Ricordo ancora quando

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NOTE

Questa storia è voluta uscire, ho cercato di non scrivere, ma non ce l'ho fatta. E' semplice e racconta la vita di Beatrice dopo quello che è successo ad Ava: insieme al suo vagare, riaffiorano dei ricordi riguardanti la loro vita prima che andassero via dalla Svizzera.

 AVVISO: ho una vita piena di cose da fare e a cui pensare (un po' come tutti). Farò di tutto per pubblicare almeno una volta alla settimana: lasciatemi comunque dire che la storia non sarà lunghissima, ma perlopiù una raccolta. 

Speriamo in un rinnovo, Giulia :)

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Erano passati ormai due mesi. Due mesi di completa solitudine, due mesi di espiazione, due mesi di mancanza.

Due mesi da quando, per guarire, avevo dovuto guardare Ava buttarsi nella barriera, per scomparire davanti ai miei occhi. Quelle ultime due parole, che riecheggiavano nella mia mente ogni volta che mi fermavo, ogni volta che non tenevo la mente occupata: ti amo.

Mi mancava tutto di Ava: prenderla per mano, accarezzarla, anche solo osservarla da lontano, perché la maggior parte delle volte era quello che facevo: anche solo quello mi faceva sentire viva. Ava era entrata nella mia vita come un uragano: mi aveva strapazzato per bene e poi era stata risucchiata dal suo stesso vortice. Il cuore mi faceva male ogni volta che ci pensavo; come avrei fatto ad andare avanti?

Il tempo guarisce, dicono, ma a me sembrava che più passasse, e più mi ritrovavo a nascondermi ogni volta in un angolo sperduto a pensare a lei. Strappai un fiore dal prato su cui ero sdraiata, una radura vicina a dove lavoravo, qua in Svizzera. Ero ritornata lì per sentirmi più vicina a lei, per non dimenticare il tempo passato insieme, per far finta che fosse tutto come prima, che una volta tornata a casa lei mi avrebbe accolta come sempre, con quella voce delicata: inutile dire che ogni volta che pronunciava il mio nome qualcosa in me si scatenava e non mi lasciava vivere, o forse lo faceva anche troppo.

Con la margherita tra le dita, osservai il cielo limpido, immersa nel silenzio della mia solitudine: non era un peso stare da sola, mai stato, ma la circostanza non aiutava.

'Mi manchi' sussurrai al cielo, come se Ava potesse sentirmi. Mi aspettavo sempre di vederla tornare? Sì, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. La aspettavo al bar, sorprendermi mentre bevevo un amaro dopo una pizza scondita.

La aspettavo dietro ogni angolo della città, aspettavo che bussasse a casa, aspettavo di vederla da lontano, camminare verso di me, con il suo sorriso armonioso, un cappellino sul capo e le sue adorate Vans.

Aspettavo invano, ovviamente. Ava era andata, finita, perduta, e io in qualche modo dovevo rassegnarmi. Non avrei potuto fare quella vita per molto tempo, dovevo avere uno scopo, dovevo ritornare ad essere chi ero prima di tutto, prima di innamorarmi di una ragazza che sapevo avrebbe avuto un destino infausto.

Mi alzai, scrollai i pantaloni, e costeggiai il fiume, dove lei era abituata ad allenarsi, sotto il mio controllo visivo. Infilai le mani nelle tasche, un gesto che facevo spesso, di difesa e rimasi ancora ferma: stavo di nuovo sperando di vederla attraversarlo per venirmi incontro.

Sarebbe successo prima o poi? Avrei smesso di essere bipolare? E se fosse tornata e non si fosse ricordata niente? Chi fossi, cosa provasse, o quello che avevamo passato insieme? Forse l'Halo poteva guarire, ma ti cambiava? E quanto tempo sarebbe passato prima del suo ritorno, se ci fosse mai stato? Nell'altro mondo, il tempo scorreva velocemente. Per me erano due mesi, ma per lei?

Troppe domande ma troppe poche risposte. Non c'era modo di trovarla, l'unica cosa da fare era aspettare, forse. Forse sarebbe tornata, mi avrebbe guardato e avremmo ricominciato da dove ci eravamo lasciate. Al sol pensiero il cuore mi batteva così forse da non respirare: chiusi gli occhi e scacciai il ricordo del nostro ultimo bacio, unico momento che tenevo nascosto nel mio cervello, per non diventare matta del tutto.

          

Avevo sempre avuto speranza nella vita, non era il momento di mollare, vero?

Scossi la testa, in preda a mille pensieri, frastagliati, da respingere e da abbracciare. Presi a camminare lungo la riva: stava per fare buio e dovevo incamminarmi, ero andata a piedi e ci voleva mezz'oretta prima di tornare. Infilai le cuffie e passo dopo passo, arrivai a casa.

Era così vuota senza di lei. Aprii la porta, cercando di non sperare di trovarla lì, bella come sempre, con i capelli arruffati dal lavoro al bar, pronta per infilarsi sotto la doccia calda, rilassante. L'unico pentimento che avevo era che non ero riuscita a conoscerla come volevo, fino in fondo, senza segreti, senza cose non dette. Se solo fossi stata ai tempi come ora, non avrei sprecato energie nell'essere rigida e chiusa. Scrollai le spalle, appoggiai lo zaino sull'attaccapanni e mi sedetti per un attimo sul divano.

Il giorno libero lo soffrivo: Ava mi aveva detto, prima di lasciarsi andare, di vivere la mia vita. Le avevo fatto un cenno di consenso, ma non ci credevo veramente. Come potevo vivere la mia vita senza di lei? Senza colei che aveva ridestato in me tutte quelle emozioni che non mi ero più permessa di provare? Misi le mani sul viso, strofinandomi gli occhi, liberando i capelli dalla coda. Appoggiai la schiena sul divano, stremata da una giornata di far niente. Per quel motivo, il giorno libero mi faceva stare peggio: perché pensavo, perché mi rendevo conto quanto fossi sola e quanto avrei voluto averla al mio fianco.

Sospirai, poi posai gli occhi sul letto che condividevamo ai tempi e mi ritrovai sbalzata a pochi mesi prima, nel flusso dei miei ricordi.

FLASHBACK.

"Sono distrutta dalla vita" Ava uscì dalla doccia, si mise il pigiama e si buttò sul letto, evidentemente stanca dalla giornata passata.

"Sei una lamentosa" dissi io, finendo di prepararmi per andare a letto.

Lei mise il muso per pochi secondi, ma si stufò quasi subito.

"Tra allentamento, lavoro e lo stress di Adriel, giuro che non mi rimane un pizzico di vita a fine giornata"

Spensi la luce del bagno e piano mi sedetti sul letto, la schiena appoggiata ai cuscini. Stirai le gambe, allungandole. Lei chiuse gli occhi e io la guardai, tentando di non farmi beccare: era bella. I suoi lineamenti delicati, così dolci del viso, mi facevano sempre venire le farfalle allo stomaco. Era una bella sensazione e al contempo brutta. Non sapevo descriverla: sapere di averla al mio fianco mi faceva stare bene, ma non poter essere me stessa del tutto mi rendeva forzata, e chiusa. Non si era addormentata, perché potevo osservare le dita giocare col bordo della maglietta. Non avevo voglia di parlare, avevo voglia di osservarla, come una stalker di emozioni.

"Bea, io non voglio questa vita, io voglio combattere"

Me lo ripeteva praticamente tutti giorni e quando lei aprì gli occhi ebbi a malapena il tempo di far finta di guardare il soffitto.

"Lo sai vero che me lo ripeti ogni giorno?" Mi girai verso di lei, poggiando il capo sulla mano, col braccio piegato sul cuscino.

"Lo so Bea, ma sono stanca. Io voglio vivere, non voglio stare nascosta da qualche parte e sentirmi impotente"

Sapevo che aveva ragione, sapevo che sembrava inutile la vita che stavamo portando avanti, ma quello che mi faceva male, anche se egoisticamente, era che lei avrebbe fatto facilità a lasciare la nostra quotidianità. Io la bramavo ogni giorno e non avrei mai voluto separarmene, se non per obblighi superiori.

"Lo capisco, ma come ti ripeto ogni volta, non possiamo. Dobbiamo aspettare che qualcuno chiami, che serviamo veramente senza incasinare tutto"

Lei si girò verso di me, lo sguardo perso non sapevo dove. Ogni tanto si perdeva e non la trovavo più, durava poco per fortuna.

"Meno male che ho te qua con me, è l'unica cosa che mi dispiacerà lasciare quando ce ne andremo. Anche se sembri noiosa, dopotutto ci sai fare"

Mi fece la linguaccia, e io provai la tentazione di stringerla a me: quelle frasi mi facevano scogliere, quelle frasi mi rendevano confusa, ed agitata.

Bea, è una frase rivolta ad una sua amica, non devi pensare ad altro.

Ava aveva questo modo di dire le cose anche più sdolcinate, o scomode, in modo così naturale, da sorprendermi. A lei non importava, non importava cosa pensassero gli altri, non importava se qualcosa poteva far star bene o poteva far soffrire. A lei interessava dirlo, non voleva tenere niente dentro, l'aveva fatto forse per troppo tempo.

Le diedi, per mascherare la mia devozione che avevo per lei, un piccolo schiaffo sulla fronte. Lei fece finta di provare dolore e poi si mise a ridere.

Mi sdraiai per bene sul letto e lei fece quello che faceva tutte le sere: impostare la sveglia, spegnere la luce e piano, piano avvicinarsi a me. Era una cosa che capitava così, senza un motivo, col buio della notte, sentivamo il bisogno di essere vicine.

Avevo già capito da tempo di provare qualcosa per Ava, non sapevo ancora definirlo del tutto, ma era più di un'amica. Lei non l'avevo ancora decifrata, ma ormai quel gesto era diventato abitudinario e così piacevole che quando mi infilavo nel letto senza di lei mi mancava.

Appoggiò il suo viso sull'interno della mia spalla, io messa a pancia in su, la mano ad accarezzarle la schiena. Non c'era sessualità in quei gesti, c'era solo voglia di affetto, in un momento in cui la nostra viva ne aveva bisogno. Di solito non parlavamo, stavamo nella stessa posizione, con un mutuo accordo, lei respirava sul mio collo e io la accarezzavo piano. Ogni tanto la sentivo sorridere su di me, quando magari le facevo il solletico o semplicemente perché, come me, si sentiva al sicuro. Io mi sentivo al sicuro con lei, su quello non c'erano dubbi.

Chiusi gli occhi, godendomi quei momenti che avrebbero potuto finire da un momento all'altro, e lei quella sera mi parlò, prima di addormentarsi del tutto.

"Non mi lascerai mai, vera Bea?"

Mentre il suo respiro si faceva più pesante, la mia mano si fermò e le sussurrai all'orecchio "Mai" e anche io caddi in un sonno profondo.

FINE FLASHBACK

Tolsi lo sguardo dal letto, scuotendo energicamente la testa. Mi buttai sotto la doccia per lavarmi da quei ricordi, che occupavano la mia mente in continuazione.

Non avevo voglia di mangiare, non avevo voglia di preparami per lavoro, il giorno dopo. MI infilai sotto le lenzuola, mi misi a pancia in su e alla fine, mi feci coccolare da quei ricordi, come se Ava fosse lì, come se niente fosse cambiato.

Ma quando, automaticamente, la mia mano si avvicinò per stringerla a me, la realtà bussò e io purtroppo dovetti aprire. 



Adesso che non ci sei piùDove le storie prendono vita. Scoprilo ora