Il passato - Confidenze (Parte I)

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Seduta, contemplavo i ricordi che rapidi e angoscianti provocavano delle rigide scariche elettriche al mio corpo. La tazza poggiata sul tavolo, influiva, nel suo modo effimero, a compiere atti di estrema stupidità, ma che forse avrebbero realmente cancellato il passato. La ceramica era fredda al tatto e i miei palmi la stringevano con amore, con avidità, riflettendo la mia immagine in un oggetto, per sentirne il contatto, il calore che alla mia anima mancava, che fuoriusciva dalla completa solitudine che mi schiacciava.

E la gente poi, circonda la tua vita con delicatezza, con indifferenza e indignazione. Non si preoccupa degli eventi, ma si interessa ad essi con disprezzo e pettegolezzo, alimentando la sofferenza altrui, contribuendo a sopprimere una vita che forse avrebbe trovato la giusta via.

Mi sentivo vuota, sola e fuori controllo. Tutti credevano fossi pazza e sinceramente, cominciai anch'io a crederci. Il vuoto mi distruggeva, così anche la solitudine e colmavo quei momenti ingerendo oggetti, procurando mali a me stessa. Trafiggevo la mia pelle per poter sentire il calore del sangue. Richiedevo attenzioni; chiedevo aiuto.

Pazza mi vedevano, mi classificavano e pazza restavo. Reclusa in casa in piena agonia, a volte in compagnia d'inutili persone non in grado di opporsi al male, di opporsi all'evidenza che lentamente di me si cibava. Trangugiavo pillole che m'inducevano al sonno, portandosi via le parole e i gesti; chiudevano il mio stomaco che adagio iniziava a rifiutare il cibo.

Inerme sul letto restavo. Sdraiata. E non ricordo i pensieri di quei giorni ...

Forse anch'essi avevano cessato di esistere, sbranando la mia mente che impetuosa martellava, tentando di bloccare l'irrefrenabile impulso di urlare.

Ma le urla le udivo. Le urla silenziose del mio cuore fradicio di lacrime, inzuppato nel minestrone colmo di odio che alle mie labbra veniva appoggiato, scaraventato e poi steso al vento come le lenzuola che ospitavano un automa.

Fragilità ...

Ero fragile come un vaso di vetro soffiato. Avevano quasi paura di toccarmi. Ma la vera fragilità risiedeva in quelle menti stupide e colme di deficienza. Pensavano che il solo sfiorarmi la pelle avrebbe infettato loro della mia presunta pazzia, e così, si armavano di guanti e sterilizzavano quegli attimi chiudendoli in quarantena. Quanti giorni inutili trascorsi a bruciare la mia esistenza, la mia vita. Esperienze distrutte e sepolte che radicavano dalla terra inducendo senza alcun risultato alla ribellione, anch'essa inerme al mio cospetto.

E pensare che avevo solo vent'anni.

Messa al mondo per chissà quale ragione. Strappata dal fiore della gioventù e lasciata in una terra che nemmeno mi apparteneva.

Le lacrime scendevano lungo il mio volto, fluendo nella tazza che le mie mani stringevano. Raffreddavano il calore e il dolce tepore che per pochi istanti avevo assaporato, fuggendo velocemente e trovando alloggio in un'altra casa.

Mio marito? Un uomo rispettabile. Psichiatra di professione. Il Dottor Carlos, l'artefice di tutti i mali. L'artefice della mia reclusione domestica, dei tentativi di porre fine ai miei giorni. E la povera creatura, che nel mio grembo risiedeva, bussava costantemente alle pareti del mio ventre stanca di starsene in quello spazio ristretto.

Voleva uscire ...

Ed io, stavo per partorire in casa, sdraiata sul letto, in completa solitudine. Quei ricordi mi trafiggono Daniel; il cuore e l'anima sono ormai troppo stanchi e doloranti. La mia famiglia, mio marito e in seguito anche i figli mi abbandonarono. Indotti dalle parole della gente, dai contorni violenti e contorti, anch'essi mi considerarono pazza. Una pazza isterica afflitta da chissà quale male. Naturalmente mio marito conosceva la realtà e fingeva. Giocava un ruolo e aveva uno scopo ben preciso. Dicevano anche che la preghiera, la fede, avrebbero fatto uscire dal mio corpo chissà quale mistica creatura.

Alla preghiera mi obbligavano, con riverenza e devozione. Potevo uscire di casa solo per andare in chiesa. Io pregavo; pregavo il Signore di guarirmi, di liberarmi, ma più i giorni passavano e più sprofondavo nella solitudine. Più mi sentivo sola e più ingoiavo oggetti per riempire il mio vuoto. Anche per i medici ero pazza. Finivo spesso in ospedale per atti di autolesionismo. Essi non capivano e mai avrebbero capito. Mille azioni, mille mali e nessun risultato. Solo una falsa nomina che gravava alla mia immagine e alla mia fiducia.

Anche se la gente mi circondava, mi sentivo comunque sola. Tre figli e un marito che mi guardavano con disprezzo. Un marito che se la spassava con un'altra donna; una donna che venne a trovarmi un giorno per confidarmi tutto.

E a cosa portò la conoscenza? Alla reclusione e ad una falsa immagine, evitando di svelare alla gente la verità di quell'uomo, evitando la vergogna di un eventuale divorzio.

Mai un aiuto ...

Disprezzata, odiata e diffamata. Colava la vergogna addosso al mio nome, intorno alla mia verità. I miei occhi hanno visto cose molto brutte, Daniel. Il mio corpo ha subito mali atroci. Mai augurerei a qualcuno tutto questo. Neanche a colui che ha rovinato la mia vita.

Seduta rimasi a contemplare i ricordi, che rapidi e angoscianti provocavano delle rigide scariche elettriche al mio corpo. La tazza poggiata sul tavolo conteneva un mix di farmaci da me composto. Bevvi quella schifezza Daniel e poi raggiunsi il mio letto, sdraiandomi comodamente e attendendo con ansia l'amica da me chiamata: la morte.

***

Rimasi immobile, al centro del cerchio fissando Isabel. Piangevo disperatamente, esterrefatto e colmo di angoscia. Le sue parole, la sua storia, la sua tristezza, invasero il mio cuore di puro dolore e l'unica cosa che riuscii a fare fu piangere.

" Non piangere Daniel. Hai liberato la mia anima e di questo te ne sono grata. Adesso riposerò in pace. Finalmente qualcuno conosce la mia vera storia e così potrò procedere verso la luce. Ma sta attento: la verità e la conoscenza a volte condannano. Buona fortuna caro ..."

Isabel svanì, ma le sue parole invece restarono impresse nella mia mente, scaturendo al mio corpo un brivido di tensione e di paura. L'altra donna si fece avanti. Anche lei non aprì bocca. Le sue parole rimbombarono nella mia mente, causandomi una forte emicrania.

" Salve Daniel. Il mio nome è Diana ed ero l'amante del Dottor Carlos. Voglio raccontarti una storia. La storia della mia morte ..."

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