Capitolo 6

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Il primo mese di guerra è passato. Sono successe tante cose che mai avrei pensato di vivere, ma la vita è imprevedibile, il destino è imprevedibile. Ti mette sulla strada persone che mai avresti pensato di incontrare, ed è quello che sta succedendo con il tenente Krumme. Non so ancora bene cosa sento a proposito di questo soldato tedesco, però so di per certo che non è come gli altri soldati che vedo in paese e questo l'ho realizzato in quest'ultimi giorni, spero solo di non star sbagliando. Ma questo ufficiale mi intriga e mi fa sentire come non mi sono mai sentita, e dire che l'ho visto solo poche volte. Oggi sono seduta su un dondolo fuori casa e sto leggendo un bel libro "Orgoglio e Pregiudizio", soprattutto in questi tempi un libro fa sempre bene, ti fa evadere dalla realtà. Sto aspettando una mia amica, una delle mie migliori amiche, Maria. Io non ho tanti amici, ma quelli che ho sono meravigliosi, fin da piccola sono sempre stata timida e quindi faticavo a farmi degli amichetti. Ma anche adesso che sono cresciuta la timidezza fa ancora parte di me, non che sia una brutta cosa ma spesso le persone la scambiano per superiorità, cosa che non mi caratterizza proprio. Quindi le persone con cui mi sono aperta e che sono andate oltre le apparenze sono le più importanti della mia vita. E adesso se ne è aggiunta un'altra. Dopo pochi minuti vedo arrivare la mia amica d'infanzia, quindi mi alzo e la saluto. "Ciao Maria!" "Ehi!" Ci abbracciamo e la invito a entrare in casa. Maria è una bella ragazza, ha capelli neri corti e voluminosi, la si riconosce sempre per il suo inconfondibile rossetto rosso. "Mamma è arrivata Maria" urlo a mia madre, trovandosi lei in un'altra stanza, e dopo la vedo arrivare in cucina. "Ciao Maria." "Buon pomeriggio signora." Nonostante la conosca da una vita la chiama sempre così e mia mamma non può far altro che correggerla. "Oh chiamami Florenza" esclama mia mamma e la mia amica annuisce. Mia madre scompare dov'era prima e faccio accomodare Maria offrendole il suo tè preferito. "Allora, mi devi dire qualcosa?" chiede lei con un sorrisino provocatorio. La guardo stranita aggrottando le sopracciglia. "Mmm, no" dico io perplessa mentre preparo tutte le cose necessarie per il tè. "Ho visto che hai parlato con un ufficiale..." Io non posso crederci, è possibile che non mi lascino in pace? Perché devo sempre dar conto agli altri di quello che faccio? Lo so che lei è una mia amica, però questa è una cosa che voglio tenere per me, anche perché devo ancora capire che cosa sia di preciso, cosa si sta instaurando tra me e quel tenente. "Oh no ti prego, non anche tu, abbiamo parlato solo tre volte" dico realizzando che tre volte non sono poche, soprattutto tenendo conto del fatto che l'incontro alla biblioteca non è stato un incontro casuale ma oso dire quasi un appuntamento. "Come si chiama?" chiede ancora lei, non vuole proprio mollare. Le voglio bene, tanto, e forse qualche dettaglio posso concederglielo, anche perché ho bisogno di confidarmi con qualcuno. Tenere nascosto Alexander ai miei genitori mi sta facendo sentire una figlia orribile e ingrata, ma lo sto facendo per il loro bene perché non voglio che si preoccupino. "Alexander" rispondo e sorrido subito dopo, mi è sempre piaciuto quel nome. "Mmm Alexander... bel nome, come è bello lui d'altronde." "Maria! Non farti sentire da mia mamma, per fortuna che mio papà non lo sa" dico guardando verso il salotto dove dovrebbe essere lei. "Mamma vuoi tè?" chiedo per sviare il discorso. "Sì grazie" dice lei e quindi preparo un'altra tazza. Nel mentre Maria continua a parlarmi, ecco un'altra sua caratteristica, parla in continuazione e ininterrottamente. "Comunque anche io ho conosciuto un ragazzo, Roberto, si è trasferito da poco a Rovereto." Io rido, è sempre stata così la mia amica, ed è anche per questo che le voglio tanto bene. "Pensi sempre ai ragazzi. Siamo in guerra..." dico, come se l'amore in questi tempi dovesse venire al secondo posto, ma mi sbaglio, l'amore è l'unica cosa che ti tiene a galla. Mi pento subito dopo di questo pensiero. D'altra parte anche io sono uscita con qualcuno. Maria sembra ricalcare i miei pensieri. "Appunto per questo, serve l'amore in questi tempi." "Ha ragione - salta fuori mia mamma che non avevo neanche sentito entrare in cucina – ma non con i soldati..." La guardo e colgo la frecciatina. "Oddio va bene basta, è un pomeriggio tra donne e i maschi gli lasciamo fuori, questa è zona neutrale" dico indicando il tavolo e la stanza in cui stiamo, sto cercando di chiudere il discorso e sta funzionando, Maria alza le mani e annuisce. Intanto l'acqua bolle e quindi la verso nelle tazze, faccio per sedermi ma mia madre mi dice di prendere anche dei biscotti. "Come va a casa?" chiede a Maria. "Oh bene, i miei genitori però hanno paura dei bombardamenti" risponde lei. "Sì anche io, dico sempre a Clara di stare attenta, ma sai com'è." "Mamma qualcuno deve pur prendere il pane e poi non posso stare in casa per sempre" dico appoggiando un piatto con i biscottini, però mi rendo conto della sua preoccupazione, non è facile neanche per lei ovviamente, e poi anche io ho paura ad uscire ma mi faccio forza, e prego sempre che non succeda niente. "Speriamo che finisca presto..." sussurro afferrando un biscottino. "Purtroppo le guerre non finiscono mai presto amore" mi dice mia mamma accarezzandomi la guancia. "Sì be, parliamo d'altro dai." Oggi non vorrei parlare di nessun argomento, ma semplicemente non voglio parlare di guerra ancora, non si parla d'altro, mi mancano i discorsi leggeri fatti davanti un tè, come oggi, o passeggiando insieme agli amici senza la paura che una bomba ti cada in testa. Sta di fatto che quel pomeriggio lo abbiamo passato ridendo e parlando del più e del meno e quando è arrivato il momento per Maria di andare a casa ho deciso di accompagnarla, non mi sentivo sicura a farla andare da sola.

"Grazie di avermi accompagnata Clara, ti voglio bene" mi dice stringendomi in un abbraccio davanti alla sua casa. "Anche io, tanto." Maria fa per entrare in casa ma si ferma all'improvviso. "Clara, l'altro ieri ti ho vista con tuo papà vicino al parco, ti avrei salutata ma dovevo scappare a casa, quando girandomi ho visto il tuo soldato guardarti dall'altra parte della strada. Aveva uno sguardo negli occhi, non ho mai visto una persona guardare così intensamente qualcuno, sembrava quasi... amore." Il respiro comincia ad accelerare così come i battiti del mio cuore. Amore? Ha detto veramente amore? "Non lasciartelo sfuggire, amica mia. Se qualcuno si merita l'amore quella sei proprio tu." Le sue parole mi sciolgono il cuore e prima che possa dire qualcosa lei rientra e chiude la porta. Rimango a fissare il vuoto davanti a me completamente pietrificata, non riesco a dare un senso a quello che mi ha appena detto. Lentamente ritorno verso casa con solo una frase che mi rimbomba nella testa, facendomi sorridere come una sciocca, il modo in cui Maria ha definito Alexander. Il mio soldato. Con ancora il discorso della mia amica in testa cammino per Rovereto, il cielo è rosa e arancione. Adoro i cieli estivi e mi piace camminare per schiarirmi le idee, infatti ho allungato la strada proprio perché avevo bisogno di pensare. Pensare a lui e al casino in cui mi sono messa, un casino da cui non posso uscire neanche se volessi. "Fräulein" sento qualcuno dire e io riconosco subito la voce. Eccolo il mio casino. Dopo quello che Maria mi ha detto ho il cuore che batte al doppio della velocità, non so se sono pronta a rivederlo, non ce la faccio. Ma subito il mio istinto mi fa girare sorridente verso di lui e lo vedo lì davanti a me, il tenente Alexander Krumme in tutto il suo splendore. So di iniziare a provare emozioni e sentimenti nel mio cuore mai provati prima e questo mi spaventa un po', ma credo che queste sensazioni debbano ancora passare nel mio cervello, forse non me ne rendo ancora conto. "Buona sera signor tenente" lo saluto sorridendo. "Bello vero?" dice lui riferendosi al cielo sopra di noi. "Sì, c'è un sole stupendo" dico riferendomi alla palla infuocata che colora il cielo. Lo guardo e arrossisco senza motivo, sono felice di vederlo ma anche nervosa. Camminiamo in silenzio per un po', nessuno dei due sa cosa dire e quindi gli faccio una domanda, pentendomene subito dopo. Forse avrei dovuto chiedergli un'altra cosa. Mi ami veramente? "Come procede la guerra?" chiedo invece io, come se l'uomo vicino a me avesse ancora voglia di sentir parlare di guerra, la guerra che lo tiene lontano dalla sua famiglia. "Vuole veramente parlare della guerra?" risponde serio lui. Io abbasso lo sguardo maledicendo me stessa. "No, comunque mi chiami solamente Clara." Sono stanca del "lei" formale. Lui mi sorride felice di sentire quelle parole. "Va bene Clara, quindi anche tu chiamami solamente Alexander." Io annuisco facendo un gran sorriso, chi lo avrebbe mai detto che sarebbe successo tutto questo dopo quel 14 Giugno? Chi lo avrebbe mai detto che mi sarei ritrovata a sorridere per un soldato? "Sei bellissima" mi dice guardandomi con la coda dell'occhio. Le guance si colorano di rosso, possono quasi confondersi con il cielo, ma alla fine sorrido e lo ringrazio. Dopo aver camminato ancora un po' riesce a convincermi a farmi riaccompagnare a casa da lui, quindi mi segue mentre gli faccio strada. Ci fermiamo un po' prima rispetto a casa mia per non farci vedere dai miei genitori, non si sa cosa combinerebbero se dovessero vederci insieme, anche se fra noi due non c'è assolutamente niente. Prima di andarsene Alexander mi ha baciata sulla guancia. Prima di allora non sapevo che si potesse volare restando con i piedi per terra.

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Ricordo che era AprileDär berättelser lever. Upptäck nu