CAPITOLO 7

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L'idea di declinare l'invito mi passo per la mente – anche perché non sapevo nuotare e l'idea di salire su una barca non mi entusiasmava – ma alla fine non l'assecondai. Il bisogno di chiedere scusa a mia moglie e fare chiarezza era diventato più impellente di qualsiasi fobia. 

L'ora seguente eravamo già al largo sullo yatch 'Morris 1'. Oddio, definirlo yatch era decisamente riduttivo visto la sua grandezza, un panfilo di trenta metri dotato di tutte le comodità possibili e immaginali. Quando vidi la piscina con l'idromassaggio e una palestra attrezzata, un solo pensiero mi balenò in mente, un'unica domanda retorica: 'Ma quanto diavolo è grande l'ego di mia moglie?'.

Non sapevo ancora come comportarmi, avevo bisogno di riflettere, così mi rifugiai sotto coperta, inventando la scusa del mal di mare. Rimasi lì a pensare fino a che la barca non arrestò la sua corsa. Sentì l'ancora scendere, mi guardai intorno e l'unica cosa che vidi fu un'isoletta poco distante ed un motoscafo che si stava dirigendo verso di noi.

Non riuscì a vedere chi ci stesse raggiungendo ma poco dopo riconobbi la voce. Era lo zio di Lexa, Theo Morris. Quando fui costretta a trasferirmi lo vidi spesso alla villa, chiesi in giro, volevo sapere quanto più possibile su mia moglie, la sua famiglia ed i suoi traffici, ed è stato così che venni a sapere che suo zio – dalla morte del padre – era diventato il suo consigliere più fidato. La sua visita era quanto mai sospetta, mi dava da pensare il fatto che non si fosse fatto vedere per oltre tre mesi. 'E allora cosa ci faceva qui?', mi domandai senza trovare una risposta.

Mi avvicinai incuriosita dalla discussione che Lexa stava avendo con suo zio. 

"Te l'ho già detto un migliaio di volte, tu fai il tuo cazzo di dovere, al resto ci penso io!", disse perentoria Lexa inveendo contro suo zio.

"Ti rendi conto di quello che hai fatto Lexa? A chi tu abbia minacciato con una pistola puntata in faccia?", replicò uomo.

"Non potevo stare a guardare... zio".

"Questo significa guerra! Coulson non se ne starà zitto e buono solo perché lo hai minacciato e tu lo sai. L'unica cosa che puoi fare è tornare nelle sue grazie, devi lasciare tua moglie e chiedere perdono a Jessica prima che le cose peggiorino...", sentì le parole di Theo cariche di preoccupazione e mi si gelò il sangue.

'Lexa dovrebbe lasciarmi per riparare al casino che è successo in quel club e chiedere scusa a questa tizia Jessica? Ma chi cavolo è questa Jessica? E che cazzo vuole da mia moglie?', farneticai facendomi prendere dalla gelosia.

In quel momento vidi mia moglie saltare al collo di suo zio.

"Che cazzo dici? Io non lascerò Clarke!", urlò facendosi prendere dalla rabbia.

"Mi dispiace", mi intromisi con un filo di voce.

Vidi Lexa girarsi di scatto e inchiodare il mio sguardo con il suo furioso.

"Ah ti dispiace?!", mi fece eco in modo sarcastico.

"Si mi dispiace, che cosa hai fatto?", chiesi in preda al panico.

"Non sono affari tuoi", replicò secca.

"Gli hai sparato?".

"No, non l'ho fatto, ma ci sono arrivata molto vicina. Se tu non ti fossi vestita in quel modo e non ti fossi comportata dà ...", mi ringhiò addosso senza riuscire a finire la frase.

"Da cosa? Da puttana? Allora è colpa mia se quel lurido stronzo voleva stuprarmi, vero? E questo quello che pensi? Beh, sai che c'è Lexa, vaffanculo!", replicai cercando di allontanarmi il più possibile da lei.

Vagai fino alla prua e lei mi seguì, non potevo sfuggirle, dove avrei potuto andare?!

"Vaffanculo! Vaffanculo!", continuai a ripeterle, fino a che non mi afferrò per le braccia.

"Smettila! Cerca di calmarti", mi rimproverò.

"Lasciami, non mi toccare...", le urlai contro e proprio in quel momento persi l'equilibrio e caddi in acqua.

Appena toccai l'acqua fredda andai giù, subito dopo mi sentì afferrare da un braccio e dopo poco stavo tossendo l'acqua che avevo bevuto, sulla poppa della barca.

"Respira Clarke, respira", udì la voce di Lexa e poi vidi tutto nero.

Aprì gli occhi a fatica, ci misi un po' a capire dove fossi. Ero nella mia cabina, sdraiata a letto con le coperte che mi tenevano caldo.

'Ma come ci ero finita?', mi chiesi mentalmente.

Mi guardai intorno e mi scontrai con lo sguardo preoccupato di Lexa. Era mezza nuda, indossava il sopra del bikini ed un paio di short, che a giudicare dalle gocce erano bagnati.

"Sono così felice che tu sia viva... allo stesso tempo vorrei ucciderti con le mie stesse mani!", esordì Lexa.

"Mi hai salvata?", domandai retoricamente.

'Questa è la seconda volta che mi salva la vita', pensai.

"Sì, grazie a Dio ero vicina a te, e sono riuscita ad afferrarti prima che la corrente ti trascinasse via", confermò sospirando. 

"Perché ti comporti così Clarke? Perché?".

Le sue domande non mi sorpresero perché erano le stesse che continuavo a farmi io, fu il tono preoccupato ed ansioso che mi stupì. Aveva ragione a rimproverarmi, se di rimprovero si poteva parlare, mi ero comportata come una bambina capricciosa, avevo rischiato grosso per ben due volte nel giro di dieci giorni, per la mia patetica vendetta, ed era il momento di dire basta. 

"Mi dispiace... non lo farò più", sussurrai con un filo di voce.

Cercai il suo sguardo con insistenza, avevo bisogno che capisse quanto fossi veramente pentita del mio comportamento.

Alle mie parole Lexa si avvicinò e si sedette accanto a me.

"Devi capire una cosa... io non posso perderti... non voglio...", disse accarezzandomi dolcemente il viso.

"Ora riposa...", mormorò con altrettanta tenerezza.

Non volevo che se ne andasse, volevo tutto l'opposto. Volevo il suo perdono, volevo scoprire quello che provava lei per me, volevo sapere cosa io provassi per lei e perché in quel preciso momento il cuore mi stava uscendo dal petto.

Afferrai il suo braccio impedendole di andarsene e mi misi a sedere, mordendomi il labbro. Lei era lì in piedi davanti a me. Per un attimo notai confusione nel suo sguardo, ma appena slacciai il bottone degli short tirando giù la zip, si trasformò in puro desiderio.

"Non prenderti gioco di me Clarke", mormorò quasi fosse in affanno.

"Non lo farò Lex", dissi chiamandola con quel diminutivo che usavo solo io.

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