Nei giorni seguenti Elisa vide nuovamente la figlia dei vicini aggirarsi spensierata e curiosa nel suo giardino. Non riusciva mai ad avvicinarla perché ogni volta, improvvisamente, spariva. Tuttavia un giorno appena la vide, scese prontamente e riuscì finalmente a conoscerla.
<<Ciao, io sono Elisa e abito proprio qui in questa casa. Ti va di dirmi il tuo nome?>>
La bambina la guardava spaventata e non rispose.
<<Tesoro non devi essere spaventata, sai?! Mi fa molto piacere conoscerti e sapere di avere una vicina di casa così simpatica! Ti piace giocare nel giardino, non è vero? Hai avvertito la mamma che ogni tanto vieni qui?>>
La bambina fece un cenno affermativo con il capo ma non profferì parola.
<<Sappi che ogni volta che vorrai venire qui a giocare, potrai farlo liberamente. Il cancello non è sempre aperto, soprattutto quando sono fuori casa, ma quando lo troverai aperto potrai sempre entrare perché a me fa piacere avere compagnia. Però mi raccomando avverti sempre prima la mamma, va bene?>>
Non fece in tempo a finire la frase che la bambina si allontanò di corsa dirigendosi verso la stradina di ciottoli.
Doveva aveva circa sette anni, pensò Elisa. Era alquanto esile, aveva degli occhi grandi di un insolito blu profondo e uno sguardo triste e smarrito. I lineamenti del viso erano delicati e il suo portamento era particolarmente aggraziato ed elegante.
Elisa provò istintivamente una sorta di inquietudine e apprensione, non era in grado di comprenderne fino in fondo i motivi ma qualcosa nello sguardo perso di quella bambina l'aveva turbata e colpita nel profondo.
Trascorso qualche giorno, la intravide accanto agli ulivi mentre saltava con la corda, anche se ogni salto risultava goffo ed impacciato.
Elisa le andò incontro <<Ciao piccola, lo sai che anch'io, quando avevo la tua età, giocavo sempre con la corda?!>>
La bambina questa volta accennò un sorriso timido e le porse la corda.
<<Tesoro la corda è troppo piccola per me non riuscirei a saltare! Poi è così tanto tempo che non lo faccio che rischierei di fare un bel tonfo!>>
La bambina sembrò quasi restarci male, così Elisa replicò <<Senti, ti prometto che domani comprerò una corda adatta a me e poi ci alleneremo insieme. Che ne dici? Ora ti andrebbe una cioccolata calda con dei biscotti?>>
La bambina dispiaciuta fece cenno di no e salutandola con la mano si allontanò velocemente.
Elisa rimase per un momento a riflettere. Si chiese se la bambina fosse solo timida, oppure se avesse un disturbo del linguaggio.
In verità non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine di quello sguardo triste e una sensazione d'inquietudine la colpì nuovamente e la scosse per il resto della giornata.
Provò un senso immediato di protezione nei confronti di quella bambina sconosciuta, così la sera stessa chiamò il suo collega e amico Filippo per raccontarle del suo singolare incontro.
<<Il suo aspetto complessivo com'era? Il suo modo di vestire ad esempio, ti sembrava trascurato?>> chiese Filippo.
<<Direi di no, anzi il contrario ma ti assicuro che c'è qualcosa che non va, lo percepisco chiaramente, quella bambina è infelice>>
<<Chissà, magari potrebbe aver subito una grave perdita oppure un trauma. Tuttavia, Elisa, cerca di non preoccuparti eccessivamente, non è una tua paziente, ricordi? È solo la figlia dei tuoi vicini di casa che ogni tanto viene a giocare nel tuo giardino!>>
Elisa sorrise e si convinse che in fondo Filippo aveva ragione, la doveva smettere subito di intromettersi nelle vite altrui senza che nessuno la autorizzasse a farlo o meglio le chiedesse di farlo.
Quella sera si sentiva distrutta e aveva solo voglia di un bagno caldo, di un buon libro e di un sonno rigenerante.
In ospedale la giornata era stata davvero faticosa; era di turno in ambulatorio quando dal pronto soccorso chiesero un suo parere sul caso di un bambino di sei anni.
La madre per la quarta volta in un mese lo aveva portato in ospedale e anche in passato, quand'era più piccolo, era stato lì svariate volte per motivi sempre diversi.
Dall'esame delle cartelle cliniche relative agli ultimi tre ricoveri, emergeva un quadro preoccupante.
La prima volta la madre arrivò affermando che il bambino lamentava dolori alla pancia cosicché, dopo vari controlli, lo dimisero senza una diagnosi specifica.
La seconda volta la madre riferiva che il bambino aveva vomitato ininterrottamente per due giorni, così al terzo giorno, visto che le terapie tradizionali non avevano sortito alcun effetto e nel timore che il piccolo potesse disidratarsi, si decise a portarlo in ospedale.
Il bambino era effettivamente disidrato, così lo ricoverarono per qualche giorno, gli somministrarono dei liquidi con le flebo e finalmente il terzo giorno sembrò essersi ripreso.
La terza volta la madre raccontò che il piccolo aveva per errore ingerito del detersivo per piatti che teneva sotto il lavabo della cucina. Affermava di essersi distratta solo per un attimo per rispondere al telefono che squillava.
Per fortuna se n'era accorta subito e di corsa lo aveva portato in ospedale.
Anche quella volta, fortunatamente, l'episodio si risolse senza ulteriori complicazioni.
Questa volta, invece, la madre riferiva che il bambino ultimamente soffriva spesso di mal di pancia con delle fitte soprattutto sulla parte destra.
Il dott. Perugia, pediatra di turno quella mattina, lo visitò e gli fece tutti gli esami del caso per escludere un caso di appendicite. I risultati delle lastre e delle analisi erano negativi, la situazione era nella norma.
Non era la prima volta che vedeva il bambino nell'ultimo mese, ricordava il suo volto e i pianti disperati che provocavano in lui tutti quegli accertamenti.
Quella mattina notò la madre particolarmente agitata e sollecita, così si insospettì e decise di richiedere un consulto psicologico. Spiegò sommariamente la situazione a Elisa.
Si conoscevano da tempo soprattutto da quando, negli ultimi anni, i casi di maltrattamento sui bambini erano purtroppo notevolmente aumentati.
Elisa studiò attentamente la cartella clinica.
Sembrava quasi un caso da manuale ma non volle crearsi dei pregiudizi senza prima aver ascoltato sia la madre che il bambino per capire cosa realmente accadesse all'interno di quella famiglia.
<<Sono davvero preoccupata dottoressa. Mio figlio è particolarmente vivace, anzi direi iperattivo e a volte è davvero difficile evitare che si faccia male. Mi può aiutare in qualche modo? Può prescriverci qualcosa per tenerlo più calmo? A scuola anche le maestre e i genitori dei suoi compagni si sono lamentati perché è aggressivo, fa i capricci, sbraita e urla per ottenere ciò che vuole. Fa così anche a casa e io sono davvero esausta>>
<<Parlerò con il bambino signora, non si preoccupi, vedremo cosa si può fare. Piuttosto mi dica una cosa, è lei che si prende cura di suo figlio, intendo quando torna da scuola? Suo marito l'aiuta in qualche modo?>>
<<Purtroppo mio marito ha un ristorante aperto a pranzo e a cena e quindi torna a casa molto tardi e non può darmi una mano, anche perché quando torna il bambino già dorme. Nel momento in cui è nato nostro figlio ho deciso di lasciare il lavoro proprio per dedicarmi a lui a tempo pieno, come ogni mamma dovrebbe fare del resto>>
<<Certo, capisco signora. Fortunatamente per suo figlio finora è sempre riuscita ad affrontare le situazioni critiche con calma ed efficienza, riuscendo addirittura ad applicare alcune regole di primo soccorso! Mi chiedevo dove le avesse imparate? Forse in un corso? >>
Elisa sapeva bene quello che stava facendo. La assecondava per indurla a parlare il più possibile. Sapeva che in casi come questi, le madri cercano di attirare l'attenzione e spesso hanno delle conoscenze mediche di base.
<<Effettivamente le confesso che quando ero giovane il mio sogno era quello di diventare infermiera, mi ero anche iscritta all'Università e superai la metà degli esami. Purtroppo però i miei genitori mi dissero che non potevano più pagarmi la retta, l'attività di mio padre era in crisi. Così decisi di rimboccarmi le maniche, lasciai l'Università e aiutai mio padre a risollevare le sorti della sua azienda>>
<<Capisco, deve essere stata una grande rinuncia per lei>> proseguì Elisa. Il quadro clinico le sembrava già abbastanza chiaro. Proseguì ancora con qualche domanda e poi la congedò.
Voleva ascoltare il bambino per avere la conferma di quello che sospettava. Aveva sei anni ma fisicamente ne dimostrava non più di quattro. Era magro e la statura era inferiore rispetto a quella media dei bambini della sua età. Il suo viso era dolce ma appariva pallido e scavato.
<<Ciao, io sono Elisa e tu devi essere Paolo giusto?>>
Il bambino timidamente annuì con la testa e poi con un filo di voce disse di sì.
Si guardava intorno incuriosito e distratto ma appariva irrequieto ed Elisa aveva difficoltà ad attirare la sua attenzione.
<<Va bene Paolo, allora ti fa male ancora tanto la pancia?>>
<<Sì, ma voglio andare via>>
<<Mi dispiace davvero, ma stai tranquillo perché il dottore farà di tutto per fare in modo che passi presto, così potrai tornare a casa>>
<<Lo so>> rispose flebilmente.
<<Bene quindi lo sai che il dottore ti guarirà?>>
Alzando le spalle rispose <<sì certo, perché succede ogni volta>>
<<E tu sei stufo di venire qui, non è vero?>>
<<Sì, ma non lo dire a mamma perché poi diventa triste>>
<<E come mai tesoro, me lo vuoi dire?>>
Il bambino scosse la testa fermamente facendole capire chiaramente che non voleva rispondere a quella domanda.
<<Allora raccontami qualcosa di te, ti piace andare a scuola?>>
<<Sì tanto, perché gioco con i miei amichetti e ne ho tanti sai?>>
<< Allora che ne dici se io e te diventassimo amici?>>
<<Va bene, urlò contento. Allora possiamo giocare?>>
Fece un balzo dalla sedia e si posizionò dritto di fronte ad Elisa che prontamente reagì rassicurandolo <<Ma certo Paolo che possiamo giocare, anzi, ti prometto che fra poco ti porterò in una stanza piena di giochi, va bene? >> mentre finiva la frase tentò di appoggiare la sua mano su quella del bambino per studiare la sua reazione al contatto fisico, ma non appena fece per avvicinarsi il bambino si ritrasse visibilmente spaventato.
Elisa riuscì a calmarlo ma quell'atteggiamento rappresentava un ulteriore conferma della sua diagnosi.
<<Allora Paolo se ora siamo amici possiamo confidarci ogni segreto. Ti va di raccontarmene uno?>>
Paolo si mostrava indeciso, qualcosa lo spingeva ad aprirsi a quella estranea così simpatica e rassicurante, ma nello stesso tempo appariva visibilmente terrorizzato.
<<Senti Paolo, facciamo così. Vuoi vedere che io indovino uno dei tuoi segreti?>>
Il bambino sorrise a quel nuovo gioco.
<<Allora, vediamo un po' se riesco ad indovinare... mmm.. secondo me il tuo mal di pancia è passato. È vero?>>
Paolo fece cenno di sì con la testa e la dottoressa proseguì <<anzi scommetto che tu non avevi mal di pancia quando sei venuto, ma non preoccuparti perché se è così io non lo dirò a nessuno>>
Il bambino la guardò sbigottito e quasi incredulo, ma subito dopo si mostrò impaurito.
<<Tesoro non devi avere paura. So che tu vuoi tanto bene alla tua mamma ma qualche volta ti fa piangere vero?>>
Paolo scoppiò in un pianto disperato, Elisa lo abbracciò. Non aveva bisogno di altre risposte ormai era chiaro, non era il bambino a stare male ma sua madre.
L'aveva capito fin dall'inizio. Il bambino presentava chiaramente segni di maltrattamento sia psicologici come la paura del contatto fisico, il rifiuto e la paura di sottoporsi agli esami clinici, l'irrequietezza e le difficoltà di mantenere a lungo la concentrazione, che fisici come l'evidente ritardo nella crescita.
La madre era affetta dalla cosiddetta "sindrome di Munchausen per procura", quindi inventava o addirittura procurava delle malattie fisiche al proprio figlio per portarlo poi in ospedale mostrandosi sempre eccessivamente preoccupata ed agitata.
Di solito queste madri possiedono delle capacità infermieristiche e le utilizzano per creare dei disturbi fittizi o reali nei propri figli per poi rivolgersi ripetutamente a medici e strutture sanitarie, cercando in ogni modo di attirare l'attenzione.
I padri, come in questo caso, sono gli elementi passivi nella coppia e quindi complici.
Elisa rimase scossa da quella vicenda, conosceva bene la sindrome perché l'aveva approfondita a lungo negli anni della specializzazione, ma vedere una madre che maltrattava il proprio figlio in quel modo, era tutt'altra cosa. Non riusciva a togliersi dalla mente il visino innocente e turbato di quel bambino che aveva provato a proteggere la madre con tutti i suoi mezzi ma che alla fine era crollato.
Sono bambini che non riescono a sottrarsi alle sevizie perché magari hanno un rapporto di assoluta dipendenza psicologica verso la propria madre, oppure perché hanno dei sensi di colpa verso i genitori o semplicemente perché hanno paura delle ritorsioni. Ma Elisa aveva letto la sofferenza negli occhi di quel bambino, l'aveva colta nei suoi atteggiamenti e nei suoi ripetuti messaggi di aiuto.
Il bambino fu allontanato dalla famiglia e affidato a una zia paterna che lo adorava.
Quella sera Elisa non riuscì a leggere né tantomeno a guardare la Tv ma appena appoggiò la testa sul cuscino cadde all'istante in un sonno profondo; purtroppo un nuovo incubo l'avrebbe turbata. Sognò ancora Matteo, ma questa volta si trovavano in macchina.
Non sapeva dove fossero diretti, chiacchieravano del più e del meno come avevano fatto tante volte e una canzone dei Beatles suonava alla radio. Improvvisamente Matteo prese una curva troppo velocemente, la macchina cominciò a perdere il controllo finendo sulla corsia di senso opposto. A tutta velocità si scagliò contro il guardrail, lo scavalcò e cadde giù nel precipizio, rotolando tra le rocce. Quando la macchina si fermò capovolta Elisa aprì gli occhi, era ancora viva. Ma quando cercò di voltarsi per guardare Matteo vide uno spettacolo orrendo, il suo viso era sfigurato e ricoperto di sangue, la sua testa era schiacciata sul volante. Cominciò ad urlare ma non riusciva a muoversi, era intrappolata nella macchina.
Si svegliò di soprassalto sconvolta e si spaventò ancora di più sentendo un rumore provenire dal piano di sotto. Pepe era sceso e aveva cominciato ad abbaiare incessantemente <<Pepe che succede? Stai buono. Chi è? C'è qualcuno?>>
Di nuovo un altro frastuono ancora più forte.
Con il cuore in gola, prese la prima cosa che le venne in mente, il bastone per appendere i vestiti nell'armadio.
C'era un forte vento che piegava gli alberi e dei lampi illuminavano la casa nella notte.
Accese la luce, scese le scale lentamente, un gradino per volta, arrivò al salone ma non vide nessuno, si affrettò a controllare lo sgabuzzino, poi il bagno, ma nulla.
Arrivò infine alla cucina, trovò la finestra spalancata ma le inferriate erano chiuse come le aveva lasciate la sera prima.
Finalmente poté tranquillizzarsi e dovette sedersi per non cedere allo spavento.
<<Non bastano gli incubi, ora ci manca anche una bufera nel cuore della notte>> pensò.
Accarezzò Pepe che ancora abbaiava verso la finestra e alla fine riuscì a calmarlo.
Probabilmente il forte vento aveva fatto sbattere la finestra <<che scema... la prossima volta farai più attenzione nel chiudere le finestre>> disse a se stessa a voce alta sorridendo.
Quegli incubi ripetuti però cominciavano a preoccuparla seriamente.Cari lettori/lettrici,
Elisa non riesce a restare indifferente di fronte a una bambina che soffre...scopriremo nei prossimi capitoli la causa di quel suo sguardo triste e il ruolo che questa piccola paziente avrà nella vita di Elisa.
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La Figlia dei Vicini
ParanormalElisa, dopo un'infanzia difficile e anni di studio e sacrifici, sembra aver raggiunto i suoi obiettivi: ha trentotto anni, è un medico affermato, specializzato nella psicoterapia infantile e finalmente può realizzare il sogno di acquistare una casa...