Prologo

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A tutti sarà capitato nella vita di pensare tra sé e sé di non essere normali. Questo capita nel momento in cui ci si confronta con gli altri e ci si rende conto di essere diversi da loro. Ma il vero problema sta nel pensare che la diversità sia un difetto, un'imperfezione, come se la normalità fosse qualcosa di impostato e di conforme alle aspettative degli altri.
Alla base di questo stereotipo c'è il cosiddetto "complesso di inferiorità": un sentimento costante e inconscio che coinvolge sensazioni quali l'inadeguatezza, la timidezza e l'aggressività. Un complesso che può essere superato nel corso del tempo solo con la consapevolezza e la maturità nel soggetto stesso di realizzarsi a pieno secondo la propria personalità e, dunque essendo sé stessi.
È un percorso di vita imparare a conoscere sé stessi, proprio come affermava Nietzsche "Divieni ciò che sei": bisogna vivere senza paura, affrontare i propri desideri e lottare per realizzarli, senza ricorrere a false consolazioni.
Ma se questo tortuoso viaggio d'esperienza non avviene, restando vittima di sé stessi e divenendo inermi di fronte alla realtà medesima, si cade nel vuoto o abisso della solitudine: diviene uno stato interiore in cui, a prescindere dallo stato sociale, è possibile provare un senso di non appartenenza.
In psicologia, in particolare secondo Carl Jung, la solitudine non deriva dal fatto di non avere nessuno intorno, ma dall'incapacitá di comunicare le cose che a noi sembrano importanti o a dare valore a determinati pensieri che agli altri sembrano inammissibili.
Perciò, la vera domanda che ci si pone è: è davvero importante il giudizio altrui per poter stare bene con sé stessi, oppure basterebbe semplicemente chiudersi nella propria bolla per sentirsi a proprio agio?
Tutto questo viene annotato in una pagina web dal titolo: "Essere diversi è una necessità, una virtù o una sfida?". Scritto da una psicologa, di cui nome resta nell'anonimato, che cerca di aiutare i propri pazienti anche quando non sono con lei ma in casa propria o in giro per la città e, per paura o ansia di non sapere cosa fare quando si trovano a contatto con la realtà, si chiudono nel fantomatico mondo di internet.









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