05. La strega del bosco

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Ho iniziato a tatuare per gioco attorno ai quattordici anni, utilizzando ago e china sui miei amici in barba a qualsiasi norma sanitaria. Sin da piccolo disegnavo molto bene, l'ago che entrava sotto pelle non mi faceva nessun effetto e la pressione di lasciare un disegno permanente sulla pelle di qualcuno non mi spaventava affatto. Crescendo ho superato il corso per diventare ufficialmente un tatuatore e ho trovato lavoro in un piccolo studio. Non solo ero bravo nel mio lavoro ma ne ero anche ossessionato: solitamente trascorrevo le ferie viaggiando all'estero e chiedendo di poter osservare per qualche giorno l'operato di tatuatori più esperti. Oltre a produrre dei bei tatuaggi un tatuatore deve essere anche in grado di guadagnarsi la fiducia delle persone e di farle sentire a loro agio; per me non è mai stato un problema, ho sempre avuto una sorta di talento naturale nel vendermi bene.

La prima volta che conobbi Rebecca però, il mio talento inspiegabilmente sparì.

Non essermi scusato per aver perso di vista Chester mi sarebbe costato negli anni a venire più di qualche rimprovero da parte sua, ma a mia discolpa posso dire che fossi piuttosto stordito dall'intera situazione. Innanzitutto bisogna considerare che avessi appena vagato per cinque minuti buoni al buio, aiutato solo dalla torcia del telefono, in quella boscaglia dove i rami continuavano a graffiarmi braccia e gambe; inoltre, finì in una radura che mi fece seriamente considerare di essere in un sogno e che nulla fosse reale. In quello spiazzo dove, non so ancora oggi il motivo,  l'erba non cresceva alta come nel resto della boscaglia, a rendere tutto più strano c'erano una vecchia panchina consunta e un altrettanto vecchio lampione.

E, ovviamente, la ragazza di cui mi innamorai a prima vista.

Sebbene mi bastò una rapida occhiata per ritenerla splendida con quei suoi capelli lisci color mogano che si intonavano perfettamente alla carnagione ambrata, i suoi grandi occhi e il piccolo neo che si appoggiava al labbro superiore, non fu il suo aspetto fisico a scatenare quella sensazione che non avrei più provato con nessun'altra persona. Non so dire con precisione che cosa scaturì quella sensazione di pace e di benessere che mi sommerse completamente, però posso assicurarvi che non aveva nulla a che fare col mondo fisico e dunque col suo aspetto. Vedere Rebecca per la prima volta fu come scartare il regalo perfetto il giorno di Natale quando si è bambini, bere una cioccolata calda mentre fuori c'è il temporale, trovare quel romanzo che si legge tutto d'un fiato senza riuscire a staccare gli occhi dalle pagine fino a quando non sono finite. Non avevo idea di chi fosse, come si chiamasse e, a dirla tutta, quando provai questa sensazione non aveva ancora aperto bocca, dunque non sapevo nemmeno come suonasse la sua voce; nonostante ciò, ero convinto di volerla sentire a ogni risveglio per il resto dei miei giorni. Scossi forte la testa intenzionato a svegliarmi dal sogno ma non accadde nulla: la radura, la panchina, il lampione, Chester e Rebecca non svanirono e io non ero nella mia camera da letto.

Era tutto vero.

Per questo sorrisi e non diedi peso al fatto di aver perso di vista Chester: se hai l'opportunità di assistere all'aurora boreale non ti preoccupi di avere la batteria del telefono scarica, no? Stavo vivendo una sensazione tanto inspiegabile quanto appagante, era impossibile concentrarmi sul mio errore che, a dirla tutta, non giudicai nemmeno tale: se Chester non avesse fiutato l'erba non si sarebbe mai inoltrato nella boscaglia, non avrei conosciuto Rebecca e oggi non sarei qui a raccontarvi di quella magica estate.

«Sarà anche un tenerone ma bisogna sempre tenere vicino il proprio cane», esclamò, riponendo il foglio e la penna nella borsa ma tenendo la canna stretta tra le dita della mano destra.

Allora capii.

«É stata quella ad attirarla», dissi.

«Non mi sembra un cane poliziotto.»

«Non lo è.» Scossi la testa. «Quando fiuta odore di erba pensa sempre di ritrovare un vecchio amico che ora non c'è più», spiegai. «Si chiamava Carlo e ne fumava un bel po'. Poi è venuto a mancare ma Chester spera ancora di poterlo rivedere: per questo se fiuta dell'erba si mette a correre come un invasato.»

Non era mia intenzione addolcirla con quelle parole, volevo solo spiegarle come mai avessi perso il controllo del mio cane, cosa che non capitava praticamente mai. Notai però che il suo sguardo si fece immediatamente meno severo e che i lati della bocca, prima contratti, iniziarono a rilassarsi per lasciar posto a un'espressione più triste.

«É un bravo cane.»

«Lo è», confermai, abbassandomi un poco per fargli una carezza che accettò senza troppi complimenti. Poi alzai gli occhi e mi guardai attorno. «E questo posto cosa sarebbe? Sei tipo uno spirito del bosco, una strega o qualcosa del genere e appari qui solo nelle ore notturne?»

Vidi chiaramente che combatté contro le sue stesse labbra per non concedermi un sorriso, ma dopo qualche istante cedette a una risatina.

«Stai dicendo che sembro una strega?» domandò, cercando di sembrare offesa.

Io allargai le braccia. «Non dico che sembri una strega ma eri tu qui, nel bel mezzo del nulla, in un luogo così... strano: cos'hai da dire a tua discolpa?»

«Che magari sono veramente una strega e che dunque dovresti stare attento a come parli.»

Ci guardammo in silenzio per qualche istante; poi io alzai le mani sopra la testa rivolgendole i palmi in segno di resa e scoppiammo a ridere.

«Chester l'hai già conosciuto, io sono Giacomo», dissi.

«Rebecca», rispose e notai che il suo sguardo continuava a posarsi sulle mie braccia.

«Ti piacciono i tatuaggi?» chiesi, cercando una scusa come un'altra per alimentare la conversazione: non volevo assolutamente salutarla, augurarle una buona serata e tornare sul lungomare col rischio di non vederla mai più. Volevo rimanere lì in quella radura, conoscere, scoprire più cose possibili sul suo conto e magari, con un po' di fortuna, strapparle il numero di telefono o un appuntamento.

«Mi piacciono molto i tatuaggi e vorrei trovare il coraggio di farne uno.»

Sentendo quelle parole esultai silenziosamente nella mia testa: dopo avermi privato del sonno, portato a fare una passeggiata sul lungomare e aver attirato Chester nella boscaglia, quella notte il destino mi aveva fatto l'ennesimo regalo dato che sarei stato in grado di parlare per ore e ore di tatuaggi.

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