Capitolo 2
"The man"
Ad maiora
(A cose più grandi)
"Olivia.." sussurra dolcemente una voce al mio orecchio, strappandomi lentamente via da un sogno movimento.
"Mamma adesso mi alzo...ancora cinque minuti" mormoro con la faccia spiaccicata al cuscino, cercando piano di aprire gli occhi pesanti. riuscendoci malamente a causa della luce accecante del sole.
Sento il letto sprofondare alla mia sinistra, accompagnata da una dolce carezza lungo la mia spina dorsale.
Mamma sicuramente è dolce, ma non ha mani così grandi e ruvide, e non mi ha mai svegliato accarezzandomi in quel modo.
Uno strano tempore inizia a nascere dentro di me, partendo dallo stomaco fino a rimanere bloccato in gola. Una sensazione agghiacciante scorre dentro le mie vene, facendomi irrigidire in un secondo.
"Già, non sono sicuramente tua madre" commenta una voce roca, facendomi sbarrare gli occhi dalla paura, e mozzandomi il respiro sul nascere. "Respira piccola pulce, non ti voglio morta" continua, senza smettere di accarezzare svogliatamente la mia schiena.
Non sono spiacevoli, le carezze che mi sta facendo, non mi dispiacciono per nulla anzi. Ma la consapevolezza di ciò mi fa terrorizzare di più se possibile, non concependo il comportamento del mio stesso corpo fra le sue mani.
La confusione regna dentro di me per un secondo e la ragione non vuole proprio farsi vedere. Ma a farmi schizzare in su, causandomi un giramento di testa, è la consapevolezza della posizione innaturale che il mio corpo aveva iniziato ad assumere sotto le sue mani calde e-in qualche modo- familiari.
"Ma che diavolo.."
"Faresti meglio a distenderti, se non vuoi svenire" mi consiglia lui, spingendomi leggermente la spalla verso il basso. Ma col cavolo se assecondo uno sconosciuto, così con una spallata mi allontano da lui e dalle sue stramaledette mani.
Che cazzo succede?
"Chi sei? E come fai a sapere il mio nome?" Sbotto alzando lo sguardo finalmente verso il soggetto del mio risveglio, bloccandomi successivamente non per la paura, ma per lo stupore che mi investe come un treno. La sua bellezza è al di fuori dal comune.
Capelli neri, tanto da sembrare tinti, lunghi e arruffati fino al mento fanno da cornice a una viso che ha tutta l'aria di gridare virilità da ogni suo poro. La mascella è sottolineata da una linea di muscolo sporgente; un naso dritto e sottile giace sopra due paia di labbra carnose e rosee, tanto da dare l'impressione di essere state disegnate dal pittore più passionale e disdicevole che sia mai esistito su questo pianeta. Infine due occhi di un profondo color cinereo sono l'unico sprazzo di luce concesso sul suo viso.
Il tutto maledettamente sorretto da due spalle larghe e robuste così come il suo busto.
"Cavolo.." mormoro davanti a un'immagine del genere, senza rendermi immediatamente conto della mia figura di merda.
Cavolo, non l'ho detto, non posso aver detto una cosa del genere davanti a questo Dio greco. Ma che Dio.
Banana, Santa banana, Dio cetriolo, porca carota, non posso averlo detto!
Una risata roca e contagiosa si espande per la stanza, lasciandomi per un attimo sbigottita davanti al suo sorriso smagliante, contornato da una piccola fossetta sulla sua guancia destra.
L'imbarazzo mi avvolge, tanto da farmi abbassare il capo consapevole di essere stata sentita forte e chiaro. Sperando in qualche divinità la grazia della mia anima, mi rifugio dietro i mie capellinascondendo il rossore sulle mie goti. Una strano calore accelera il mio respiro, arrivando ad annaspare in cerca di aria fresca. Il che mi costringendomi a scalciare le lenzuola, via dal mio corpo alla ricerca di un po' di sollievo.
Tra poco divento una foca con problemi cardiologici!
"Sei buffa" sussurra smettendo di ridere, senza però abbandonare quel sorriso.
"Già, e tu maleducato" ringhio presa da un attimo di coraggio, pentendomi subito dopo.
Bisteccaccia! Ma tu zitta non stai mai?
"Perché dici così?" Domanda tranquillo, rendendolo irritante ai miei occhi per un secondo. Strano come un momento prima possa essere la cosa più bella del mondo e un attimo dopo la più irritante sulla faccia della terra.
"Ti ho fatto una domanda"
Cioè solo qualche ora fa ero seduta alla base di un albero, persa nella foresta, ed ora invece mi ritrovo in un letto- un comodo letto chiariamoci- morbido al punto giusto e anche profumato. Ma comunque un letto sconosciuto, per di più con uno sconosciuto al mio fianco.
"Sono Vegard Vidharr, piccola" si presenta azzardando un occhiolino strappa mutande.
Strappa mutande?
Ma che vai a pensare! Tu hai veramente problemi gravi ,vatti a visitare prima di portarci entrambe al patibolo.
"E che diavolo ci faccio qui?" Domando cercando di sorvolare su quel "piccola". Che poi che nome è Vidharr? Sicuramente non è originario della zone. Oppure sì? Lo sapevo che dovevo prestare attenzione durante le ore di storia.
"Forse è meglio se parliamo di questo dopo" ribatte serio, senza la minima leggerezza e tranquillità che prima dipingeva il suo viso. "Vieni, hai bisogno di mangiare e immagino tu non lo faccia da un po' " mi incoraggia a seguirlo, uscendo dalla stanza lasciandomi da sola sola. Non si aspetta? Ma che cav...
"Si okay, ma come fai a conoscere il mio nome?" Urlo affrettandomi a raggiungerlo, ancora con la testa altrove, rischiando pure di cadere a terra a causa delle lenzuola.
Ma siamo seri..? Sfigata, proprio sfigata sono.
La luce presente nei suoi occhi viene spazzate via dal gelo e la rabbia in un attimo, ma senza dire una parola fa finta di nulla, continuando per la sua strada.
E la cosa più sconvolgente è che nonostante non conosca questo ragazzo, nonostante tutto questo puzzi sinceramente di rapimento, mi importa. M'importa del suo improvviso cambiamento d'umore. Voglio capire il perché, voglio risposte ad esempio al perché ho un dolore agghiacciante al torace da quando è uscito dalla stanza, al contrario di prima che mi sentivo in pace.
A casa.
Non so cosa mi stia succedendo, non so se sto sognando o meno, ma per qualche strano motivo il mio corpo sembra un burattino in mani sconosciute dal momento che mi affretto ad uscire dalla stanza bianca immergendomi in un corridoio illuminato.
Sento delle voci provenire dal piano di sotto e cercando di orientarmi, svolto un paio di volte prima di raggiungere le scale, avvicinandomi sempre di più a quel mix di voci e risate.
La casa sembra accogliente. I muri sono adornati da varie fotografie, alcune raggruppa una famiglia altre soggetti singoli, altre ancora paesaggi. Il clima è molto vintage, vissuto e pieno di passione. I mobili sono prevalentemente di legno, pochi sono gli oggetti che ricordano la modernità, per la maggior parte viene esaltato il classico rendendo l'ambiente elegante ma familiare.