29. Siamo due casini

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Pov. Deborah
"È la mia donna, ho giurato a me stesso di crescerla e di portarla sull'altare un giorno."
Ho ascoltato tutta la chiamata fra Giovanni e Placido, dato che aveva messo in viva voce.
-Allora??-
Mi domanda Gio.
-Allora cosa?-
Chiedo osservando il cellulare.
-Sei la sua donna, e ti vuole sposare-
-Non m'importa... Dopo quello che ha fatto non ha diritto di essere perdonato. È un coglione-
Rispondo facendo la dura.
-Ti brillano gli occhi anche quando dici che è un coglione-
Mi confessa Gió.
-Pff...-
-Deborah, smettila di fare l'insensibile. Ti manca infinitamente, si vede da lontano un miglio. Hai avuto la spiegazione sul perché l'ha fatto, che poi tra l'altro non è stata neanche colpa sua. Perdonalo e tornate insieme-
Cerca di convincermi Giovanni.
-Ci devo pensare-
Dico alzandomi dal divano di casa sua.
-Adesso vado a casa a riposarmi-
-Vuoi che ti accompagni?-
-No, vado da sola. Grazie, ci vediamo-
Gli dico uscendo di casa. È tutto così strano... Dal passare ad averlo mio, a sentirlo così lontano. Mi fa sentire... il niente, vuota dentro e fuori. Infilo le cuffiette nelle orecchie, mentre mi incammino per casa. L'unico mio sfogo adesso può essere la musica, che non mi abbandona mai. Cammino con la testa bassa sul marciapiede, poi mi scontro con qualcuno. Quel qualcuno aveva un profumo così familiare. Alzo la testa.
-Scus...-
Mi fermo. Placido. Mi guarda negli occhi, talmente intensamente che quasi mi fa venire i brividi, poi gli cade una lacrima. Infine, si sposta, continuando a camminare dalla parte opposta alla mia. Mi volto, continuando a osservarlo. È il mio fidanzato, non posso lasciarlo andare. Fanculo il mio orgoglio. Inizio a correre verso di lui, poi lo tiro da un braccio e lo faccio voltare verso di me, facendolo arrivare a 2 cm di distanza dalla mia bocca. Senza dire una parola, ci baciamo. Quanto mi era mancato... Sono stata una stupida... Non posso stare senza di lui, ormai è così. Lo devo perdonare, devo assolutamente. Mi stacco.
-Scusami non volevo...-
Dice imbarazzato, per poi rivoltarsi e rincominciare a camminare. Lo riblocco.
-Non andartene-
Gli dico, quasi supplicandolo.
-Sono un casino, e i casini devono stare soli-
Mi dice, senza voltarsi. Così lo faccio girare.
-Siamo due casini, e i casini devono stare insieme-
Gli sussurro. Lui mi abbraccia, e io ricambio.
-Ti amo, non importa ciò che è successo. Lasciamo alle spalle tutto. Ti va di rincominciare?-
Gli chiedo tutto d'un fiato.
-Solo se mi prometti di avere ancora la mia fiducia-
-Te lo prometto-
Sorridiamo, poi le sue braccia avvolgono i miei fianchi, dopodiché mi lascia un bacio a stampo sulle labbra. Insieme, ritorniamo a casa.
-Ora ti posso spiegare tutto?-
Mi domanda, dopo aver oltrepassato la porta di casa ed essersi seduto sul divano.
-Vabene... Ti ascolto-
Gli dico sedendomi accanto a lui.
-Tutto è partito da quella sera in cui facemmo la videochiamata, quando tu dovevi andare in pizzeria. Dopo aver attaccato, probabilmente lei aveva sentito tutto, quindi è entrata in camera senza nemmeno chiederlo-
Mi spiega, osservandomi negli occhi.
-Ha iniziato a stuzzicarmi, e io mi sono arrabbiato. Così sono uscito... Poi la sera verso l'1 sono ritornato a casa e lei mi ha praticamente spinto sul letto. In realtà avevo già capito il suo intento. Ma non sapevo cosa fare, sai benissimo che non sono uno che alza le mani, specialmente alle donne. Non volevo farle male, poi tutto è andato da sè. Probabilmente abbiamo anche bevuto quella sera, ti ripeto che non ricordo nulla. Ma ti giuro, la mattina seguente avevo voglia di buttarmi dal balcone. Mi sono fatto schifo da solo per ciò che avevo fatto, io odio i tradimenti-
Continua a spiegarmi, con gli occhi lucidi.
-Io... Io amo soltanto te e nella mia vita non voglio altro se non te. Perdonami, ti prego. Senza te non sono nulla... Io...-
Lo interrompo.
-Pla, shh. Ti ho già perdonato-

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