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Fuori pioveva, c'era il temporale ma non solo fuori era brutto anche in casa il clima era pessimo. Era successo tutto così infretta, mi era crollato il mondo addosso, volevo fosse solo un brutto incubo, ma non lo era, era tutto maledettamente reale...
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-No io non ci vengo da quella matta!- urlo a mia madre
-Se non vieni con noi allora non esci nemmeno di casa!- mi disse mamma furiosa.
La zia di mamma, una vecchia stramboide, aveva organizzato una delle sue feste noiosissime dove alla fine saremmo finiti a sentirci tutte le sue lamentele dei suoi dolori.
-Preferisco stare chiusa in casa- continuo ancora più innervosita.
-Elen lasciala stare, ha ragione ammettilo che in fondo anche tu ti annoi ad andarci- dice mio padre difendendomi.
-Resta anche, ma guai a te se esci di casa- dice mia mamma ancora nervosa.
Mimo un "grazie" con le labbra a mio padre.
Saluto mio padre e lui ricambia, ma quando faccio ped avvicinarmi a mia mamma mi allontana.

Alla fine sono rimasta a casa con conseguente punizione "1 settimana chiusa in casa". A me non cambia nulla in fondo, non ho nessuno con cui uscire, con cui sfogarmi, non ho amici, non ho nessuno a cui fare affidamento. A scuola mi prendono tutti in giro per il mio aspetto fisico, mi hanno nominata "Grace la cicciona" ma non mi hanno mai ferita quei commenti perché di loro mi importa meno di zero, alla fine io posso dimagrire quando voglio loro non guariranno mai dalla loro schiavitù mentale dall'essere perfetti.
Decido di vedere un film horror, vado matta per il genere horror infatti il mio scrittore preferito è Stephen King ho tutte, o quasi, le sue opere, 'Esp-fenomeni paranormali'. Vado in cucina e mi preparo dei pop corn, apro una Red bull e quando i pop corn sono pronti vado sul divano e premo play. Inizia il film, finalmente una serata completamente da sola, non che gli altri giorni fossi in compagnia. Mi sento quasi in paradiso.

Erano le 19:35 avevo appena finito di vedere il film, mi stavo dirigendo in camera per cambiarmi e mettermi il pigiama quando squilla il mio cellulare.

*SCONOSCIUTO*
Decido di non rispondere.
Il telefono squilla di nuovo.

*SCONOSCIUTO*
Decido di staccare.
Squilla di nuovo.

*SCONOSCIUTO*
Decido di rispondere.

-Pronto- rispondo scocciata
-Salve la signorina Lopez?- dice una voce maschile.
Non riesco a sentire molto bene, sento rumori in sottofondo, come quelli di una sirena di un'ambulanza, c'è molta confusione.
-Si, con chi parlo?- rispondo perplessa.

I dubbi mi assalgono, il cuore ormai minaccia di uscire dal petto, non so perché ma non ho una buona sensazione.
-Mi dispiace....-
Non credo alle mie orecchie, dev'essere un incubo. Devo svegliarmi, DEVO SVEGLIARMI! È SOLO UN INCUBO! Chiudo gli occhi, faccio un bel respiro, li riapro con la speranza di trovarmi nel mio letto, ma nulla sono ancora qui con quel maledetto telefono in mano.
-Signorina mi sente?- continua il poliziotto svegliandomi dai miei pensieri -la vettura la verrà a prendere per portarla in ospedale, non si preoccupi andrà tutto bene- continua
-Okay- riesco a rispondere solo con un misero okay.

Chiudo la chiamata, sono scossa ormai sembro caduta in uno stato di trans, non riesco a muovermi, mi manca il respiro.
Le lacrime corrono sul viso, non riesco ad aprire bocca. Tutto ciò non può essere vero, ma è tutto così maledettamente reale.

I miei genitori hanno avuto un incidente molto grave, non so nulla di più. Il mondo mi crolla addosso, sto pregando per far si che non gli succeda nulla, che ritornino qui con me, che ritorni tutto come prima. Dovevo andare anche io a quella maledetta festa, è colpa mia, dovevo esserci anche io in quell'auto, non dovevo disobbedire a mamma. Mamma perdonaimi, papà scusami.
Devo cacciare via i brutti pensieri, stanno bene, staranno bene, ne sono certa, sono certa che domani ritornerà tutto come prima, mamma a sgridarmi e papà a difendermi.

Il suono del campanello mi risveglia dal mio stato di trans, apro e c'è un signore sulla quarantina con una divisa da poliziotto.
-Salve signorina Lopez, sono venuto a prenderla per accompagnarla in ospedale dai suoi genitori- mi dice con tono gentile.
Io non riesco ad aprire bocca, chiudo la porta dietro di me. Lo guardo cerco di aprire bocca mo non ci riesco, con lo sguardo cerco di dirgli "portami da loro". Lui sembra avermi letto il pensiero annuisce e mi accompagna alla vettura. Prima di entrare si ferma e mi guarda.
-Sii forte signorina- mi dice con tono triste.
Lo guardo, ormai ho il cuore che va a mille, dentro di me sento essersi rotto qualcosa, forse prorpio il cuore.
Saliamo nella vettura. Quelle parole rimbombano nella testa. È solo un incubo mi ripeto, obbligo il mio cervello a svegliarmi, ma nulla. Sono ancora qui, vuota.

Arriviamo davanti all'ospedale, non riesco a scendere dalla vettura. Ho il vuoto che ha preso possesso di me.
Il poliziotto si avvicina al mio sportello aprendolo.
-Vuole che l'accompagni da loro?- mi chiede con molta gentilezza.
Gli dico di si con la testa.
Vorrei ci fosse qualcuno qui con me, che mi abbracciasse, che mi assicuri che andrà tutto bene, ma sono terribilmente sola.

Il poliziotto mi accompagna in terapia intensiva, non riesco ad entrare, non voglio entrare, non voglio realizzare.
-Dai su, ce la può fare- dice il poliziotto guardandomi.
Annuisco.
Apre la porta.
Sento tutto girare.
Li vedo.
Mi faccio forza ed entro.

GraceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora