Il tramonto era sempre il momento più dolce della giornata. Le ombre sul terreno si allungavano a dismisura e anche ai più piccini veniva concesso di avere delle lunghissime gambe. In quei momenti di silenzio, dove la campagna circostante era
immersa nel grano, Renata fantasticava di diventare grande come la mamma. Si immaginava alta e forte, ne era certa, e nessuno si sarebbe più permesso di trattarla male.
Più il sole si nascondeva dietro le montagne e più i suoi occhi si facevano piccini, stretti nella morsa delle palpebre, per cercare
di vedere con maggiore chiarezza, il punto esatto ove la stradina si andava a perdere oltre la collina. Proprio laggiù, accanto al grande albero di castagne, che ora sembrava piccolo come il
bottone del suo vestitino, appariva sempre suo padre, con il suo immancabile cappello basco lacerato ben piantato sulla testa. Il lavoro in fabbrica era durissimo aveva sempre sentito dire e, nonostante questo, il suo papà non mancava mai di fargli il più dolce dei sorrisi. Renata riempiva i suoi polmoncini e gli correva incontro. Lungo il percorso i passi incerti della bambina la facevano crollare al suolo diverse volte."Non correre che poi cadi!" Il tono era dolce e rassegnato.
Le braccia di papà sono grandi e forti. Nel suo abbraccio si
ferma il tempo fra odore di terra e tabacco."E qui?" Le disse posando il pollice sulla fronte.
A lui non serve sentire la mia voce, gli basta un mio sguardo per intendere che tutto vada bene. Se qualcosa non è andata per il verso giusto... allora alzo un lato del labbro e scuoto leggermente la testa.
"Attenta. Devi stare attenta, capito?"
Il padre la liberò dal suo abbraccio posandola delicatamente al suolo. Le consegnò un fagotto chiuso in una benda e stretto da un legaccio.
"Vai dalla mamma adesso, e porta questo in cucina".
Renata corse verso la madre o presunta tale, contenta di svolgere un compito della massima importanza.
I suoi due fratellastri, gelosi delle attenzioni che la piccola aveva appena ricevuto dal padre, si gettarono su l'amorevole genitore."Ti ho detto mille volte di non correre! Metti sul tavolo e vatti a lavare quelle mani sudice!"
La mamma non sembra mai essere contenta. Il tavolo della
cucina è alto. Mi arriva sopra la testa e non riesco a reggere il peso di quello che porto.Un rumore sordo attirò l'attenzione della donna.
"Lo sapevo! Proprio a me doveva capitare la più scema fra le bambine! Guarda che disastro! Sparisci prima che..."
Il padre entrò dalla porta di casa in quel momento. Vide la
moglie china sul pavimento."Non la sgridare, è solo una bambina".
"Lo so, ma... guarda! Non ne combina mai una giusta".
L'uomo appese il basco a un grosso chiodo conficcato nel
muro e riempì la stanza con un sorriso."Fai come ha detto la mamma, tesoro. Vai a lavarti le manine e aiuta ad apparecchiare".
La donna posò il fagotto sul tavolo e cominciò a slegare i lacci con cura.
"Alici sotto sale, bene. Ho preparato del brodo e c'è ancora del pane".
"Che ne dici se mangiamo le alici e il pane domani? Il brodo di carne andrà più che bene per questa sera".
"Non è di carne, è di verdure. Quello di carne è finito già da ieri".
"Paulina mia... non importa. Andrà benissimo anche quello. E poi... non ho fame oggi, sono troppo stanco. Ce ne sarà di più per loro".
"Certo, come vuoi tu".
L'uomo le diede un tenero bacio sulla guancia. Poi si diresse verso la credenza di legno e aprì l'anta. Due monete caddero rumorosamente in un contenitore di latta.
"Con queste fanno in tutto cinque. Le altre? Le hai già spese?"
La donna indicò un pentolone in coccio appeso sopra il fuoco.
"Quello. Ho dovuto comprarlo nuovo. Quello vecchio si è rotto e quindi..." Il tono era irritato, quasi di rimprovero.
"Già, Renatina".
Il padre Mariano si girò verso la bambina che portava faticosamente dei piatti in legno. La piccina aveva la lingua di fuori e un'espressione accigliata mentre posava le stoviglie sul
tavolo."Sì! Renata, Renatina... o come diavolo la chiami tu. Un danno
dopo l'altro. Non sta mai attenta. Sparisce tutto il giorno. È sempre sudicia e non porta mai quelle dannate scarpe! E poi rompe tutto! Compreso il mio pentolone in coccio. Trent'anni
m'era durato. Trent'anni e mai una crepa. Non li fanno più così i pentoloni al giorno d'oggi!"L'uomo si adagiò sulla sedia di paglia posta a capotavola. Prese un sacchetto di tabacco dal taschino del suo gilet e cominciò a riempire una vecchia pipa in legno.
"Domani in fabbrica non entro".
Prese un fiammifero da una scatola di cartoncino e lo accese.
Una nuvola di fumo aromatico invase tutta la stanza.
La donna non disse nulla. Afferrò il pentolone dal manico con un panno logoro e lo posò direttamente sopra la tavola."Nessuno entra in fabbrica domani".
Mariano attese un qualsiasi commento. Paula invece rimase in silenzio mentre continuava a riempire di brodo caldo i piatti disposti disordinatamente sul tavolo.
"Nessuno entra perché abbiamo deciso che è ora di farla finita. Non vogliamo più farci sfruttare da questi maledetti... signori. Persone siamo. Uomini! Non bestie da mandare al macello. E poi? Perché dovremmo chiamarli signori? Che siano
dannati!"L'uomo avvampò di rabbia cercando disperatamente nella sua compagna una reazione. Una qualsiasi.
Paula alzò semplicemente un sopracciglio, si voltò verso il marito e lo guardò dritto negli occhi."Noi abbiamo deciso?"
Il capofamiglia, ancora tremante di ardore, prese un foglio dalla tasca dei pantaloni, lo spiegò con irruenza e lo posò sul tavolo.
"Noi!" Fece quest'ultimo puntando il dito sul pezzo di carta.
"Uniti! Tutti quanti, ce la possiamo fare!"
"Sai che non so leggere... che c'è scritto".
"UGT." Fece l'uomo con un tono di soddisfazione.
"U G cosa?" Replicò la donna con scarso interesse e poi chiamò all'appello i tre bambini affamati. "Bambini? A tavola!"
"Unione Generale dei lavoratori. Paula... Ti sto parlando di cose serie. È un'organizzazione sindacale che difende i lavoratori.
Possiamo ottenere grandi cose tutti assieme... una paga migliore... un maggior peso in ambito politico... senza contare
delle garanzie assicurative che potremmo ottenere in caso di malattia, oppure infortunio. Ci hai mai pensato? Cosa accadrebbe se io mi facessi male mentre lavoro alla fabbrica?"Le grida gioiose di Alvaro e Lucia, che entravano correndo
all'interno della stanza, interruppero Mariano."Piano! Non correte." Disse la donna con tono materno.
La piccola Renata, scalza e sporca di fango, entrò subito dopo. Teneva nel palmo della mano un grosso scarafaggio.
La maggiore delle sorelle diede una gomitata al fratellino da sotto il tavolo e cominciò a ridere.
Gli occhi della matrigna fulminarono la piccola bambina dai capelli rossi. Era così dannatamente diversa da tutti gli altri."Ci penso io... d'accordo?" Fece il padre alzandosi
repentinamente dalla sedia."Vieni con me piccola, andiamo a lavarci le manine".
La bambina mostrò con orgoglio l'insetto. Le sue labbra
delinearono il più tenero dei sorrisi.
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La strega di Eibar
Mystery / ThrillerLa figlia illeggittima del Re di Spagna Alfonso XIII deve morire. Renata, la bimba sopravissuta, sembra avere un particolare legame con il mondo dei morti da cui è miracolosamente riuscita a fuggire. Felix Mortiger, uomo senza scrupoli al servizio d...