𝟏𝟒.𝐂𝐡𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐞̀ 𝐝𝐢𝐬𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐥'𝐮𝐨𝐦𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐨𝐭𝐭𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐢𝐨̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞?

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«Vuoi giocare paparino anche quando sei nella tomba? Bene, allora giochiamo

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«Vuoi giocare paparino anche quando sei nella tomba? Bene, allora giochiamo.»

Mi lego i capelli e attacco una lavagna bianca al muro della mia nuova camera, con i vari pennarelli che ho trovato in uno sgabuzzino inizio a creare il programma di studio. Mi segno le pagine, i tempi che impiego per studiarle, quante volte ripeterle, a distanza di quanto tempo, le pause, che cosa farò in quei minuti. Cambio pennarello per ogni fascia oraria e quando finisco mi allontano per vedere la lavagna piena di lettere e numeri.

«Ce la posso fare. Non mi devo far prendere dal panico.»

Mi siedo alla scrivania e metto il timer. Apro il libro e quando realizzo la mole di studio mi viene da mettermi le mani nei capelli e sbattere la testa contro il muro, perché in tutti questi giorni non ho fatto niente e ora mi ritrovo a dover recuperare quasi l'intero programma fatto fino ad ora.

Prendo l'evidenziatore, ma la mia mente continua a vagare.

Perché mi sono distratta? Non avrei mai dovuto permettere a qualcuno di allontanarmi dal mio obiettivo.

Se al posto di litigare con Ryan avessi studiato? Se al posto di andare in missione con i Blackland avessi fatto gli esercizi? Se al posto di dormire, di mangiare, di respirare me ne fossi stata alla scrivania a ripassare?

Guardo i minuti scorrere sul timer, ne sono già passati cinque e non ho fatto niente.

Provo a concentrarmi, riprendo l'evidenziatore e sottolineo i concetti chiave, ma mi sembra di agire come un robot senza incanalare le informazioni e quindi sono costretta a rileggere lo stesso paragrafo una decina di volte.

«Concentrati, cazzo.»

Inizio a creare una mappa concettuale, ma mi ritrovo a scrivere frasi intere o poco più di due parole.

«Che cosa è successo, perché non riesco più?» Prima riuscivo a estraniarmi dal mondo, stare ore e ore alla scrivania, così concentrata da non percepire nemmeno la fame, mentre ora tutto sembra essere più importante di uno dei presidenti americani.

Un rubinetto perde, fuori c'è vento, qualcuno al piano di sotto sta ridendo e tutto questo mi sta maledettamente confondendo.

Sono passati dieci minuti e io non ho ancora fatto niente.

Guardo la tabella degli orari sul muro e mi rendo conto che se non recupero i minuti dovrò rifarla da capo e perdere altro tempo. Tempo. Tempo. Tempo.

Ci riprovo, prendo un altro libro, letteratura è la mia materia preferita dovrei riuscirci, ma ancora una volta le parole di Romeo per Giulietta vengono solamente viste dai miei occhi e non apprese dal mio cervello.

Provo a leggere ad alta voce, in piedi, sul letto, ma nulla sembra cambiare.

Che problema ho? Prima non ero così.

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Sto perdendo tempo, tempo prezioso. Il timer scorre e io sono allo stesso punto di prima.

La gente non capisce e se glieli provassi a spiegare come mi sento ogni volta che studio, mi prenderebbe per pazza, vedrebbe solamente una ragazzina manipolata dal padre e io non sono questo, perché per quanto i suoi modi fossero sbagliati aveva ragione.

Aveva ragione? Come posso pensare questo? Sto impazzendo, non riesco più a distinguere giusto da sbagliato. Se diventassi anch'io come lui?

Perché diavolo continuo a farmi migliaia di domande al posto di studiare?

Tanto è inutile che io pensi ad altro, perché a nessuno interessa la mia opinione e per questo non dovrebbe importare nemmeno a me.

Abbasso lo sguardo sui compiti e guardo il telefono. Una soluzione c'è, ma è sbagliata.

Mi alzo dalla sedia incapace di stare seduta e cammino avanti e indietro per la stanza.

Barare una volta non ha mai fatto male a nessuno, no? Si gioca per vincere non per perdere.

«Questa è la prima e l'ultima volta.» Prendo il telefono e scorro nella rubrica fino al numero di Chris, schiaccio sulla cornetta e aspetto che risponda.

«Pronto?» mi chiede e dalla sua voce riconosco che è confuso. Raramente parliamo se non per salutarci o passarci il sale a pranzo e una chiamata da parte mia è inaspettata.

«Ehm, ciao Chris.»

Come glielo dico?

«Ciao Kaia.»

«Senti arrivo subito al punto.» Prima lo faccio meglio è no? Al massimo riattacca. «Avresti dell'Adderall?»

Passano secondi di silenzio e poi sento un sospiro. «Offro io per questa volta, ma sappi che sei morta se lo dici a Ryan o ai tuoi fratelli.»

«L'avrei chiesto a loro se avessi voluto che lo scoprissero.» Alzo gli occhi al cielo, ma almeno sono soddisfatta di aver chiamato la persona giusta. Ryan me l'avrebbe negato, con i miei fratelli non ho intenzione nemmeno di parlarci e i Blackland, per quanto so che spaccino, non voglio si facciano una brutta idea di me.

«Dove vuoi che ci vediamo, ragazzina?»

«All'incrocio tra la quarta e la quinta.» È vicino a me e quindi posso raggiungere il luogo anche a piedi.

«A tra poco.» Riattacca e mi metto il giacchetto.

Blocco il timer sulla scrivania e guardo la lavagna. Questa sarà la prima e l'ultima volta.


Mentre aspetto Chris controllo quali siano gli effetti collaterali dell'Adderall, ma questo non mi fa desistere dal prenderlo. Parole come insonnia, perdita dell'appetito, aumento della frequenza cardiaca, nervosismo, rischio di problemi cardiaci e ipertensione non mi spaventano, perché ho paura di qualcosa di molto più grande e questa piccola pasticca mi può salvare.

Vedo Chris arrivare e alzo una mano in segno di saluto, ma lui non ricambia.

Ha un occhio nero avanza verso di me a grandi falcate. Mi guardo intorno per vedere se ci sia qualcuno e fortunatamente non è così.

Arriva così vicino a me che per poco non gli appoggio le mani sul petto e lo allontano. «Calma, ragazzina, te la voglio solo mettere in tasca.» Sento la sua mano insinuarsi nella tasca del giacchetto e lasciare lì ciò che gli ho chiesto.

Infilo la mano per controllare se ci sia e prendo tra il pollice e l'indice la pastiglia liscia e dura.

«Grazie» gli dico, ma ormai si è già voltato.

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