Caduti resteranno qui a proteggere il perimetro. Ho fatto un giro, prima, e ho visto le rune di protezione. È una tecnica stupida, se le trovassero...» iniziò l'uomo e Kiral roteò gli occhi.

«Lo so, pensavo che dopo una guerra nessuno ne avrebbe fatto un'altra, almeno non così presto. Chi mai attaccherebbe dei ragazzi indifesi?» domandò retorica e lo puntò. «Oh, ma certo!»

«Primadonna» ringhiò sottovoce.

«Ione!» urlai per interromperli e il Demone comparve dal pavimento, salendo come un'ombra molliccia. Aileen emise un trillo intimidito. «Portaci in un posto. Puoi farlo?»

«Certo, sono un traghettatore.»

I traghettatori erano una categoria di Demoni tra i più antichi, sotto le spoglie del grande Caronte guidavano le anime tra i mondi e li conducevano nei loro gironi infernali. Con il passare dei millenni si erano dispersi come sabbia e Ione era uno dei pochi rimasti.

«Puoi leggermi la mente per vedere le coordinate esatte» proposi e lui si tirò indietro, spiazzato.

«Gliela spaccheresti, As. Sei troppo forte per lui. La tua magia ti difenderebbe in modo automatico» mi spiegò Kiral. «Portaci a Central Park. È un buon posto.»

Il portale magico ci agguantò tutti prima di poterci preparare e ci trascinò dentro con impeto, sballottandoci da ogni parte. Ci fece cadere in mezzo a Central Park e feci un enorme sforzo fisico per non vomitare l'anima. Eravamo finiti in mezzo alla vegetazione vicino allo zoo, c'era puzza di pelo di animale, sterco e fogliame. Il fusorario ci aveva fatto guadagnare le ore di luce perse ad organizzare il rifugio e New York albeggiava. Vedevo a malapena il velo chiaro provenire da est, dai grattacieli che nascondevano il mondo al di là di quella metropoli. Il Delacorte batté le cinque del mattino e mi osservai intorno per orientarmi. Eravamo molto distanti dal liceo West, volare era fuori discussione e prendere un taxi era ridicolo. Rischiare di finire in una tana di mostri era un inconveniente comune nelle metropoli e potevo finalmente vedere e sentire gli ululati e i versi sconosciuti al mondo umano: nel parco giravano ombre e creaturine buffe, si nascondevano sotto le barche e nelle cortecce degli alberi. Le più pericolose vivevano sotto la città, nelle fogne, in attesa della preda.

«Odio le città, puzzano e sono piene di umani» si lamentò Lucifero, sentendo nell'aria odore di metallo e sporcizia.

«Sono città. È ovvio che ci siano umani!» sbottò Kiral.

New York era sporca, le strade erano intasate di spazzatura lanciata a caso e a volte i cestini dell'immondizia venivano lasciati in uno stato pietoso per giorni. Le mia fortuna era di essere cresciuto in un bel quartiere dove, a parte qualche ratto morto sotto le macchine, l'olezzo era dimezzato. In altre aree più affollate il sudore della gente e l'inquinamento facevano soffocare.

Aileen si guardò in giro, ammirando la città che si intravedeva dalle fronde degli alberi, i grattacieli spuntavano come spilli e le luci delle auto, dei negozi e dei lampioni illuminavano ogni quartiere. A quell'ora i taxi erano nel pieno delle loro attività e alcuni pendolari assonnati camminavano svelti nel parco.

La aiutai a uscire dai cespugli e lei osservò con occhi brillanti l'entrata chiusa del Central Park Zoo. «Di qua» dissi agli altri, vedendoli in difficoltà tra la terra, le radici e i rovi. «Dobbiamo uscire sulla 5th Avenue e andare verso sud.»

La leggenda di Kiral - Il cupido di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora