Capitolo 18

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- Tutto qui? - una risata esplose dalle bocche spalancate dei due ragazzi. - Si dicono tante cose su di te, Predestinata - proseguì Devis, mani incrociate sul petto, a qualche centimetro dalla luce viola che si era fatta intensa e vibrante.

- Peccato che nessuna sia vera, a quanto sembra - concluse Mattia.

Mi provocavano, chiaramente divertendosi molto. Mi provocavano e io non riuscivo a gestire la cosa. Le mie percezioni erano alterate, le mani tremavano lungo i miei fianchi e la scarica di adrenalina che le mille emozioni avevano fatto scattare era quasi fuori controllo. 

Ti stai distruggendo da sola. Una voce nella mia testa si fece più forte delle altre. 

Così li aiuterai a vincere. Non riuscivo a zittire la voce della verità. Ero persa nel labirinto del mio cuore, che annaspava senza forze tra i sentimenti troppo intensi, accentuati dalla quintessenza. Dovevo focalizzarmi in fretta sul mio respiro. Sulla mia cicatrice, il mio centro e il mio tallone d'Achille, la mia salvezza e la mia condanna. 

Chiusi gli occhi, ancora brucianti, ed espirai tutta l'aria che avevo nei polmoni. Immaginavo la mia cicatrice, la vedevo nei suoi colori adularescenti, la sentivo vibrare dolcemente proprio dove si diceva si trovasse il terzo occhio. Ma qualcosa mi bloccò proprio quando stavo per arrivare ad essa. La mia mente aveva creato un percorso, un sentiero sul quale stavo correndo per raggiungere il mio obiettivo. Ora, però, quel sentiero non era più illuminato dalla luce bianca che indicava la vicinanza alla mia cicatrice; un viola polposo si sviluppava dal terreno del percorso, si innalzava verso l'alto, creando una figura, una sagoma lugubre che ancora non riuscivo a distinguere bene. 

Quando si materializzò del tutto, il mostro che avevo davanti mi trasmise un senso di stanchezza e tristezza che non avevo mai provato prima. Non riuscivo a muovermi, mi sentivo pietrificata. L'unica cosa che sembrava avere ancora il fiato di reagire era il mio stomaco, che si attorcigliava dolorante nel mio corpo, lasciandomi senza fiato, con un gusto acido e rivoltante nella bocca. L'essere dai contorni indefiniti si avvicinava lentamente a me. Strascicava due enormi zampe ad ogni passo, ritto in piedi come un uomo, due spalle enormi incurvate in avanti che sembravano andare sempre più giù, quasi volessero raggiungere le ginocchia storte. Il collo lungo sosteneva un viso magro che sembrava non avere lineamenti. Potevo riconoscere solo una bocca spalancata, con gli angoli abbassati come in un grido di dolore, e una bava animale colante da quelle che dovrebbero essere state labbra, ma che non riuscivo a discernere.

Cercai di elaborare in fretta ciò che stava accadendo. Ciò che stava accadendo nella mia mente. 

Non è reale, realizzai tra i pensieri confusi. Iniziai a prendere il controllo della situazione. Bastava non lasciarsi influenzare. E ancora prima, bastava non lasciarli entrare nella mia mente. Ma come?, pensai. Il tempo sta per scadere

La sagoma violacea era a pochi passi da me. Dovevo risvegliarmi da quello stato di incoscienza. Mi sforzai di aprire gli occhi, ma mi sentivo incastrata dentro me stessa, preda di un incubo che mi stava consumando l'anima. La tristezza iniziò ad attaccarsi al mio spirito prima che potessi rendermene conto. Ero delusa da me stessa, incapace di affrontare le mie paure. La paura di non essere abbastanza. Di deludere non solo me stessa, ma tutti coloro che contavano su di me. Che amavo e che dovevo salvare. Avevo paura del confronto, paura di perdere. Paura di morire. 

Una luce viola iniziò a circondarmi i piedi. Non ebbi la forza nemmeno di gridare; nemmeno di piangere. La negatività mi stava circondando. Il mio lato estremamente pessimista diceva che non ce l'avrei mai fatta. Che dovevo arrendermi, e basta. Il gioco era finito. La partita non era mai iniziata. Era vero, allora. Ero fragile. Caddi sulle ginocchia, gli occhi vitrei fissi sul mostro che ormai era di fronte a me, a un respiro di distanza. Alzò il braccio ossuto, aprendo la zampa che occupava il posto della mano sinistra. Istintivamente, feci lo stesso. I nostri arti si alzarono contemporaneamente, a specchio.

ADULARIA - La LeggendaDär berättelser lever. Upptäck nu