Carter sedeva sulla seggiola sgangherata accanto alla finestra. Il vetro dal quale spiava il mondo al di fuori della baracca era lercio come le virtù di una battona. Non che facesse differenza anche se fosse stato lindo e pinto. Non c'era niente di interessante da guardare, là fuori. E anche se ci fosse stato, a Carter non importava nulla del panorama. Voleva riposare. Da quando aveva lasciato Green River non aveva fatto altro che cercare un riparo, ed era stanco morto.
Quella baracca era stata una manna dal cielo. Quando l'aveva vista, nascosta tra gli alberi, che si confondeva con la vegetazione, non gli era parso vero. Quasi gli era venuta voglia di sollevare le braccia al cielo e saltellare come un indiano impegnato in una danza.
Si mosse nervosamente sulla seggiola e quei quattro legni tarlati scricchiolarono come le ossa di un vecchio.
Se l'era vista brutta, lì a Green River. L'aveva sfangata ancora, ma questa volta c'era mancato poco. E non era ancora finita. Quei quattro gli stavano alle calcagna, e tutto perché aveva forzato la mano.
Ci aveva provato a tirare le briglie di quel cavallo imbizzarrito che si portava dentro, ma non c'era stato verso. Quando sedeva al tavolo da gioco, non ci riusciva mai. Poteva tenerlo a bada persino quando beveva o quando gli saliva dal basso ventre quel certo prurito, ma non quando aveva davanti a sé cinque carte coperte ed un malloppo che aspettava solo di entrare in una tasca.
Se solo si fosse fermato prima di quell'ultima mano...
Avrebbe dovuto capirlo da come era iniziata che non era serata. Aveva perso più di duecento dollari nel giro di pochi minuti, con quelli al tavolo che si rilanciavano a vicenda neanche fossero a un'asta. Solo alla fine gli era sorto il sospetto che fossero in combutta fra loro.
Per recuperare in fretta il malloppo aveva provato il vecchio trucco dell'asso da sotto il mazzo, ma la fretta lo aveva tradito, e quello che gli stava di fianco l'aveva pizzicato mentre col mignolo si faceva scivolare nella manica della camicia la carta. Quel tipo aveva afferrato il polso di Carter, l'aveva costretto a mollare il mazzo e gli aveva girato il braccio, così che i suoi compari potessero vedere la carta che spariva per metà nella manica. Non era riuscito neanche a completare la manovra.
Gli altri tre l'avevano fulminato con un'occhiata assassina e Carter aveva capito che era arrivato il momento di levare le tende. Si era mosso rapido come un gatto. Aveva rifilato un pugno sul muso al gringo che gli teneva il polso, rovesciato il tavolo e guadagnato l'uscita correndo come un disperato. I quattro non avevano fatto in tempo neanche a mettere mano alle pistole, tanta era stata la sorpresa.
Quando si erano ripresi dallo shock iniziale, si erano lanciati all'inseguimento. Gli avevano dato la caccia, costringendolo a nascondersi in città prima che riuscisse a rubare un cavallo e a filarsela, facendo perdere le proprie tracce. Almeno per un po'. Poi l'avevano riacchiappato. Non sapeva come, ma ogni volta riuscivano sempre a scovarlo. Tra loro doveva esserci qualcuno particolarmente abile a seguire le tracce.
Erano cinque giorni che andava avanti così, con lui che si nascondeva e quei quattro che gli arrivavano a un palmo dal naso, costringendolo a ricominciare tutto da capo, e iniziava a essere stanco.
Si rilassò contro lo schienale della seggiola e allungò i piedi sul pavimento di terra. Chi aveva messo in piedi la baracca non l'aveva fatto con grande impegno. Non c'erano assi di legno tra le suole degli stivali di Carter e la nuda terra.
Poco male, si disse. Era entrato lì dentro solo per riposarsi un po'. Sarebbe ripartito nel giro di un'ora. Gli dispiaceva lasciare così presto quel rifugio, ma se quelli erano davvero così abili a seguire le tracce, poco ma sicuro che l'avrebbero trovato. E se lo beccavano mentre stava ancora lì dentro, era fottuto.
Fece scivolare la schiena più giù, trovando una posizione comoda. La seggiola scricchiolò penosamente.
Carter incrociò le dita sullo stomaco e poggiò il mento sul petto. Avrebbe riposato solo qualche minuto, quel tanto che gli bastava per...
Si riebbe quando sentì la porta della baracca aprirsi in un gemere di cardini arrugginiti. Spalancò gli occhi e schizzò all'in piedi mandando gambe all'aria la seggiola, la Smith & Wesson in mano e l'indice sul grilletto.
Era pronto a sparare quando si accorse che chi gli stava davanti non era uno di quelli che gli davano la caccia. L'uomo che era entrato era un indiano, ma vestiva come un viso pallido: camicia e calzoni ma nessun cappello.
«E tu chi cazzo sei?» sbottò Carter.
L'indiano si chiuse la porta alle spalle con un calcetto. Tra le mani teneva diversi ciocchi di legna. Si accovacciò per posarli in terra e si rivolse a Carter coprendosi le labbra con la mano.
Carter aggrottò la fronte.
«Gli avvoltoi ti hanno mangiato la lingua?» chiese e, un attimo dopo averlo detto, capì cosa l'indiano cercava di comunicargli. «Sei muto, non è così?»
L'indiano assentì una volta con un movimento fluido e lento del capo. I suoi occhi erano calmi.
«È tua questa latrina?» chiese Carter rinfoderando la pistola.
L'indiano si guardò intorno come a dire: non mi sembra poi così male, quindi assentì di nuovo.
«Me ne starò qui per un po'. Qualcosa in contrario?»
Sfidò l'indiano con un'occhiata tagliente. L'altro mosse il capo prima a destra e poi a sinistra.
«Bene», si compiacque Carter.
Risistemò la sedia accanto alla finestra e sedette. L'indiano sistemò la legna in un angolo, prese un ciocco grosso e secco, una manciata di rametti più piccoli, e mosse verso il piccolo camino in fondo alla baracca, dalla parte opposta a quella dove sedeva Carter.
«Ehi, che cazzo fai?» chiese Carter, intuendo le intenzioni dell'altro.
L'indiano aggrottò la fronte.
«Non vorrai mica accendere un fuoco?»
L'indiano alzò le spalle: perché no?, e prese a sistemare i rametti più piccoli all'interno del camino.
«Metti giù quella roba», gli ingiunse Carter e vedendo che l'altro non gli dava retta, sfilò la pistola e armò il cane. «Adesso.»
Capita l'antifona, l'indiano fece come gli era stato ordinato.
«Bravo ragazzo», fece Carter e riprese a guardare di fuori. «Un fuoco è l'ultima cosa che ci vuole», disse senza girarsi. «Lo capisci o no? Se anche quelli non trovano questo letamaio possono avvistare il fumo, e allora siamo entrambi fottuti.»
Gli comparve un sorriso mesto sulle labbra. Scrollò il capo. «Già, tu non sai di cosa sto parlando», disse e si voltò verso l'indiano, sorpreso di scoprire che il suo nuovo amico si era seduto ad ascoltarlo, le gambe incrociate e lo sguardo sereno come quello di un uomo dopo una cavalcata con una bagascia.
«Sei proprio un tipo strano, tu», disse.
L'indiano non rispose.
«Forse dovrei farti un buco in fronte.»
Aspettò una qualche reazione, una crepa in quello sguardo, ma non ne vide.
Cristo, questo tizio è più freddo di un morto.