L'ultimo uomo sulla terra

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Pianeta Terra: in un futuro neanche troppo lontano.

L’uomo si accostò al piccolo e striminzito albero che, quando possibile, fungeva da riparo al suo corpo solcato da mille cicatrici. Si sedette in un incavo formato dalle radici che sporgevano dolcemente dalla terra, tanto da formare una sede naturale per il fondoschiena di una persona. Si adagiò, non troppo pesantemente, e poggiò la testa sulla corteccia, mentre distendeva le gambe indolenzite allungando, piacevolmente, i muscoli. Attorno, tutto era silenzioso ed immobile.

«Da quanto tempo sono solo?» Pensò.

«Per quanti sforzi faccia, non riesco a ricordare il giorno nel quale l’ultimo dei miei amici venne a mancare. Mi tornano alla mente delle immagini distanti, delle scene di gioia e sorrisi, dei momenti di felicità ma anche di tristezza, e solo adesso rimpiango anche i più grandi dolori: almeno avevo qualcuno con i quali condividerli.»

«Era tutto così bello. Senza dubbio non era una vita impostata al meglio, ma era la nostra esistenza e potevamo incanalarla come noi desideravamo. I miei genitori, mia moglie e i due figli, gli amici d’infanzia. Nessuno è rimasto, non ci sono più neanche gli sconosciuti.»

«Il giorno più brutto della storia di noi uomini fu quando loro arrivarono. Provenivano da un mondo pieno solo di metallo e fumo grigio. Le loro possenti navi si posarono lievemente sulle rive del grande fiume e scesero a dozzine. Ci tendevano la mano in segno di pace, mentre con l’altra uccidevano subdolamente tutti noi. Chi non veniva assassinato, penso senza però esserne sicuro, ha subìto un destino ben peggiore.»

«I bambini più robusti sono stati destinati alla lavorazione di oggetti e materiali assemblabili solo grazie alle loro piccole mani. Le donne sono tenute in posti dove si occupano dei loro morbosi istinti sessuali, anche se non capisco che tipo di compatibilità fisica si sia potuta creare. Gli uomini esili, i vecchi e, soprattutto, gli handicappati, semplicemente, non servivano.»

«Per un certo tempo abbiamo provato a rispondere alla violenza con una ferocia ancora più grande. Tutto è stato inutile. Hanno distrutto le nostre abitazioni e spianato tutto. Quella che un tempo era una terra rigogliosa e fertile, è diventata in pochi anni una piatta ed omogenea distesa di polvere marrone e nera.»

«Hanno ucciso ogni essere vivente, sia direttamente che indirettamente. Tanta gente ha cessato di esistere quando sono spariti i presupposti stessi della vita. Molti, anzi troppi, hanno preferito il suicidio alla schiavitù nelle miniere sotterranee del loro fetido mondo.»

«Abbiamo perso, e siamo stati sconfitti con devastante naturalezza. Le nostri armi si sono rivelate banalmente ridicole a confronto delle loro.»

«Non li perdonerò mai! Non posso. Non voglio. Non devo! Ho visto mia moglie spirarmi tra le braccia mentre implorava di prendermi cura dei nostri figli. Non ho avuto il coraggio di dirle che erano stati portati via poche ore prima.»

Mentre era preso dai suoi dolorosi ricordi si accorse che uno dei loro vascelli volanti si stava avvicinando. Il mastodontico mezzo d’acciaio bianco levigato si posò inavvertibile e silenzioso a poca distanza da lui. Uno dei portelli laterali si aprì e quattro esseri ne scesero, muovendosi verso l’albero dove stava riposando.

Egli era certo che non l’avrebbe mai spuntata contro quei mostri spaventosi. Gli rimaneva solamente la sua dignità di uomo. Un uomo che era l’unico rappresentante rimasto di tutta la gente del suo mondo.

Con un lungo arco colpì da lontano i suoi nemici scoccando frecce rapide e precise, ma le corazze anatomiche li proteggevano fin troppo bene. Rivolse gli occhi al cielo mandando un bacio a sua moglie, poi staccò un ramo dall’albero e si gettò a capofitto, urlando contro gli avversari. Le lacrime gli coprivano parzialmente gli occhi impedendogli di vedere bene. Non si accorse neanche che uno degli assalitori aveva tirato fuori un’arma e sparò, spazzando via il suo braccio sinistro.

Cadde a terra. Uno degli invasori gli si avvicinò con calma glaciale puntandogli l’arma alla testa. Non fece subito fuoco, voleva che la persona ai suoi piedi percepisse l’esatto istante della sconfitta definitiva.

Era con la testa poggiata nella polvere marrone e nera. Stava soffrendo, non tanto per la sua fine abbastanza preventivabile, quanto per una promessa che non era riuscito a mantenere.

Lui un fiero rappresentante degli Yagua non aveva potuto salvare l’ultimo albero rimasto di quella che una volta era la grande foresta per antonomasia, quella che i suoi nemici chiamavano foresta Amazzonica.

L’ultima cosa che videro i suoi occhi fu uno degli uccisori che tagliava l’albero con estrema facilità, mentre rideva con gli amici.

Il tronco cadde sollevando una miriade di particelle di polvere. In quell’istante fu certo di aver visto la sua famiglia, gli amici e la tribù all’interno di ogni frammento di pulviscolo. Poi fu il buio.

L’uomo con l’arma aveva fatto fuoco, cancellando il volto dell’aggressore. Infine ordinò ai suoi sottoposti di caricare l’albero reciso. Sarebbe diventato un comodino in qualche ricca casa occidentale.

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⏰ Last updated: May 02, 2012 ⏰

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