37 (Romolo's POV)

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A cosa serviva mangiare se non a prolungare le mie sofferenze?
Se fossi morto nessuno avrebbe trovato la spada e Sofia non avrebbe avuto un peso morto come me e sarebbe riuscita a fuggire. Seguendo questi pensieri, quando arrivò il cibo, rimasi rintanato nel mio angolino senza alzare lo sguardo. Allora il barbaro che mi aveva portato il cibo se ne andò senza dire niente.

Quando ripetei la scena anche verso sera, il barbaro andò subito a conferire l'accaduto a Odoacre, che entrò nella mia cella come una furia.
Un tornado vivente mi investì e mi buttò malamente contro il muro.
"Cosa pensi di fare!? Cosa credi, Momyllos?" Mi ringhiò contro.
Avevo avuto ciò che volevo: stavo sbaragliando il suo piano. Mi rialzai lentamente e con fatica. Ogni parte del mio corpo implorava per lo sforzo.

Ma la belva dentro di lui era irrequieta: balzò contro di me come un leone e mi atterrò sotto le sue braccia potenti. Annaspai, divincolandomi e dimenandomi invano, trattenuto da quel forte colosso. Arrivarono altri barbari che mi ancorarono le braccia al terreno. Le catene tirate mi opprimevano il petto, ma ignorai la fitta serrando la bocca. Uno di loro mi tappò il naso con una presa ferrea, mentre un altro corse a prendere del cibo.

Quanto ancora sarei riuscito a trattenere il fiato?
I miei occhi iniziarono a lacrimare e i movimenti si fecero più lenti. Alla fine stavano scegliendo loro di farmi morire asfissiato. Ma il mio istinto di sopravvivenza prevalse e aprii la bocca per riprendere velocemente un po' d'aria. Subito mi fecero ingoiare una specie di minestra. Magari sarei morto soffocato dal cibo...

Invece il cibo trangugiato arrivò allo stomaco senza farmi correre alcun pericolo. Mi lasciarono andare e il mio volto cianotico probabilmente iniziò a tornare del colorito pallido e smunto che avevo durante la prigionia. Rimasi sdraiato, inerme ed esausto. Avevo prosciugato ogni briciola di energia.

"Stolto, cosa credevi di fare?! Non puoi sfuggire a noi! Neanche con la morte! Così sciocco, le cose potrebbero essere più semplici..." Tuonò Odoacre, uscendo dalla cella. Se c'erano voluti tre barbari per farmi mangiare un misero cucchiaino di cibo allora avrei reso il tutto un'impresa se non impossibile, almeno difficile.

Nonostante desiderassi dormire, riuscii solamente ad appisolarmi per poi risvegliarmi, continuamente, sentendomi sempre più stanco.
"Romolo" mi chiamò Sofia all'improvviso, dall'altra parte del muro. Alzai la testa velocemente, stavo sognando?
No, la sua voce era reale, ma sembrava quasi strozzata.

"Sofia! Va tutto bene?" Sussurrai in risposta. "Romolo, - ripeté il mio nome - ti prego, mangia. Devi essere in forza... È per il tuo bene!"
"Farò come vuoi, farò come mi hai detto, se ti farà sentire meglio..." Risposi io poggiando una mano sul muro, come se potessi darle conforto.

"Per favore, smetti di resistere... So che può essere duro sentirselo dire, ma tu per me sei Nessuno!" Continuò lei stupendomi.
Perché questo cambio repentino?
"Capisco... - feci io rassegnato- Trascorri una notte senza incubi, Sofia..." Inizialmente non avevo capito a fondo le sue parole, ma poi compresi il significato nascosto.

Mi aveva chiamato ancora Nessuno.
Mi credeva veramente degno di quel nome? Ero veramente degno del nome del più astuto e intelligente eroe della Grecia?
Eppure io mi sono sempre sentito Telemaco, costretto a vivere ogni dannato giorno con gli invasori che si erano insediati nella sua casa, impotente di fronte agli insulti taglienti, alle offese impertinenti e alle minacce di morte di quei superbi arroganti.

Ma come finiva la storia di Telemaco? Con il corpo dilaniato dagli artigli delle Sirene o ucciso da una persona con la quale aveva un legame di sangue. Quale versione era la meno terribile? Eppure io me lo immaginavo, lo splendente Telemaco, a correre per la petrosa Itaca contento dopo essersi vendicato assieme al padre, abbandonandosi al suo dolce riso spensierato che risentivo nel mio. Da quanto tempo non ridevo spensierato?

Il sorriso che stava fiorendo sulle mie labbra, seguendo il filo dei miei discorsi appassì velocemente. Quasi non ricordavo più com'era vivere felice e spensierato, forse non avevo mai vissuto così. Da quando ero diventato imperatore le mie giornate erano diventate un peso, oppresso dall'ansia della morte di qualcuno a me caro.

Mio padre tentava di non rivelarmi nulla, sulla guerra, sulla politica, sui tradimenti e gli intrighi, ma era sveglio il suo giovanotto. Mia madre mi supportava amorevolmente, ma allo stesso tempo severa il giusto. Ora nessuno dei due era lì a proteggermi a modo loro.
Mi mancavano.
Delle lacrime mi bagnarono il viso. Quando avevo iniziato a piangere?

Mi asciugai il volto umidiccio con vergogna, passando la mano sul viso, veloce come un soffio. Le parole di Sofia, sebbene ben criptate, mi incoraggiavano a non arrendermi. Io piangevo per la commozione all'udire  parole sincere e nascoste, mentre Wulfric, appena apparso davanti alla porta della cella, credeva stessi piangendo per lo sconforto. "È ora che ti arrenda anche tu, ragazzino" mi sussurrò malvagio, abbandonandomi alla mia solitudine.

Con il cuore che mi danzava nel petto, pensai che, in fondo, io ero Telemaco che aveva aspettato a lungo la salvezza, sopportando offese terribili, guardando con occhi carichi di speranza il mare scuro, contrastando il senso di abbandono che lo opprimeva. In fondo torna sempre qualcosa dal mare e la mia salvezza era arrivata, il mio Nessuno, Sofia.

L'Imperatore delle CeneriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora