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La giornata prosegue come mille altre, indolore, ma scorre via più veloce. La noia della scuola, con le solite facce e le solite lezioni, è più sopportabile oggi perché c'è un obbiettivo da raggiungere. E l'obiettivo è punire chi lo merita. Erik.
Abbiamo studiato ogni dettaglio.
Tutte le sere Erik va a correre. Spesso al Piccolo Parco, non lontano dalla scuola, altre volte lungo il fiume. Appena prima del Porto Vecchio, alcune rampe di scale conducono, dalla strada principale, a un argine non molto frequentato, perché soggetto a frequenti allagamenti. Durante il giorno qualcuno ci si avventura per fare jogging o due passi con il cane, ma dopo il tramonto diventa il regno delle bande. Ognuno ha la sua zona, ognuno i suoi interessi. Lo spazio va conquistato. Come nella giungla. È lì che troveremo Erik stasera. Solo un pazzo come lui, che non c'entra nulla con le bande, ma che ostenta nei loro confronti una forma di superiorità, può addentrarsi in quel territorio di nessuno quando cala il sole.
In un simile ambiente non si fa caso a un po' di violenza.
Non ci fa caso nemmeno la polizia, che ormai è abituata a pestaggi e risse. Spesso sono proprio i poliziotti a provocarle. È il posto perfetto, per un agguato.
Le ragazze e io ci troviamo ai piedi della scalinata, vestite di scuro e con i cappucci tirati sulla testa. Beviamo birra e fumiamo, per non attirare troppo l'attenzione.
"Silenzio e calma" dico. "Ognuna sa cosa deve fare".
Da sotto i cappucci, gli occhi di Naomi, Seline e Agatha riflettono la luce dei lampioni che fiancheggiano l'argine.
Abbiamo stabilito tutto con cura: dove avverrà, chi gli bloccherà la strada e chi gli sbatterá negli occhi lo spray al peperoncino. Non sono ammessi errori, né incidenti. Vogliamo solo umiliarlo, il bastardo, almeno quanto lui ha umiliato Seline. Vogliamo solo che capisca come ci si sente.
Passano i minuti, lentissimi. Il tempo è scandito dai nostri respiri. Dobbiamo restare calme, mi ripeto nella mente.
Dopo dieci minuti, comincio a pensare che Erik non verrà.
Le ragazze e io ci guardiamo negli occhi, alla ricerca della cosa giusta da fare.
Con la mano faccio segno di pazientare ancora un'altro po'.
Non possiamo rinunciare proprio ora. Mi sporgo a guardare l'argine. L'acqua è nera, oleosa.
Osservo il via vai degli skater. Figure incappucciate che procedono con i pugni chiusi nei pantaloni della tuta. E poi lo vedo. Erik. Viene verso di noi. Zoppica e si tiene la testa con una mano.
Faccio segno alle altre. Aspettiamo.
Non appena si avvicina alla luce di un lampione, noto che ha la maglietta sporca di sangue. Non riesco a vederlo in faccia, ma da come si muove ne sono certa: qualcuno l'ha pestato. E sembra aver fatto un buon lavoro. Di sicuro, ci ha risparmiato la fatica.
Infilo una mano in tasca e sfioro il campanellino di Lina. Avverto un brivido che dura un istante e quasi penso di lasciar perdere. Ma poi allontano ogni scrupolo: Erik deve pagare.
Faccio un cenno alle ragazze.
Seline e Naomi annuiscono, ma sono spaventate. Agatha invece è apparentemente tranquilla. Dobbiamo procedere. La ritirata sarebbe da codardi.
Usciamo allo scoperto, rapidi e implacabili. Erik si trova qualche decina di metri davanti a noi e balcolla come una barca abbandonata nella tempesta. Lo raggiungiamo in pochi secondi. Io mi metto di fronte a lui, per sbarrargli la strada. Lui vede le mie gambe e fatica a sollevare la testa. Mi riconosce.
Lo guardo: ha un occhio livido iniettato di sangue. Il naso sembra rotto e il labbro superiore è tutto gonfio. I suoi capelli chiari sono incrostati di sangue rappresso e spettinati come avesse preso una scossa elettrica. I pugni hanno cancellato la sua bellezza come una passata di straccio su un dipinto ancora fresco.
"Che spettacolo disgustoso!".
Sono io la prima a parlare.
"Cofa vfuoi?".
Lui sputa saliva, sangue e schegge di dente e mi punta contro un dito. Il drago inciso sul suo anello d'argento pare alimentare la sua fiammata alla luce  del lampione. Sta pensando che siamo state noi a mandare quelli che l'hanno pestato. Si sbaglia, ma glielo lascio credere.
"Lo sai benissimo!".
Ora si fa avanti Seline, spuntandomi alle spalle. È lei che ha lo spray.
Avanzano anche Naomi e Agatha, silenziosa come sempre.
"Cos' hai fatto a Seline, bastardo?!" grida Naomi. Poi afferra lo spray dalle mani di Seline e lo avvicina al naso di Erik. "Lo vedi questo? Ne vuoi un po'?".
Ora lui sembra spaventato. Il suo occhio sano è completamente spalancato.
"Non...non...ftto...".
È il momento di insistere.
"Dammi il telefono!".
Lui obbedisce e mi consegna il cellulare.
"È registrato qui quel maledetto filmato?".
"Non..."
"È registrato qui?"
Erik annuisce. Io consegno il telefono a Seline.
"Cancella quella porcheria, Seline".
Ho tutto sotto controllo.
Lei,  invece, lo getta nel fiume. Sento il tonfo nell'acqua.
Erik lancia un'inprecazione.
"Ma sei impaffita?".
"Stai zitto".
Agatha è rimasta in silenzio. All'improvviso fa due passi avanti verso Erik. Intuisco che  qualcosa non va e le afferro un braccio per fermarla. Lei arretra e torna al suo posto.
Il suo sguardo ha un che di inquietante.
Erik vacilla malfermo sulle gambe, finché ci crolla davanti, in ginocchio. Noto che sta fissando le vecchie scarpe da ginnastica rosse ai piedi di Agatha. Le indossa sempre. Sono il suo marchio distinto. E probabilmente le uniche scarpe che ha.
Naomi mi lancia uno sguardo interrogativo. Non sa cosa fare. Anche le altre sembrano incerte.
Agatha torna alla carica. Strappa la bomboletta dalle mani di Naomi e dice: "Procediamo con il nostro piano".
Cosa avrà in mente?
Afferra Erik per i capelli e gli rovescia la testa all'indietro. Lui la fissa con l'occhio sano. È uno sguardo di sfida. Capisco che ha paura, ma anche che si farebbe accecare piuttosto che mostrarlo. Agatha non ha esitazioni: fa saltare il tappo di protezione dello spray. La sua ferocia si diffonde nell'aria, come una nube di gas tossico.
"Sei solo un verme schifoso!".
E gli spara il peperoncino in faccia.
Erik urla come un animale al macello e anche Seline urla, cercando di sfogare il mare di vergogna che ha dentro. Ma è solo una goccia.
Naomi è impietrita.
Agatha scarica tutta la bomboletta, e solo allora lascia i capelli di Erik, che si dibatte a terra, tenendosi le mani premute sugli occhi.
"Brucia! Brucia! Brucia!".
Agatha sorride, maligna. Getta la bomboletta ormai vuota nel fiume. Io cerco di scacciare dalla testa un turbine di pensieri e m'inginocchio davanti a Erik.
"Bruuuciaaa!".
"Per ora basta così" gli dico. "Se apri bocca, ti garantisco che la prossima volta ti accendiamo come un falò di Natale".
Da come sta zitto e si contorce capisco che ha capito.
Le ragazze sono con me. Subito dietro.
Lo lasciamo lì, a terra.
Il mio cuore batte a mille.
Nella tasca suona lontano un campanellino.

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