Il giorno dopo, la piazza centrale di Philips si presentava come una distesa silente, accarezzata da un vento gelido che sembrava voler strappare via ogni segno di vita. Il cielo, gravido di nuvole dense e scure, filtrava una luce pallida e smorzata che si rifletteva sulle pietre del selciato, facendole sembrare ancora più fredde e sfinite. Marilyn camminava con passo lento e rassegnato, il suo respiro visibile nell'aria gelata, che sembrava ghermirla come un manto di solitudine. Il suo corpo, avvolto in un cappotto troppo grande, si muoveva in modo quasi meccanico, privo di energia, come se quella mattina fosse una continuazione di una notte che non aveva mai smesso di esistere. Ogni passo, ogni battito del cuore sembravano sospesi, per quanto lei cercasse di fuggire dalla sensazione di oppressione che le stringeva il petto.
Alan la stava aspettando, fermo sulla soglia di casa, lo sguardo perduto nel vuoto. La sua figura era un'ombra nel paesaggio grigio e innevato, come se si fosse fuso con il mondo che lo circondava, diventando parte di quell'atmosfera impassibile. Quando Marilyn arrivò, non ci fu alcun saluto, né parole, solo il tacito riconoscimento di un dolore comune che li univa senza bisogno di parole. Si misero a camminare fianco a fianco, senza affrettare il passo, come se il tempo stesso avesse smesso di scorrere, sospeso in un limbo di incertezze.
La strada verso casa Camden fu lunga, ma le distanze sembravano ridursi nell'intimità del silenzio che li circondava. Non c'era fretta di arrivare, né di fuggire da qualcosa. La città di Philips, che una volta era sembrata così vivace, ora era un luogo vuoto, opaco, in cui persino le strade sembravano non avere più direzione. Le ombre degli alberi, le case scure e le finestre chiuse sembravano incastrarsi in un paesaggio che non faceva che amplificare il senso di smarrimento che li accompagnava. Quando arrivarono a casa Camden, la porta era socchiusa, ma l'aria che fuoriusciva da lì non portava con sé la calda accoglienza che normalmente avrebbe caratterizzato una casa in crisi. No, quella porta sembrava lasciar uscire un'ondata di angoscia e paura, come una presenza incombente, insostenibile.
Dentro, Anastasia e Walter erano lì ad attenderli. Anastasia, che solitamente emetteva una forza tranquilla, ora era piegata su se stessa, gli occhi gonfi di lacrime trattenute, la pelle pallida e le mani che si muovevano in gesti nervosi, come se cercassero qualcosa di concreto per calmare il suo spirito in tumulto. Walter, al suo fianco, aveva il volto segnato da una preoccupazione che non riusciva a nascondere. La sua figura, sempre solida e imponente, ora sembrava consumata dall'incertezza. I suoi occhi, usualmente lucidi e taglienti, erano ora velati di una tristezza profonda, di un'incapacità di affrontare l'impotenza di quella situazione.
"Vi prego," la voce di Walter si fece bassa, intonata con un'accorata necessità di aiuto, "aiutateci. La polizia ha cominciato le sue ricerche, ma Milo è sparito. Non c'è traccia di lui. Non sappiamo dove sia."
Le parole, che rimbombavano nelle orecchie di Marilyn come un colpo sordo, sembravano amplificarsi nell'aria, facendo vacillare ogni certezza che lei avesse cercato di costruire. Il peso della responsabilità, quello che da sempre aveva cercato di rifiutare, ora la opprimeva senza possibilità di fuga. Alan, silenzioso accanto a lei, non rispose, ma il suo sguardo si fece più intenso, più tagliente, come se ogni parola di Walter gli penetrasse direttamente nell'anima. Anastasia, incapace di contenere il dolore, si lasciò andare, le mani che tremavano mentre si stringevano nervosamente attorno a un fazzoletto ormai inzuppato di lacrime. La sua figura, solitamente dignitosa, sembrava sfaldarsi in mille pezzi sotto il peso dell'angoscia, le sue labbra emettevano suoni soffocati da un pianto inarrestabile.
"Non so dove possa essere," mormorò Anastasia, la voce rotta, "ha solo quattordici anni. Dov'è finito mio figlio?"
Le parole di Anastasia, cariche di disperazione e di una perdita che non riusciva ad accettare, si posarono nel cuore di Marilyn come un macigno. Eppure, qualcosa dentro di lei, una piccola scintilla di resistenza, lottava per farsi strada. Non poteva permettersi di cedere. Non adesso. Non quando una vita, soprattutto quella di Milo, era in gioco.
Walter si alzò dalla sedia, si avvicinò a Marilyn e ad Alan con un'espressione stanca, ma anche piena di speranza. "Non sappiamo dove cercarlo," disse con una fermezza che tradiva una paura celata, "ma forse... forse potete aiutarci a trovarlo. Avete visto qualche segno? Lui ha sempre avuto dei posti in cui si rifugiava..."
Alan e Marilyn si guardarono, entrambi consapevoli che, per quanto disperata fosse la situazione, l'unica speranza sarebbe stata quella di tornare nei luoghi che Milo aveva amato, nei suoi rifugi segreti, nei posti che custodivano i suoi pensieri e i suoi sogni.
Dopo lunghe riflessioni, tornarono dai Camden per chiedere informazioni più precise. Anastasia, tra un singhiozzo e l'altro, ricordò una radura, un luogo deserto a cinque ore di macchina da Philips, dove Milo aveva passato alcuni dei suoi momenti più sereni, lontano dalla confusione e dalle aspettative del mondo che lo circondava. Era un posto lontano, un angolo dimenticato dalla società, un luogo dove il tempo pareva essersi fermato.
Con determinazione, Marilyn e Alan si avviarono senza indugi. Il viaggio fu lungo e difficile, il paesaggio che scivolava oltre i finestrini del treno sembrava una distesa senza fine, con poche case sparse che sembravano quasi evaporare nell'inverno gelido. Arrivarono in un paesino desolato, lontano dalla città, dove l'eco del mondo sembrava essersi dissolto nel nulla.
Iniziarono a cercare, ogni passo li portava più lontano da tutto ciò che conoscevano. Dopo ore di cammino, finalmente arrivarono alla radura che Anastasia aveva descritto, un luogo di scogliere e vento, dove il mare si frangeva violentemente contro le rocce e il cielo sembrava sempre sul punto di scoppiare. E lì, sulla sommità di una scogliera, videro Milo.
Era immobile, la sua figura avvolta dal vento che sferzava la sua pelle pallida. I suoi occhi, rivolti verso l'orizzonte, sembravano fissare il mare in un silenzio che parlava più di mille parole. Non c'era rabbia né disperazione in lui, solo un'apparente pace che sfidava la solitudine del luogo.
Marilyn si avvicinò lentamente, Alan al suo fianco. Si sedettero vicino a lui, senza dire nulla. Il silenzio era pesante, ma anche liberatorio. Poi, come se un'improvvisa scarica di energia avesse scosso l'aria, si alzarono tutti in piedi e iniziarono a urlare, ridendo, come per liberarsi da un peso insostenibile, come per rompere l'incantesimo della solitudine che li aveva intrappolati.
Quando il vento smise di fischiare, e il rumore dei loro urli si placò, rimasero tutti seduti, a guardare il mare. Non avevano bisogno di parole. Avevano trovato Milo, e con lui, una nuova speranza che sembrava risorgere dal nulla.
Il ritorno fu silenzioso, ma non più oppresso. Sui volti di Marilyn e Alan c'era la consapevolezza che, anche nelle tenebre più fitte, una luce di salvezza poteva sempre brillare. Ritornarono alla stazione dei treni e presero il viaggio di ritorno verso Philips. Milo non era più solo. E forse, finalmente, anche loro avevano trovato il coraggio di vivere senza paura.
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Riflessi di noi
Teen FictionIn una piccola cittadina sulla costa dell'Oregon, tre adolescenti - Marilyn, Alan e Milo - sono legati da un'amicizia complessa e da segreti che minacciano di distruggere le loro vite. Marilyn, una ragazza ribelle e solitaria, cerca di fuggire dal c...