Capitolo trentanove

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PIPER:

<Alex.. Alex!> La scuoto bruscamente per riportarla alla realtà. È passata una settimana dalla sparatoria e lei molto spesso si isola.
Cala un velo oscuro sul suo volto, i suoi occhi si perdano nel vuoto e non posso intrufolarmi nei suoi pensieri, ed Alex non ne parla.
Si estranea in luoghi a me sconosciuti, lasciandomi fuori dal suo mondo, ed è insopportabile non poterci fare niente.

<Si... Si sono qui.> Sbatte ripetutamente le ciglia, fissandomi con quello sguardo intimorito, con le labbra schiuse e le mani tremanti.
È come se per lei il tempo, si fosse fermato in quel parcheggio, ed ora è impossibilitata a far ripartire l'orologio.
<Che c'è Alex? Parlami.> La supplico, scosto la sedia al lato del tavolo, sedendomi vicino a lei e stringendo la sua mano debole, nella mia stretta forte.
<Non... Non è niente.> Balbetta scuotendo la testa e rivolgendomi un sorriso tirato.
A volte un niente, più essere tutto.

Le servo una tazza di caffè, successivamente ne verso un po' anche per me. Osservo il caffè... pian piano che sale, riempie l'interno vuoto e bianco, della tazza.
Vorrei essere così per Alex: una miscela calda, che riesce a riempire i suoi spazi bianchi e vuoti.

<Non hai dormito stanotte. Ti ho sentita girarti nel letto e borbottare qualcosa, per quasi tutta la notte.> Poggio il termos sul tavolo, stringendo la tazza calda, fra le mie mani fredde. La mattina in questo appartamento, c'è sempre molto fresco, ma oggi c'è qualcosa di più freddo della temperatura: Alex.
<Non lo so.> Scrolla le spalle, nascondendo il suo volto dietro alla tazza di caffè <Forse sognavo.> Mente.

Il suo silenzio è frustante e sono arrivata al massimo della sopportazione.
Sbatto la tazza sul tavolo, un po' di caffè cade sul legno. Alex sobbalza sulla sedia, si guarda intorno spaventata, trattenendo il respiro.

Mi affretto a mettere la mano sopra la sua, tranquillizzandola e assicurandole va tutto bene.
<Cazzo Piper!> Dice a voce fin troppo alta. Tento di scusarmi, ma lei non mi lascia parlare. Si alza dalla sedia, andando a mettere la sua tazza quasi vuota, dentro al lavabo.

<Non ci ho pensato Alex... Scusami.> Scatto in piedi, impedendole di passare, altrimenti tornerà a letto, ma senza dormire, si torturerà di domande senza risposta e prenderà a sudare, a tremare e dovrò stendermi accanto a lei, per calmarla, ma solo momentaneamente.
Sarebbe tutto più semplice, se me ne parlasse.

<Fai attenzione la prossima volta!> Sbraita contro di me. Non sono contenta di sentirmi urlare contro, ma se questo può aiutarla a farla sentire meglio, lascerò che scarichi tutta la tensione su di me <Dannazione! Non sei una bambina cazzo! Non importava far tutto quel baccano! Potevi appoggiare la tazza delicatamente, ma no, no! È sempre un continuo di domande con te e fin quando non hai ottenuto ciò che vuoi, insisti! Basta! Basta! Basta!> Grida sempre più forte. Faccio un bel respiro, non è facile mantenere il controllo, ma lascio che si sfoghi.

Fa un passo verso di me e batte con forza i pugni sul mio petto, continuando a ripetere "Basta." Afferro i suoi polsi, ancora scalpitanti e gli stringo con forza.

<Va tutto bene... Va tutto bene.> Cerco di calmarla, tentando di stringerla in un abbraccio, ma lei tiene lo sguardo fisso sul pavimento, i capelli neri ricadono sul suo volto e agita ancora i pugni, colpendo l'aria.
Con più forza di prima l'attiro verso di me, stringendola in una morsa sicura.
Se prima Alex stava urlando, adesso piange. Batte i pugni debolmente contro il mio petto, ed infine si lascia andare completamente aggrappandosi disperatamente alla mia schiena.
Devo sorreggerla con tutte le mie energie, perché le sue ginocchia cedono.
L'abbraccio amorevolmente, vorrei che quella stretta potesse passarla tutta la forza di cui hai bisogno, vorrei che si sentisse libera di succhiarmi tutto, anche l'anima, se potessi farla sentire protetta.

Din don. Il campanello suona improvvisamente. Alex si rialza velocemente, sistemandosi i capelli. I suoi occhi incontrano i miei, mi chiede se aspettavo visite, scuoto la testa facendole segno di no.

<Sono Vine!> Si identifica la voce fuori dalla porta. Alex mi ordina di nascondermi, spiegandomi che è uno dei ragazzi che lavora con lei, ma non ci penso nemmeno a lasciarla sola.
<Se è qui, vuol dire che l'ha mandato Kubra...> Fa una pausa <Ecco perché non l'ho più sentito. Stava progettando di ucciderci, non gli servo più.> Si porta indietro i capelli, guardandosi intorno spaesata, in cerca di un nascondiglio sicuro.

<Alex.> L'afferro per le spalle, guardandola diritta negli occhi, accennando ad un sorriso e con un filo di voce, le dico

<Preferisco morire con te, che vivere senza di te.> Dopodiché le afferro la mano e aspetto che lei sia pronta. Alex fa un bel respiro, incamminandosi verso l'entrata.

Mette la mano sulla maniglia e prima che apra la porta, la bacio con passione, essendo consapevole che potrebbe essere l'ultima volta.
Spinge la maniglia in giù, aprendo la porta di fronte a noi. Stringo più forte la sua mano e chiudo gli occhi, sperando che sia veloce e indolore.

<Vine fai quello che devi fare, ma non toccare Piper ti prego.> Ascolto le suppliche di Alex, ma non sento nessun sparo, niente. Così riapro gli occhi lentamente, vedendo Vine annuire e poi ridere.
Sta ridendo? Perché cazzo sta ridendo?

<Non sono qui per uccidervi.> Tiriamo un sospiro di sollievo, rilassando il muscolo della mano.
<Allora perché?> Chiede Alex confusa e incredula. Vine fa un passo avanti, domandando se è permesso entrare in casa. Sono io la prima a scostarmi da una parte e a farlo accomodare.
Lui cammina avanti a noi, con le mani in tasca, una camminata spavalda e sicura.
Prima di raggiungerlo, Alex mi sussurra all'orecchio
<Tieni gli occhi aperti.> Naturalmente non si fida di quell'uomo. Potrebbe essere entrato in casa, solo per ucciderci ed avere la certezza che non ci siano testimoni in giro.

Vine si siede sul divano e fa segno ad Alex di sedersi accanto a lui.
Io non mi stacco un momento da lei. Prendi due, paghi uno.

<È successo qualcosa?> Domanda Alex, mettendosi a sedere accanto a lui, stringendo più forte la mia mano.

<Puoi dirlo forte.> Vine fissa il pavimento sconsolato <Dopo la sparatoria, c'è stato un attentato al magazzino, dove teniamo le scorte. Un alleato di Westmer, si è incazzato...> Scuote la testa, unendo le mani e applicando molta pressione, arrabbiato per ciò che è successo.

<È stato il caos. Pochi dei nostri uomini ne sono usciti vivi... Kubra, non era fra questi. Una pallottola gli si è conficcata nel cuore, non c'è stato niente da fare.> Sospira, tenta di mantenere il controllo, di gestire la rabbia che lo sta assalendo.
Alex mi guarda, i suoi occhi brillano... È sconvolta, felice, ma anche spaventata.
Se Kubra è fuori gioco, il prossimo capo, potrebbe dare l'ordine di ucciderla, senza pensarci sopra.

<Ciò che non sai Vause, è che Kubra era mio zio. Sono salito io al comando, i ragazzi si fidano del sangue che scorre nelle mie vene.> Alex deglutisce, si morde la guancia interna, immaginando cosa accadrà da qui a pochi secondi.
Vine si alza in piedi, posizionandosi davanti a noi, sposta lo sguardo su di me, poi su di lei e si abbottona la giacca nera, con magistrale eleganza.

<Lo dirò senza peli sulla lingua... Se non mi avessi salvato la vita in quel parcheggio, ti avrei uccisa a sangue freddo, insieme alla tua ragazza, ma posso ringraziare solo te, se sono ancora vivo. Perciò sei libera. Non sei più di proprietà di nessuno, non vi cercheremo, non vi faremo del male, ma tieniti alla larga da noi. Non farti mai più rivedere, la prossima volta non sarò così accondiscendente.> Non aggiunge altro, si volta, mostrando le sue larghe spalle, coperta da quella giacca fin troppo piccola e se ne va, lasciandoci senza parole.

È finita. È finita davvero stavolta.

Alex e Piper || #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora