La metro è affollata, come sempre. Il solito miscuglio di volti stanchi e voci monotone si fonde con il rumore ritmico dei binari, ma oggi non riesco a concentrarmi su nulla. I miei occhi sono fissi su una cosa sola: il biglietto. Lo stringo tra le dita, il bordo ormai sgualcito dalle troppe volte in cui l'ho rigirato nervosamente. Ogni volta che lo guardo, la mia mente si riempie di pensieri confusi che si accavallano come onde in tempesta, e nessuno di loro sembra condurmi a una risposta chiara.
È passato più di una settimana da quando quel pezzo di carta è comparso nella mia vita. Da allora, non faccio altro che pensarci. Ma non so cosa farmene. Ho paura di usarlo, eppure non riesco a liberarmene.
Resto immobile, fissandolo con lo sguardo perso, finché il suono delle porte che si aprono non mi scuote. La metro è arrivata.
Il giorno dopo il licenziamento ho passato ore a cercare un nuovo lavoro. Cameriera, di nuovo. È tutto ciò che il mio curriculum ha da offrire. Oggi ho un colloquio.
Salgo di corsa e, per fortuna, trovo un posto a sedere. Mi lascio cadere sul sedile, il cuore che batte troppo forte per un gesto così semplice. Frugo nella tasca per prendere il telefono e distrarmi, ma con il cellulare tiro fuori anche il biglietto. Ancora. Involontariamente, inizio a fissarlo di nuovo.
"Hai la possibilità di cambiare, ma non senza rischi."
Le parole del salesman rimbombano nella mia mente, così vivide che mi sembra quasi di sentirle pronunciare una seconda volta.
"I più alti. La tua vita... per un futuro che non hai mai osato immaginare."
Che cosa intendeva dire? Quale futuro? E a quale prezzo?
Il treno rallenta e si ferma. Solo quando le porte si aprono capisco di essere già arrivata. Mi alzo di scatto, afferrando la borsa. Il biglietto resta incollato alla mia mano.
Soltanto quando alzo lo sguardo, sospirando, lo vedo.
L'uomo. Il salesman.
Cammina con passo sicuro, salendo le scale della stazione come se il mondo fosse suo.
Il cuore mi si blocca in gola. Lo fisso, incapace di muovermi.
Poi un pensiero mi attraversa come una scossa elettrica: ho bisogno di risposte.
"Ehi! Aspetta!"
La mia voce si perde nel caos.
Inizio a correre. La folla mi spinge, braccia e spalle mi colpiscono da ogni lato. "Fermo! Aspetta!" grido di nuovo.
Lo vedo sparire oltre un angolo. Mi fermo, ansimando. Che ore sono? Tiro fuori il telefono. 11:23. Il colloquio è alle 11:45.
Ho tempo.
Mi ripeto quelle parole mentre lancio un'occhiata ai vicoli stretti di Seoul.
E poi scatto.
La folla mi spinge da ogni lato, le spalle urtano le mie mentre avanzo. Le mie scarpe producono un fruscio a contatto con il cemento della strada, ma non rallento.
Il salesman è davanti a me, inconfondibile con il suo completo impeccabile e l'aria sicura di chi non teme nulla.
Quando gira l'angolo, accelero, il respiro corto. Lo perdo di vista per un momento, poi lo scorgo di nuovo: alto, composto, come se sapesse esattamente dove andare."Ehi! Aspetta!" grido. La mia voce si perde nel brusio dei passanti, ma non mi arrendo.
Finalmente, lo raggiungo. Gli afferro il braccio. La stoffa della giacca è liscia sotto le dita, come seta. Si volta lentamente, un sorriso che non arriva agli occhi.
"Ci incontriamo di nuovo, vedo." La sua voce è calma...quasi neutra, come se fosse perfettamente normale che io lo stia inseguendo per le vie di Seoul.
Lo fisso, il cuore che batte come un tamburo. "Ho bisogno di risposte. Questo biglietto..." Tiro fuori il foglietto, la carta che tremola tra le dita. "Che cosa significa? Perché me lo hai dato? Che cosa c'è dietro tutto questo?"
Lui abbassa lo sguardo sul biglietto, un cenno vago, quasi incurante. "Ho fatto il mio lavoro, niente di più."
"Un lavoro?" scatto. "Che tipo di lavoro dà biglietti per... per giochi di cui non si conoscono le regole?"
Il suo sorriso si allarga, e c'è un lampo fugace nei suoi occhi scuri. "Un lavoro interessante, questo è certo." Si avvicina di un passo, la sua voce si abbassa appena. "Non è qualcosa che ti riguarda, ragazzina."
Mi irrigidisco. "Non chiamarmi ragazzina."
"Ah, ti sei offesa?" La sua espressione resta immutata, ma c'è qualcosa nel suo tono che mi fa stringere i pugni.
"Smettila di giocare. Se è così pericoloso, perché hai scelto me? Perché... perché io?"
Le sue labbra si incurvano in un sorriso sottile, quasi beffardo. "Chi ha parlato di pericolo?"
"Le tue parole. Hai detto che i rischi erano altissimi, che la mia vita era in gioco. Non pensare che abbia dimenticato."
"Molte cose nella vita sono rischiose. Attraversare la strada può essere letale. Mangiare il piatto sbagliato può portare a una fine improvvisa. Tutto dipende dal punto di vista."
"Questo non è attraversare la strada, ed entrambi lo sappiamo." Le mie mani tremano, ma tengo lo sguardo fisso sul suo. "Cos'è questo gioco? Perché dovrei fidarmi di te?"
Lui ride piano, una risata che sembra priva di calore. "Non dovresti fidarti di nessuno. Fidarsi è il primo errore."
"Allora perché lo fai? Perché recluti persone?"
Un attimo di silenzio. Poi inclina la testa, un'ombra nei suoi occhi. "Perché è il mio compito. Perché ognuno ha il suo ruolo da giocare, e il mio è questo."
"Che ruolo dovrei giocare io?" sussurro.
"Quello che scegli. Ma ricorda, le scelte hanno un costo." Si volta, il sorriso che torna a piegargli le labbra. "E ora, se non ti dispiace, ho altre cose da fare."
"Aspetta!" faccio un passo avanti. "Io—"
"Vai a casa, ragazzina." Non mi lascia finire. "Non insistere. Ho lottato abbastanza per oggi."
Mi blocco, il cuore pesante di domande che non avranno risposta. Lo guardo allontanarsi, le sue spalle larghe e impeccabili mentre scompare tra la folla.
Quando finalmente torno a casa, la porta cigola e il solito odore di alcol mi colpisce come un pugno. Sono stata assunta al nuovo lavoro, ma mio padre è riverso sulla poltrona con lo sguardo perso nel vuoto, ciò fa ritornare la mia giornata nella solita monotonia.
"Sono a casa." La mia voce è un soffio.
Un grugnito. Nulla di più.
Salgo le scale, chiudo la porta della mia stanza e mi lascio cadere sul letto. Il biglietto è ancora tra le dita. La carta è ruvida contro la mia pelle.
Respiro profondamente. Prendo il telefono e digito il numero.
Uno squillo.
La voce dall'altra parte è fredda e impersonale.
"Nome e data di nascita."
Esito solo un istante.
"Sophia Min-ji, 21 settembre 1999.

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suspended
Fanfictione se il salesman oltre che un reclutatore fosse stato anche una guardia? Sophia Min-ji aveva appena perso il suo unico mezzo di sostentamento, il suo lavoro, trovandosi intrappolata in un vortice di debiti. Sospesa tra la disperazione e l'incertezza...