Capitolo 3 - La verità

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marzo, 1780

- Verseshire House-

Era l'alba di domenica, la festa del Signore, ma non riuscivo a rallegrarmi. Il sole non era ancora sorto ed io ero affacciata alla finestra aperta, incurante del vento che entrava. L'ultimo spicchio di luna illuminava una figura che stava risalendo il vialetto diretta alla chiesetta; doveva essere pastore Wood.

Indossai un abito verde, un modello semplice e senza fronzoli, mi sedetti alla toeletta e iniziai a spazzolare i capelli.

Lord Verseshire doveva rispondere ai miei dubbi e lo avrebbe fatto proprio quel giorno. Ero cresciuta con l'amore rispettoso dei miei genitori e lo pretendevo anche dal mio futuro, nessuna amante e nessun figlio illegittimo. Soltanto io e lui. Se non c'era l'amore avrei preteso almeno il rispetto.

"Come affronterò l'argomento? Con quali parole?" pensai.

Mi guardai allo specchio ma non ebbi alcuna ispirazione. Con un sospiro mi voltai alla ricerca di qualche suggerimento nei tendaggi bianchi delle finestre, nelle coltrine dorate del letto, nei fiori freschi posti sul tavolo da toeletta. Il nulla.

Sconsolata, tornai a letto sperando di scivolare in un sonno premonitore e dovette accadere perché quando sentii la voce di Anne il sole entrava dalla finestra lasciata aperta.

«Milady, siete sveglia? Vi sentite male?»

«Sto bene» mormorai. «Devo prepararmi per la messa?».

«E' tardi per quella, milady. Sono le due di pomeriggio. Non riuscivamo a svegliarvi.»

«Ho perso la messa dunque? E chi sentirà mia madre ora» sbuffai.

«Non vi preoccupate. Daremo la colpa al mal di testa.»

«Avete ragione, Anne. Mio padre?»

«In biblioteca, milady. Volete fare colazione qui in camera?»

«Sì, buona idea. Questa mattina ho bisogno del caffè.»

«E la composta di fragole che vi piace tanto?»

«Anche quella» confermai, alzandomi dal letto e cercando di lisciare le pieghe dell'abito.

Consumata quel semplice pasto scesi in biblioteca e trovai mio padre alla scrivania, da solo. Era talmente preso dalle carte che non mi sentì arrivare se non quando mi vide in piedi davanti a lui.

«Padre, ho bisogno di parlarvi.»

Alzò dunque lo sguardo e m'invitò a prender posto sulle sedie blu di fronte. «Preferisco stare in piedi. Ditemi. Avete già preparato tutti i documenti per le nozze?»

«È tutto sistemato, Amelie. Al momento la mia preoccupazione è su altro» rispose frettoloso, tornando alla sua lettura.

«Il conte e io non vogliamo sposarci.»

«Ma lo farete, Amelie. Lord Dowen e io abbiamo firmato l'accordo. Siete ufficialmente promessa.»

No, non poteva essere. Edwin aveva ragione. Sentii le lacrime al lato degli occhi, ma strinsi i denti per non farle scendere.

«Mi state dicendo che se lui volesse sposarmi oggi, potrebbe farlo?»

«Sì, figliola.»

«Non è possibile...padre...»

Mi aveva illusa promettendo di rendermi partecipe del mio futuro, lo avrei costruito io e avrei scelto chi sposare. Non avevo idea di quanto invece fossi succube del volere degli adulti.

«Possiamo modificare il contratto?»

«Non ne vedo il motivo.»

«Mi avete ingannato! Da sempre!»

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