Capitolo Novantacinque

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Annekha si sentì mancare il fiato. Era sempre più sicura di stare sognando. Ormai non era più alla ricerca di una spiegazione. Era convinta che si trattasse di uno scherzo.

«Sposare... me?» la giovane scosse la testa, e il sorriso del Basileus si allargò, mentre annuiva. Si aspettava questa reazione, da lei.

«Se dopo la fine della guerra di Zena il Tesrat che aveva catturato il Comandante Lupo si fosse unito alla Djabel del Dragone, avrebbe davvero regnato la pace.» disse Dasdany, «Se tu ti fossi sottoposta all'S.C.I. di tua spontanea volontà, tutti i Djabel ti avrebbero seguita.»

«Ma tu volevi...» Annekha non sapeva che parole usare. Non sapeva nemmeno quale fosse il problema, anche nel caso – molto probabile – che Dasdany non avesse mai provato e non provasse nulla per lei, che la odiasse, pure, ma che intendesse sfruttare il suo nome e la sua abilità di Djabel a suo favore, e a favore dell'Impero.

Jancsi comprendeva la sua confusione. «Lascia che ti spieghi.» disse.

E Annekha prese la decisione più difficile e controintuitiva da prendere, su un campo di battaglia – la decisione di ascoltare ciò che il suo nemico aveva da dire.

«Il mio piano non è mai stato quello di uccidere tutti i Djabel. Non è mai stato questo, ciò che intendevo, ogni volta che ho detto ai giornali o ai miei sottoposti che intendevo risolvere il problema dei Djabel. Potrei dire che alla base di tutto questo c'è solo un enorme malinteso, ma intendo farmi carico di tutte quelle che sono le mie responsabilità. Ti dirò quindi come il mio piano è andato a rotoli, e come ho disperatamente cercato di rimettere tutto a posto, fallendo. Ho commesso talmente tanti errori, ho sbagliato talmente tante volte i calcoli, che è un miracolo che io sia ancora qui.»

Questo suonava ancora più strano alle orecchie di Annekha – era sempre stata convinta che i piani di Dasdany stessero procedendo alla perfezione, che lui stesse vincendo e che loro stessero perdendo. La Resistenza dei Lupi stava indubbiamente perdendo contro i Tesrat, ma se stava perdendo anche il Basileus, allora a vincere non era nessuno.

«Quando ancora la guerra era in corso, e io non ero altro che un Tesrat Comandante, ebbi l'occasione di parlare con tuo padre, dopo una sconfitta al fronte del Vuoto.» prese a raccontare.

«Mio padre?» Annekha faticava ad andare tanto indietro nel tempo, per ragionare. Superare la linea rosso sangue che segnava la morte dei suoi genitori era fin troppo doloroso. Ma la valicò, nella speranza di capire.

Dunque, era da lì che era iniziato tutto? Nemmeno da una vittoria, ma da una sconfitta sul campo di battaglia?

«Esatto.» confermò Dasdany, «Tuo padre aveva già capito che il tempo dei Djabel era agli sgoccioli. E, come ben sai, non ha mai voluto altro che dare un futuro al suo casato, gloria al suo nome, e ai suoi eredi.»

Annekha annuì, abbassando lo sguardo. Di suo padre ricordava i rimproveri, i divieti. Il modo in cui la spronava a essere migliore, come diceva lui, era metterla di fronte al fallimento a cui equivaleva qualsiasi cosa diversa dalla perfezione.

«Mi disse che ero un buon soldato.» riprese Dasdany, «Mi disse che ero degno di sua figlia, nonostante il mio nome non fosse prestigioso, ma al contrario macchiato. Di sangue, di fango, e di olio di motore, disse.» un breve sorriso colorò le sue labbra, al ricordo. Era un sorriso amaro, di un figlio odiato, che aveva ricevuto lodi solo dal padre di qualcun altro.

«Io ero onorato.» continuò lui, «Ti sembrerà strano, ma vedi, con il tempo mi sono convinto che la distinzione tra mostri e non mostri non sia così netta, anche quando si tratta di Djabel. Khilents Chayon era un Djabel, ma non cedeva mai ai propri istinti. Ed è negli istinti che risiede la mostruosità.

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