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«E così gli ho detto: 'Guarda che Dafne mi ha detto di tutte le porcherie che fate e proprio lei anzi mi ha svelato il buco in cui ti eri rintanato per sfuggire dalla tua legittima consorte!'. Avete idea di tutto il denaro che mi ha scialacquato? Non mi è rimasto quasi un sesterzio! Ma il mio avvocato gliela farà vedere, a lui. Lo salasserà fino a farlo rimanere bianco come un linteum!» Merula colpì con veemenza il tavolino con lo spiedino sul quale sopravviveva ancora un brandello di maialino al latte. «Ah, certo, perché lui mica si è arreso!» tuonò, il viso rosso per il vino, la rabbia e l'entusiasmo. «Continuava a dire: 'Ma sono cambiato, ma cambierò, ma ti ho sposata per amore non perché eri ricca da fare schifo e il tuo primo marito ti aveva lasciava con una valanga di talenti in cui sguazzare'. Ah, il porco!» Merula addentò il maialino restante, bofonchiando con soddisfazione: «Ma gliele ho cantate, oh, se gliele ho cantate.»

«Ma quindi, l'attestato di divorzio, ce l'hai in mano o no?» domandò Surano.

«È solo questione di giorni, ormai. Domani ritorno a Roma, con quel bastardo al guinzaglio. Tempo di arrivare all'ufficio dell'avvocato, e torneremo due perfetti estranei che si fanno gli sberleffi.»

Le mense preparate in onore dell'ultimo giorno di permanenza di Merula in terra ispanica vennero levate, i calici riempiti e i commensali si alzarono per sgranchirsi le gambe. Furnilla si era tenuta leggera perché la veste attillata non mostrasse nessun segno di abbuffata. Sorrise avvicinandosi a Pollione, e tintinnò il calice con quello di lui. «Allora, avete parlato con mio zio?»

Erano passate poche ore dal loro incontro nell'ambulatorio, ore che a Furnilla erano parse secoli. Non sapeva perché le riuscisse tanto difficile stargli lontana, ma sapeva che sarebbe stata più che felice di passare l'intera vita insieme a lui. a volte pensava come sarebbe stato svegliarsi la mattina al suo fianco, fare la colazione insieme stringendosi la mano sopra la tavola, baciarlo per augurargli una buona giornata e mentre lui stava in Senato – perché nelle sue fantasie, Pollione avrebbe fatto onore al suo titolo di senatore e non avrebbe più sbirciato le donnine nude – lei dava direttive ai servi e trascorreva il tempo con i bambini. Ne avrebbe voluti due, un maschio e una femmina. Annio e Annia, li avrebbe chiamati. Sarebbero stati i suoi pupazzetti, i suoi tesori, e sarebbero stati uguali al padre, così ogni volta che li avesse guardati avrebbe pensato a lui.

«Sì, e ha assicurato che provvederà.» Pollione fece un cenno col mento alle imponenti figure dei due fratelli che si dirigevano verso il tablinum, il luogo adatto per trattare questioni importanti. «Guardate.»

Furnilla si portò le mani alle labbra, mostrandosi ansiosa. «Oh, teniamo le dita incrociate!» In realtà, non ci teneva particolarmente che sua sorella iniziasse a studiare. Personalmente, aveva ritenuto la scuola una perdita di tempo e una noia infinita, ma quel piccolo tesoro voleva tanto imparare quelle stupidaggini e a Furnilla non costava niente aiutarla, per quel che poteva. E poi, era convinta che magnanimità e altruismo fossero qualità che colpivano Pollione dritto al cuore.

«Avete speranza?» le chiese lui.

«Mio padre e Surano sono legati fin dall'infanzia, forse anche perché ci sono così pochi anni di differenza. Hanno sempre condiviso tutto, proprio come io e Marcia. E io adoro mia sorella.» Ridacchiò. «Certo, noi siamo ragazze e ci mostriamo molto più espansive tra di noi, mentre loro sono due virili maschi alfa che devono tenersi un contegno e si salutano con pugni micidiali alle spalle, però si vogliono bene.» Gli posò una mano sul braccio. «Sono certa che, con il vostro contributo, la mia dolce sorellina potrà...»

Fu interrotta dallo sbattere di una porta sui cardini, che attrasse l'attenzione di tutti i commensali. Quinto avanzò a passo di marcia, ringhiando alla sua famiglia: «Prendete la vostra roba e andiamo.»

Onore e PassioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora