28. Sfaccettatura standard

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🌷
JANE

Non mi ero mai concessa niente.

Per tutti quegli anni, dalla morte di Ezra, avevo rinnegato tutto, sopraffatta dalle eccessive attenzioni di mia madre. Per me l'amore era sopravvalutato, il sentimento, quel legame che ti spinge a voler stare con qualcuno tutto il giorno e tutti i giorni, compresa ogni notte.

Non avevo mai sfiorato l'idea del dover condividere la mia intera vita con qualcuno, mi ritenevo troppo chiusa e non predisposta a quel genere di cose. Mi era sempre mancata l'aria al solo pensiero di sentirmi parte di qualcosa che non avrebbe fatto altro che relegarmi in una stupida routine per la vita.

Avevo sempre dato per scontato che la vita di coppia non facesse per me, negandomi a priori ogni tipo di sentimento, parziale o totale che fosse. Io faticavo a farmi abbracciare e faticavo ad abbracciare, perché mai avrei dovuto desiderare abbracciare ed essere abbracciata? Era semplicemente la "sfaccettatura standard" che tutti pretendevano di avere a un certo punto della loro vita.

Ti devi innamorare per forza, altrimenti quale senso puoi dare alla tua esistenza, se non quella di sposarti e mettere su famiglia?

Eppure, dannazione, con Evren al mio fianco era cambiato tutto. Come se il mio intero mondo si fosse capovolto a seguito di un'improvvisa scarica di alta tensione.

Mi sarei goduta quei giorni in sua compagnia, mi sarei comportata così come mi ero ripromessa di comportarmi: senza pensare minimamente ad alcuna conseguenza o alle conclusioni che lui avrebbe tratto dal mio improvviso cambiamento.

Non avrei voluto concedergli un'illusione, ma l'avrei fatto per concederla a me stessa. Per il tempo che Evren avrebbe voluto passare a Boston, io gli avrei dato la parte romantica che tenevo nascosta nell'angolo più remoto del mio cuore, e poi me la sarei ripresa con o senza il suo permesso.

Avrei sperimentato ciò che provavo, non avrei costretto le mie emozioni e i miei sentimenti dentro una gabbia delimitata da spine velenose, le avrei liberate e messe sui palmi delle sue mani. Gli avrei concesso quel privilegio per poi riprendermelo, custodirlo e non liberarlo mai più, nuovamente rinchiuso in gabbia.

Sapevo che mi avrebbe odiato per quello, come sapevo che anche Stephen l'avrebbe fatto. Ma era più forte di me, non riuscivo a non ingannare chi mi circondava. Dettavo sentenze giudicando gli altri con personalità colme di bandiere rosse e, al tempo stesso, mi obbligavo a non vedere le mie.

Ero tossica.

Una persona priva di moralità legate all'amore vero, ingannavo e ferivo senza rendermene conto, e presto, molto presto, sarebbe arrivo il giorno in cui avrei dovuto mettere a freno tutto quel veleno che mi scorreva in corpo, che non era di certo lo stesso che Evren mi stava iniettando con la sua presenza al mio fianco.

Sarei rimasta sola, relegata forzatamente dentro quella gabbia circondata da steli spinati.

Tuttavia, per mia fortuna quello non era il giorno, perché quello era il giorno in cui mi sarei ribellata ai miei stessi limiti.

In overdose da Evren Reeve.

«Perché invece di startene lì, tutta sola, non scendi dal letto e mi raggiungi?»

Incurvai le labbra in un sorriso e con le gambe calciai via le coperte morbidissime da sopra al corpo prima di prendere un respiro profondo. «Sinceramente? Mi piace da morire ciò che vedo da qui.»

«Ah sì? E che vedi, çiçek?»

Vedo quanto sono stupida mentre mento a me stessa. Vedo te, che mi tratti come mai nessuno mi ha trattata, e vedo qualcosa che desidero possedere... un noi.

BLURRY SHOTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora