Questione di chimica

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«Chicca?» Simone lo ripete per la seconda volta - non perché crede che la ragazza non lo abbia sentito, dato che è pressoché certo che l'abbia fatto; più che altro è per rendersi conto di ciò che è accaduto

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«Chicca?» Simone lo ripete per la seconda volta - non perché crede che la ragazza non lo abbia sentito, dato che è pressoché certo che l'abbia fatto; più che altro è per rendersi conto di ciò che è accaduto.

Di quel che sta ancora accadendo.

Dalla parte opposta, Chicca pare sorpresa quanto lui di vederlo lì - come se non fosse nella sua cucina, nel suo appartamento.

Insomma, dove dovrebbe essere?

«Oh! Simó...» borbotta e incrocia le braccia al petto, abbassando lo sguardo. «Che— Che ce fai sveglio a quest'ora?».

«Ho la sveglia alle sei un quarto ogni mattina da quando avevo sedici anni».

«Beh, sono le sei e dieci adesso».

Quella puntualizzazione fa innervosire ulteriormente Simone. Non è stupido, sa trarre le conclusioni da piccoli o grandi indizi: la sua migliore amica è mezza nuda, nel suo appartamento con indosso una maglietta del nuovo coinquilino.

Non esiste equazione più semplice.

Strabuzza gli occhi. Indietreggia fino a potersi appoggiare con la parte bassa della schiena al bordo del ripiano della cucina; per la prima volta non sta lì a fissare la caffettiera mentre l'acqua va in ebollizione, con uno straccio in mano per paura degli schizzi.

Ecco, forse un po' rischia pure di perdere l'equilibrio.

Non ha manco idea di come sentirsi o come si dovrebbe sentire: di certo non ha diritto di veto sulle frequentazioni di Chicca, né su quelle di Manuel che è un perfetto sconosciuto. Però qualcosa lo infastidisce comunque, gli puntella il petto al pari di una lama affilata di un coltello che rischia di graffiarlo.

Chicca sembra capirlo bene: lo conosce, con pregi e difetti - più difetti, ma sorvola - per cui «Abbiamo bevuto un po' troppo ieri, poi ce siamo messi a parlà e—» prova a spiegare.

Tuttavia, Simone la frena subito, corrucciando le labbra in una smorfia e «E così hai pensato di rotolarti nel suo letto in mutande?» trilla.

Chicca inarca un sopracciglio. Alza le mani, in cenno di finta resa. «Okay, te volevo spiegà, però se fai l'acido, te dico de farte i cazzi tuoi e basta».

«Non sto facendo l'acido!».

«Te sta uscì er fumo dalle orecchie» la ragazza gli fa notare. Scuote il capo, esausta. «Senti, me vesto e vado a casa mia a famme 'na doccia. Scrivimi quando te sei calmato».

Simone vorrebbe replicare ancora. Anzi, no, vorrebbe urlare. Lui, che di solito la pazienza sì, la perde, però mantiene una facciata perfetta, senza crepe.

È difficile che sbotti. Si nasconde spesso dietro al comportamento passivo-aggressivo.

Ciò nonostante, in quel momento, un grido vorrebbe sul serio cacciarlo.

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Si sbilancia appena in avanti, giusto per riuscire a serrare i pugni lungo i fianchi tanto da rischiare di farsi male con le unghie nei palmi. Schiude le labbra per dire qualcosa e non sa quanto sia passato, perde la concezione del tempo mentre nell'aria risuona il borbottio del caffè che sta uscendo e il tonfo della porta d'ingresso che viene chiusa.

Ecco, perfetto.

Simone fa un casino poiché non ha contato e monitorato i minuti, pertanto la bevanda calda che ha messo in preparazione sborda e si riversa tutta sul piano in acciaio dei fornelli.

Si affretta a spegnere il gas - tanto ormai il danno è fatto. «Cazzo!» gli sfugge una imprecazione.

«Wo, un principe!».

Quella voce non dovrebbe sopraggiungere proprio in quel momento, non quando è instabile, non quando una parvenza di ira lo sfiora.

A Simone è sufficiente girare di qualche centimetro il capo per osservare la figura di Manuel, che addosso ha soltanto un paio di pantaloncini rossi; per il resto è a petto nudo. Ovviamente in precedenza non ha potuto notare i tatuaggi che l'altro ha impressi sulla pelle: il serpente su e sotto lo sterno, le due bande sull'avambraccio, varie scritte sulle clavicole e— Insomma, tanto inchiostro che non vuole perder tempo ad analizzare: non gli interessa.

«Che cazzo vuoi?» sbotta, senza particolar motivo. È già nervoso per la visione della migliore amica mezza nuda, per il caffè rovesciato, non ha bisogno di ulteriori ragioni.

«Ce siamo svegliati col piede storto stamattina, mh?» Manuel finge indifferenza a quel comportamento. Prende persino ad ignorarlo e a lasciar perdere, avvicinandosi al frigo. Apre l'elettrodomestico per raccattare il cartone di latte mezzo vuoto, che è lo stesso che poi abbandona sul ripiano del tavolo.

Simone scruta con attenzione ogni suo movimento, come se dovesse per forza trovare qualcosa di sbagliato, qualcosa su cui avere da ridire. Per un attimo, tutto procede liscio, con Manuel che recupera una ciotola di plastica rigida color verde acqua e i cereali al miele dalla dispensa. Mischia quest'ultimi insieme al latte - prima i cereali, dopo il latte, rigorosamente - e poi si siede a tavola con disinvoltura.

«La tovaglietta» lo rimbecca allora.

«Cosa?».

«Ti sei messo a fare colazione senza tovaglietta. Restano le macchie».

«Mica sbrodolo in giro, è solo latte e cereali».

«Rimane comunque la macchia».

«Hai fatto er macello sulla cucina, mó vedi se er problema só io».

A Simone tremano le mani. «Infatti sei tu!» gli viene fuori, di getto.

Manuel neppure ci rimane male, perché ha capito dove l'altro vuole andare a parare. Con noncuranza, mescola i cereali con il cucchiaio, ne raccoglie un paio e li mette in bocca. «Stai a fa' er matto pe' l'amica tua, ve'?».

«No» Simone dà una risposta secca e mente spudoratamente. Le guance arrossate e gli occhi spalancati lo tradiscono. Per non farlo notare oltremodo, si volta dando le spalle al coinquilino, afferra uno straccio umido abbandonato sul lavandino e si appresta a ripulire il ripiano macchiato di caffè.

«È nelle regole» borbotta, strofinando la superficie di acciaio. «Di non portare sconosciuti a casa».

«Ma non è una sconosciuta».

«È la stessa cosa».

«Beh, allora le dovresti fa' più specifiche le regole tue, n'eri tu quello precisino?» incalza Manuel, buttando giù l'ennesima cucchiaiata di cereali. «Oppure fai prima a mette che qua dentro non se scopa».

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