I primi colloqui con i casi disperati si somigliavano tutti: alcuni masticavano una gomma, altri mi guardavano con la faccia annoiata, i più temerari si erano azzardati ad accendersi una sigaretta; ma qualcosa li accomunava senza distinzione, ed era la postura scomposta.
Si gettavano tutti sulla sedia come sacchi dell'immondizia, gli arti cadevano dove capitava e lì restavano. Sembravano marionette abbandonate.
E lo aveva fatto anche Alice, ovvio. Me lo ricordo come fosse ieri. Era entrata nel mio ufficio sbuffando e aveva buttato il culo stretto sulla sedia come se pesasse tre tonnellate anziché cinquanta chili con la merda e tutto. Aveva incrociato le braccia sotto il seno, il mento alto e lo sguardo perso verso la finestra, una gamba accavallata al bracciolo della seduta.
Xavier, al mio fianco, emise il suo rituale grugnito di disapprovazione. Lui li disapprovava tutti, di default, al primo sguardo. Poi mi scassava il cazzo per le prime tre settimane dato che io, invece, ne accoglievo più di un terzo, che per lui erano troppi.
Fosse stato per Xavier, alla base saremmo stati io, lui, Ziva e Ombra. In quattro. Di cui solo due bipedi.
Invece eravamo più di seicento, e io e Xavier, insieme, li avevamo raddrizzati tutti quanti, quelli che avevo accettato di accogliere. Erano rimasti. Anche se non tutti erano ancora vivi.
«Alice Mivato» lesse dalla scheda della ragazza. «Un metro e cinquantotto...»
«Cinquantanove» lo corresse lei, senza girarsi a guardarci. Sorrisi. Ci cascavano sempre. Era attenta, stava ascoltando. Ci teneva, anche se faceva la bulletta.
Xavier si schiarì la voce. «Bene. Un metro e cinquantanove, allora. Cinquantuno chili... venticinque anni. Perchè c'è un asterisco accanto all'età? E non vedo la data di nascita.»
La stronzetta fece spallucce, determinatissima a proseguire nello studio del panorama e ad evitarci l'onore del suo sguardo. «Si saranno sbagliati nella compilazione.»
Xavier mi passò la cartellina con le generalità di Alice. Sapevo già tutto. E lo avevo saputo senza bisogno di leggerla. «Hai collezionato richiami, note disciplinari, tre trasferimenti, una nota di demerito e...oh. Complimenti. La settimana di isolamento dopo una di sospensione è un traguardo che avevo visto meno di dieci volte finora. E qua siamo in parecchi, come avrai notato. Vediamo che hai combinato per far perdere la pazienza ai colleghi della base 3...»
«Rissa » sputò lei. Ma sapevo che era vero solo per metà. Anzi. Meno di metà.
«Rissa, già. E stato di ubriachezza molesta, a quanto pare. Con contorno di insubordinazione, resistenza a un superiore, oltraggio ai colleghi e per dessert abbiamo anche atti di vandalismo.»
Richiusi la cartellina e la lanciai sulla scrivania. La lasciai mantecare nel disagio e nella paura, fissandola imperterrito mentre il nostro silenzio diventava quasi solido. Ovviamente cedette prima lei, con grande soddisfazione di Xavier, che adorava quel tipo di vittoria in ogni occasione.
«Definire atto di vandalismo il lancio di un bicchiere mi sembra quantomeno eccessivo » si giustificò.
«Era un intero vassoio e i bicchieri erano pieni, Mivato.»
«Capirai. Mica ho imbrattato la Cappella Sistina.»
«Lo hai lanciato contro la vetrina dei trofei.»
«Avevano preso male i tempi.»
«Ne dubito.»
«Ho nuotato più veloce io e hanno premiato la persona sbagliata.»
Xavier sbuffò. «Questa è una base ELA, Mivato. Non vi alleniamo per le Olimpiadi, vi addestriamo per missioni di salvataggio. I trofei sono solo simbolici.»

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Disturbia
Romance"Qui accettiamo solo due tipi di persone: quelle che sono disposte a perdere tutto, e quelle che non hanno più niente da perdere." Cresciuta in una gabbia dalla quale è stata liberata a 12 anni, Alice teme le sbarre più della morte. Anni dopo viene...