CAPITOLO 22 (Seconda Parte)

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Le luci della città si stanno lentamente spegnendo, una ad una, sembra quasi che seguano un'ordine prestabilito. L'inizio è stato dato dagli Abneganti e poi il buio è calato sui Candidi. Noi Intrepidi siamo stati gli ultimi ad aggiungerci a questo coro di bagliori morenti. Vorrei tanto vedere anche i miei cari Pacifici ma la nostra zona è troppo lontana e i nostri edifici troppo bassi per riuscire a vederli da questa torre.
Ho corso fino a restare senza fiato per allontanarmi da Eric, ma il fato ha voluto che la mia corsa finisse proprio ai piedi della torre che ho scalato la notte della sfida a strappabandiera.
Non so cosa mi abbia spinta a scalare di nuovo la torre invece di girare i tacchi e trovare un posto che non ci ha mai visti insieme. Forse inconsciamente voglio essere trovata da lui ma non so quale dei due possibili finali vorrei che si presentasse.
Spero forse che lui arrivi, mi baci e mi sussurri che mi ama oppure lasciare che mi catturi e mi porti a morire dagli Eruditi? In ogni caso avrei una certezza. La vita è avida di certezze e potrei trovarmi davanti ad un prolungamento dell'agonia. Davanti a questa possibilità, diventare la cavia degli Eruditi o finire sotto terra diventano alternative allettanti, saprei come stanno davvero le cose e scoprirei finalmente la verità sul ragazzo che mi tiene in pugno da quando sono arrivata qui.
È stupido, dovrei lottare per la mia vita, seguire i miei ideali, ma quali sono? In cosa credo? E come voglio che sia davvero la mia vita?
Quando ho scelto di entrare negli Intrepidi sono stata attratta dalla loro vitalità, dal loro coraggio, ma soprattutto dalla loro libertà.
Essere libera, è sempre stato questo il mio sogno. Libera di decidere cosa fare e dove andare, libera di scegliere. Ma tutto questo non è possibile, o meglio, quello che davvero desidero non è realizzabile. Le fazioni sono l'unico e insormontabile ostacolo.
Scegline una e restaci, dice il sistema, fregatene di quello che è stato e di quello che sarà. Non è questa la vita che desidero.
Vorrei essere altruista, onesta, coraggiosa e gentile, imparare tutto quello che è possibile studiare. Vorrei tornare nella mia casa ai margini del bosco ogni sera, fare due chiacchiere con i miei amici d'infanzia e i miei genitori. Vorrei sposarmi, avere dei figli e vederli crescere, diventare adulti e poi, quando sarò vecchia, sedermi su una sedia dondolo e raccontare ai miei nipoti ciò che la vita mi ha insegnato. Ma non si può fare, ci sono le rigide regole delle fazioni e, tra di esse, regna la più ottusa: la fazione prima del sangue.
Non ci ho mai creduto e non riuscirò mai a farlo. Se solo ci fosse un modo per cambiare le cose, decidere con chi vivere a prescindere dal lavoro che si è scelto.
«Bambina degli scoiattoli» la voce di Eric, dolce e calda, mi strappa ai miei pensieri.
Mi volto e lui è in piedi davanti a me, il suo sguardo è sereno, come sollevato per avermi ritrovata sana e salva.
«Come mi hai chiamata?» gli domando meravigliata.
Mio padre mi ha dato quel soprannome, ma non mi chiamava più in quel modo da quando ero bambina, io stessa l'avevo dimenticato, come fa Eric a saperlo?
«Davvero non te lo ricordi?» mi domanda sedendosi accanto a me.
Ricordo che me l'aveva dato quando ero alle elementari, il primo anno mi pare. La mia abitudine a sfamare ogni forma di vita esclusi insetti, umani e rettili, non si limitava a rubare qualche pezzo di pane o di torta dalla cucina di casa, ma la mantenevo anche a scuola, dividendo la mia merenda con gli scoiattoli del cortile.
«È uno dei soprannomi che mi ha dato mio padre perché a scuola aspettavo che ci portassero in cortile per dar da mangiare agli scoiattoli.»
Eric sospira avvilito, forse c'è qualcosa che ho dimenticato ma che lui ricorda bene.
Ricordo Althea che mi rimproverava, diceva che se continuavo a dare la mia merenda agli scoiattoli sarei diventata una ragazza pelle e ossa, senza le curve che piacciono tanto ai maschi. Quando siamo cresciute e lei si è ritrovata un corpo da urlo mentre io sono rimasta uno stuzzicadenti, non ha perso occasione per tirare fuori quella storia. Non credo sia colpa degli scoiattoli, anche ingozzandomi non avrei raggiunto la sua perfezione.
Guardo le mie ossa e poi guardo Eric e nella mia mente si forma un'immagine: un bambino biondo con un sorriso candido seduto accanto a me sotto l'albero degli scoiattoli. Non riesco a vedere che abiti indossava, ma se dovessi azzardare un'ipotesi, direi che erano grigi come quelli degli Abneganti. È logico, loro dividono le loro scorte di cibo con gli Esclusi, è normale immaginare che facciano la stessa cosa con animaletti così graziosi come gli scoiattoli.
Ora ricordo, non è stato mio padre a definirmi come la bambina degli scoiattoli, ma una donna che indossava abiti simili a quelli di Jeanine.
«Andiamo, è tardi, potrai tornare domani a giocare con la bambina degli scoiattoli» dico ad alta voce mentre nella mia mente vedo quella donna chiamare il bambino e poi salutare con un cenno della mano mano mio padre.
«Eri tu quel bambino?» gli domando.
Il viso di Eric si illumina e le sue labbra si distendono in un sorriso raggiante.
«Ero al terzo anno e tu al primo» mi racconta «mi sedevo sempre a leggere sotto al castagno vicino al cancello, era il posto più tranquillo del cortile, ma poi sei arrivata tu ed è finita la pace. Cercavo di ignorarti ma tu non mi davi tregua, volevi sapere cosa stavo leggendo e perché non giocavo con gli altri bambini. Così un giorno mi sono spostato sotto un'altro albero ma tu mi hai seguito. Non hai detto una parola, hai preso i tuoi biscotti e li ha divisi con me, poi sei andata dai tuoi scoiattoli. Non so perché ti ho seguita e ho cominciato anche io a dividere la mia merenda con gli scoiattoli. Forse perché sembravi l'unica a trattare tutti allo stesso modo, indipendentemente dalla fazione da cui provenivano.»
Inizia ad essere tutto più chiaro nella mia mente. Ricordo un bambino taciturno e solitario, ma il fatto che dividesse la sua merenda con gli scoiattoli mi ha ingannata. Ho collegato il suo gesto altruistico e la sua compostezza alla fazione che ha queste caratteristiche e la mia mente gli ha fatto indossare abiti grigi da Abnegante. Il fatto che avesse sempre in mano un libro è passato in secondo piano. Gli Eruditi sono spocchiosi sin da piccoli e trattano tutti gli altri con sufficienza, mentre quel bambino si limitava a starsene per i fatti suoi, non legava con nessuno, neanche con me. Ho ricordi di noi due insieme solo fino alla fine del primo anno, poi più niente e questo mi fa pensare che io e gli scoiattoli eravamo solo un curioso diversivo per ingannare la noia della routine di fazione.
«Mi ricordo solo degli scoiattoli e poi più nulla. Perché hai smesso?»
«Alla fine del terzo anno il mio rendimento scolastico era il più alto e Jeanine mi ha fatto seguire alcuni corsi avanzati. Non ho avuto più tempo per giocare.»
Jeanine, sempre lei, ancora non la conoscevo e non sapevo di essere una Divergente ma lei si era già insinuata nella mia vita. Magari se avessi frequentato di più Eric, lui non sarebbe diventato così crudele o almeno avrei capito prima che tipo era e adesso non sarei qui a tormentarmi.
In ogni caso, quei brevi momenti passati insieme da bambini non cambiano la situazione in cui mi trovo ora. Sono una Divergente e lui è il tirapiedi della persona che mi vuole morta.
«Un giro nel giardino dei ricordi, bella mossa Eric. Cos'è, un bieco trucco per convincermi a seguirti? Anche la tua entrata è stata molto spettacolare. Dimmi, quanto hai aspettato nell'oscurità della torre? Non sono così stupida da pensare che non è il primo posto in cui mi hai cercata» dico lasciando uscire tutto il mio veleno. Se lo merita, mi ha presa in giro.
«Primo. Sono capitato qui per caso, stavo andando al fiume ma ho dovuto cambiare strada quando ho incrociato la coppietta di Rigidi» dice con voce calma e scandendo bene le parole, come fa quando è sul punto di perdere la pazienza.
«Secondo. Sono stanco delle tue paranoie, non so più come farti capire che non ti sto mentendo. Sei la mia ragazza, dovresti fidarti di me come io sto facendo con te. Ho deciso di parlare di te a Jeanine quando avrei potuto dirle che eri solo un passatempo che sarebbe durato fino al giorno...» si interrompe. La sua calma apparente svanisce e nei suoi occhi vedo un velo di timore.
«Al giorno di cosa?» incalzo, decisa a far crollare il suo muro di segreti. Se davvero vuole che io mi fidi di lui, è arrivato il momento di dirmi tutto.
«Qui non è sicuro, meglio tornare a casa» dice indicando con lo sguardo la cima del vano ascensori che si trova pochi metri sotto di noi.
C'è una telecamera che punta in questa direzione e capisco che non trasmette solo immagini ma anche audio.
«Come facciamo ad essere sicuri che non ce ne siano anche a casa tua?»
«Controlleremo» dice, porgendomi la mano e strizzando l'occhio.


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