Frate Benedetto: Palermo-Napoli.

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Osserva il vuoto, mentre, ad un tratto il treno si ferma di botto e un lampo avvolse tutto. Il silenzio, poi un rumore assordante. Panico sul treno. La gente urlava in quella sera buia e uggiosa di novembre. Fra i vagoni del treno solo paura e urla. Le urla, proprio quelle fecero sobbalzare il frate. Quelle urla agghiaccianti di chi ha paura per ciò che sta succedendo o per ciò che sta subendo. Frate Benedetto quelle urla le conosceva molto bene, erano state marchiate nel suo cuore e mai più sarebbero state cancellate, nemmeno dal padre eterno che tanto lui ha amato nella sua vita e, per il quale, fece scelte importanti come intraprendere il sacerdozio e il noviziato per la congregazione di San Benedetto. Sembra ieri, quando, Benedetto alla tenera età di 22 anni prese questa importante decisione della sua vita. Eppure son passati 50 anni da quel giorno. Era primavera, si sarebbe sposato con la sua Paolina nel mese di giugno. Tutto ormai era pronto e i parenti erano avvisati per questo umile, ma amorevole banchetto di nozze che si sarebbe tenuto nella cappella della abazia di Santa Maria Assunta di Mogliano Veneto. I fiori, il vestito, le bomboniere, i confetti, tutto era pronto. Forse l'animo di Benedetto no: eppure lui amava tantissimo la sua Paolina, l'aveva sempre immaginata accanto a se , l'aveva sempre immaginata mamma dei suoi bambini, la sua compagna per la vita, ma forse questo amore non riusciva a oltrepassare un altro amore che, pian pianino, si stava facendo strada nel cuore di Benedetto.
Benedetto crebbe nell'abbazia benedettina di santa Maria Assunta e fu tutelato dallo zio dopo che i suoi genitori morirono: suo papà per un infarto improvviso, sua mamma di parto dopo aver dato alla luce il suo fratellino più piccolo, Alvise. Lo zio di Benedetto, frate Giacomo, lo crebbe come un figlio, donando al nipotino gli insegnamenti più veri e puri del suo ordine monastico: l'obbedienza al padre eterno e alla propria fede, il silenzio per trovare la propria pace interiore e l'umiltà. Questi cardini benedettini, Benedetto li fece suoi. Come i frati benedettini, Benedetto e suo fratello alternavano le ore di studio con le ore di preghiera: 7 ore al giorno lodavano e pregavano il Signore per ciò che aveva donato loro nel cammino della loro vita, un'ora la notte per ringraziarlo della giornata appena trascorsa. Collaboravano con gli altri frati, attingevano insegnamenti dall'anziano abate. Insomma: Benedetto e Alvise prendevano sempre più a cuore questa vita umile e silenziosa, quale era quella condotta nell'abbazia. Mentre Alvise, all'età di 17 anni, decise di ordinarsi sacerdote e avviare il noviziato nella congregazione benedettina, Benedetto conobbe, a 18 anni, la sua Paolina e, dopo 4 anni di fidanzamento, decise di volerla sposare. Paolina era una ragazza pura, molto credente e bella, tanto bella, una di quelle bellezze naturali che illuminava gli occhi. Però, a lungo andare, Benedetto sentiva un qualcosa al cuore, come se ogni volte che andasse a messa e prendesse l'eucarestia avesse una sorta di tachicardia, un'emozione crescente e gli occhi gli si velavano di lacrime. Lui non voleva inizialmente capire a cosa era dovuto questa sua sensazione, ma era inevitabile. Prima di appurare questo suo grande sentimento, ne volle parlare in confessione con lo zio, il quale lo spronò a capir meglio cosa provasse. Gli propose di fare un pellegrinaggio con i suoi confratelli frati e vedere se, in quei giorni di assoluto silenzio e preghiera, questo sentimento si fosse fatto più forte. Se fosse stato così, inevitabilmente, Benedetto aveva ricevuto la vocazione. In effetti, in quei giorni passati in silenzio e in completa meditazione, Benedetto capì che l'amore che provava per Gesù e Dio fosse più forte rispetto a quello che provava per Paolina. Erano due amore diversi: per Paolina provava affetto, stima, l'amore che si prova verso una sorella, per Gesù provava vero amore, quell'amore puro e forte che non ti lascia il cuore e ti spinge, sempre di più a seguire il tuo amato.
Furono giorni tristi quando Benedetto ebbe il coraggio di raccontare a Paolina la sua vocazione. Paolina non si arrabbiò, anzi gli carezzò una guancia e, sorridendogli, gli disse che in fondo aveva da sempre saputo questa cosa e che fosse felice per la sua decisione.
Passarono 7 anni, benedetto all'età di 29 anni si ritrovava ad essere sacerdote e frate benedettino. Collaborava nell'Abazia di Santa Maria Assunta: pregava 7 volte al giorno, studiava, coltivava l'orto e la notte, alle 3, si alzava e ripetendo due frasi del salmo 118 "Sette volte al giorno io ti lodo e Nella notte mi alzo a renderti lode" andava a pregare sotto il crocifisso della cappella. Passarono gli anni e frate Benedetto divenne decano dell'abazia. Si scambiava una affettuosa corrispondenza con la sua amata Paolina, la quale si era sposata con un medico del paese e aveva avuto due figli. Suo fratello Alvise si trovava a Napoli e insegnava alla facoltà di Teologia. Lui divenne solo semplice sacerdote. Nella corrispondenza cartacea, i due fratelli parlano delle missioni di pace e misericordiose fatte per i fratelli meno fortunati, le quali non dovevano solo essere fatte nei paesi del terzo mondo, ma anche nelle varie cittadine Italiane. In effetti a Mogliano Veneto , purtroppo, molti giovani prendevano brutte vie: prostituzione, usura, tossicodipendenza ... Frate Benedetto, a tal proposito, propose ai confratelli che gestiva, essendo decano, di fondare una associazione "Orat e Labora" per tutti quei ragazzi che avevano deragliato dal loro binario della vita e dovevano essere messi in carreggiata. Con i fondi donati dalla comunità di Mogliano e dalla diocesi di Treviso, questi frati benedettini e Benedetto fondarono questa associazione. Grazie a un equipe di educatori, psicologi e la dolcezza dei frati, riuscirono ad acclamare una trentina di ragazzi, aiutandoli in un percorso di reintegrazione sociale basato sul lavoro , sulla preghiera e sulla ricerca della propria pace interiore, oltre che nella ricerca dell'umiltà verso il prossimo. Il progetto di frate Benedetto, dopo un paio d'anni, andò in porto e, arrivata la notizia di questo favoloso progetto in vaticano, papa Giovanni Paolo II volle che fosse ampliato anche ad altre città italiane dove, sempre più spesso, molti giovani si allontanavo dal loro binario di vita. I frati benedettini accolsero con entusiasmo questa proposta e fu il primo Benedetto a voler partire per questa missione. Affidò l'incarico di decano al suo fedele allievo, frate Giovanni e partì alla volta di una piccola comunità di Palermo, Gangi.
L'abazia in cui operò, fino ad oggi, è stata quella di Santa Maria di Gesù, nella quale, insieme ad altri 5 confratelli siciliani, accolse e aiutò 5 ragazzi: Mohamed ( dipendente all'alcool e all'uso di cocaina), Giovanni (disadattato sociale), Enrico ( aveva derubato i fondi della posta del paese), Giorgia (aveva cercato di assassinare il suo ex ragazzo che la tradì) e Paolina. Beh proprio Paolina, probabilmente per il nome, entrò nel cuore di Benedetto e forse, ancor di più, la sua storia. Paolina è stata una ragazza sfortunata nella sua vita: rimasta orfana all'età di 10 anni e sola al mondo, fu allevata da una vicina di casa dei genitori la quale, purtroppo, nascondeva un lato oscuro che nessuno conosceva: faceva la prostituta a domicilio per campare e potersi permettere dei vizi, quali le sigarette, scarpe e borse. Solo che, andando avanti con il tempo, tale donna divenne sempre più grande con l'età e perdeva il suo fascino e la sua avvenenza, per tanto decise di "scritturare" Paolina, all'epoca sedicenne, per questo ruolo, detto da lei, di enorme prestigio. Paolina fu tratta in inganno: una sera, lasciata sola volontariamente dalla sua "protettrice" , si ritrovò un uomo in casa e, trovando la porta chiusa, non poté fuggire via e dovete compromettersi all'uomo ultra cinquantenne, ubriacone. L'uomo, soddisfatto, diete più del pattuito alla protettrice di Paolina. La ragazza rimase sconvolta, ma vittima di questo abominevole circolo vizioso. Rimase vittima di questa situazione, fin quando non ebbe la fortuna di ritrovare, fra i suoi clienti, un poliziotto il quale, in missione segreta e quindi in borghese si finse un cliente, in modo tale da raccogliere il maggior numero di prove possibili e incastrare la "protettrice", così da portare avanti le denunce fatte dai vicini di casa i quali, vedendo che Paolina non si faceva vedere da mesi e sentendo rumori e urla molestie dall'appartamento della donna, si erano rivolti alla polizia dichiarando il loro sospetto. In effetti il poliziotto, quando entrò nella "camera" di Paolina, oltre a vedere la ragazza deperita, distrutta moralmente e priva di qualsiasi emotività, appurò il sospettò e porto via Paolina, dichiarando lo stato di fermo per la "protettrice" con l'accusa di istigazione alla prostituzione minorile. Paolina fu portata in un centro di riabilitazione e, dopo due anni, fu accolta nell'associazione "Orat e Labora" di frate Benedetto, nell'abazia di Santa Maria di Gesù a Gangi. Era una ragazza dotata di talento: cuciva vestiti, abiti di tutti i tipi. Sapeva riconoscere le stoffe buone e sapeva valorizzare quelle, invece, che risultavano discrete. Con frate Benedetto creò un forte legame di amicizia, lo considerava un po' come il nonno che non aveva mai conosciuto. Frate Benedetto, dal canto suo, la considerava come una nipotina. Tutto, nella comunità, andò bene, fino a quella sera... Quella maledetta notte di novembre, uggiosa e fredda. Frate Benedetto, mentre recitava i due versi del salmo 118, si incamminava verso la cappella per la sua preghiera notturna. Il suo cammino fu interrotto da dei gemiti maschili, provenire dalla fine del corridoio del dormitorio dei ragazzi. Sentiva anche un urlo di disperazione e pianto soffocato. Benedetto si incupì e, preso dalla rabbia, corse verso la stanza. Quando entrò nella stanza buia e poco illuminata da due candele, poggiate su una scrivania, vide Paolina straziata, legata al letto, imbavagliata e con il suo aggressore sopra di lei, mentre la penetrava con violenza e prepotenza. Un lago di sangue sulle lenzuola. Frate Benedetto, accecato dalla rabbia, prese un ferma carte posato sulla scrivania e si scaglio contrò l'aggressore di Paolina. Un colpo secco alla nuca bastò a far fermare, stordire e cadere esamine, sul pavimento, l'aggressore. Era Mohamed. Non voleva credere ai suoi occhi. Mohamed aveva compiuto quel gesto ignobile a una ragazza che, per diversi anni, aveva dovuto riprendere in mano la sua vita e ricostruire la sua dignità. Mohamed giaceva esamine sul pavimento, con viso violaceo e in una pozza di sangue. Frate Benedetto era sconvolto. Paolina aveva gli occhi sgranati dal terrore. Benedetto si guardò le mani, si rese conto di essere venuto a meno al voto di obbedienza al signore, aveva trasgredito il quinto comandamento: NON UCCIDERE. Guardava le sue mani: le sue mani erano quelle di un mostro, un mostro il quale aveva tolto la vita ad una creatura di cristo. Poi , tornato con lucidità alla realtà, vide Paolina disperata, ancora legata e imbavagliata sul letto. La liberò. Le chiese scusa per non averla protetta per come si doveva e per averla fatta assistere a quella scena raccapricciane. Paolina tremava, non fiatava. Intanto si sentivano passi nel corridoio: gli altri frati avevano udito le urla di terrore di Paolina nel momento in cui frate Benedetto colpì il suo aggressore. Entrarono nella camera e videro la scena raccapricciante: Mohamed morto, Paolina sanguinante e scossa e Benedetto con un fermacarte grondante di sangue nelle mani. Frate Luca chiese a Paolina cosa fosse successo e la ragazza, molto scossa e in stato di confusione raccontò l'accaduto. Frate Benedetto sentiva, in maniera scostante, ciò che si stavano dicendo, carpì solo un -Mohamed stava sniffando cocaina.._ , -Volevo fermarlo..- e un - Mi è salito addosso e..- . Si rese conto del gran male che aveva fatto, anche se per una giusta causa. Lui amava Mohamed come un figlio. Sapeva la brutta traversata che aveva fatto per giungere in Italia quando aveva solo 7 anni, sapeva la sua sofferenza adolescenziale e quanto aveva sofferto nel tunnel dell'alcool e della droga. Mohamed stava uscendo da questo circolo vizioso, ne stava uscendo vincitore e Benedetto ne era entusiasta, ma adesso lo aveva strappato alla vita. In preda alla confusione cominciò a urlare, a dare di matto e si mise a correre, lontano da tutto e da tutti. Fuggi nel bosco, poi sbucò nel sentiero che portava alla corriera. Acquistò un biglietto e, alle 5.30 del mattino prese la corriera per Palermo. Non sapeva come affrontare la situazione, ma sapeva che doveva fuggire e doveva recarsi dal santo padre e chiedere la redenzione dei suoi peccati. Sapeva che papà Bergoglio era un uomo buono, sapeva che avrebbe compreso il suo pentimento e sapeva, anche, quale fosse stato il motivo che lo aveva spinto a una tale azione così ripugnante.
Arrivò a Palermo alle 10 del mattino. Si recò in una chiesa e pregò, tanto e a lungo. Verso le 17 , dopo aver fatto la sua quinta ora di preghiera, si recò alla stazione centrale, acquistò un biglietto per Napoli e, dopo aver avvertito il fratello Alvise che lo sarebbe andato a trovare per comunicargli una cosa importante, chiamandolo da una cabina telefonica, salì sul treno.
Nel momento in cui il treno frenò di colpo, ci fu il lampo, il tuono e le grida di disperazione, Benedetto ricordò tutto ciò che era avvenuto la mattina di quella stessa giornata. Si odiava. Ebbe paura, si , ebbe paura che la polizia lo stesse cercando e interrompeva la sua corsa prima di aver rimesso i suoi peccati e aver implorato il perdono al Santo Padre.
Trema. Il suo battito cardiaco diventa irregolare. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. Inizia ad urlare anche lui nel buio della disperazione di quel treno.

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⏰ Last updated: May 19, 2017 ⏰

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Il treno della vitaWhere stories live. Discover now