18 Agosto 2018
Giada e la sua infinita parlantina avranno già citato il mio nome, più di una volta probabilmente, ma sono qui per presentarmi. Sono Emma e ho ventiquattro anni.
Sono nata e vissuta a Bolzano, quasi più austriaca che italiana, visto che mia madre è della terra di Mozart, di Linz, per la precisione, anche se non sono molto brava con il tedesco. A dire il vero sono una frana con tutte le lingue, persino con l'italiano certe volte ma, meglio non dirlo troppo forte, altrimenti poi chi la sente mia zia Stefania, professoressa di italiano al liceo scientifico Torricelli?
Ho capelli lunghi, biondi, con gli occhi azzurri, molto alta e magra. Ok, questo è l'aspetto che ho nei miei sogni più rosei. In realtà sono quasi l'opposto: capelli castani, con qualche riflesso rosso, che riesco a malapena a legare in un piccolo codino, occhi rigorosamente marroni e piuttosto bassina di statura.
- Tesoro, hai già inviato il tuo curriculum per quel posto da tirocinante nello studio del Dottor Romano?- domandò una sera mia mamma a cena.
- No, lo farò domani, mamma. Sta' tranquilla, non mi lascerò sfuggire questa possibilità- risposi, non molto convinta, ma cercando di immaginare cosa lei volesse sentirsi dire.
- Lo so, ma non vorrei che ti riducessi all'ultimo, come tuo solito. Già a scuola avevi l'abitudine di rimandare sempre tutto.-
- Non ricominciare questo discorso, per favore. Mi sono laureata alla fine, come volevi tu.-
- Non dirlo come se avessi deciso io per la tua vita- ribattè lei, con tono provocatorio.
- Perchè, non è così?- continuai io, rispondendole a tono.
- Emma. Ora basta. Da quando tuo padre non c'è più ho sempre fatto di tutto per assicurarti un futuro. Sei tu che credi ancora al sogno della pallavolo.-
- Non è un sogno! Ancora non lo hai capito? È stata l'unica consolazione quando papà è mancato. È quello che mi tiene ogni giorno vicina a lui.-
- Non potrai giocare a pallavolo per sempre.-
- Per questo ho una laurea, ma adesso voglio credere nel mio talento. Sono ancora abbastanza giovane per poter vivere di questo, anche se tu non credi in me.-
- Ormai hai quasi ventiquattro anni, fai quello che vuoi della tua vita, ma non tornare poi indietro a dirmi "te l'avevo detto", perchè non starò qui a sentirti piangere addosso.-
- Non ce ne sarà bisogno, perchè ti dimostrerò che vale la pena credere ai sogni. Ora non voglio più parlarne, però.-
Mi alzai da tavola, di pessimo umore, come quasi ogni sera. Andai a rifugiarmi in camera, stendendomi sul letto. Dopo aver sbattuto ripetutamente la testa sul cuscino, ricacciai indietro le lacrime e decisi che avrei combattuto per i miei sogni. Cosa me ne facevo di una laurea in fisioterapia, se non ero felice?
Iniziai a concentrarmi sulla pallavolo giorno e notte. Chiaramente, viste le mie caratteristiche fisiche, ero, anzi, sono un libero. Il Mister e le mie compagne dicevano sempre che ero brava, che miglioravo in fretta. Ma questo non mi bastava più. Volevo vivere di questo sport. Era tutta la mia felicità, il filo invisibile che mi teneva legata a mio padre, scomparso troppo presto per un maledetto cancro ai polmoni, sette anni fa. Aveva studiato all'Isef di Trento ed era poi diventato un allenatore di volley. E pensare che fino ai dodici anni non ne capivo la magia. In palestra mi ci trascinarono le mie amiche Serena e Giulia, dopo aver perso una scommessa. Inizialmente non mi piaceva: odiavo il sudore e la fatica. Dovevo buttarmi su ogni pallone per tenerlo vivo, non doveva cadere, per nessuna ragione al mondo. Oggi è proprio questa la ragione per cui mi sveglio la mattina.
Coach Tidano diceva sempre "la palla viene prima di tutto, anche della vita", per spronarmi sempre a sacrificarmi per la squadra. D'altronde, per attaccare e fare punto, bisogna prima ricevere e difendere, a seconda dei momenti. Indosso la maglia di colore diverso e sulle spalle ho la responsabilità di dover difendere la seconda linea. Certo, non sono quella che mette a segno i punti, ma non per questo sono meno importante. La felicità è fatta di piccole cose: un appoggio perfetto, una rullata andata a buon segno, un tuffo per prendere la palla con una mano, proprio un istante prima che sfiori il linoleum della palestra.
Quella conversazione con mia madre rimbombava ogni giorno nella mia testa, come un tarlo, che non potevo, forse non volevo, scacciare. Me la ricordai anche quando scesi in campo per la partita più importante della mia vita.
Mi sentivo spinta da una determinazione più intensa del solito, volevo quella vittoria a tutti i costi. Ma la squadra del Trento era un osso duro. Piegarla non fu facile: muro sempre ben piazzato, attacchi potenti e precisi e una bella tattica di gioco. La nostra forza di volontà, però, fu più forte. Portammo a casa la coppa: era dorata e luccicante, delle dimensioni perfette per la bacheca dei trofei del palazzetto. Finalmente sentivo che i miei sforzi erano valsi a qualcosa. Mi dispiaceva soltanto che nemmeno questa volta mia madre si trovasse tra i tifosi. Abbiamo sempre corso due strade parallele, vicine, ma che non si sono mai sfiorate. Forse, ora che saremo lontane, potremo capire una il punto di vista dell'altra.
Giada, la mia piccola Giada, giovane palleggiatrice, ma con un grande talento, avrà spoilerato già tutto, come sempre.
Dopo averci convocate tutte in palestra, coach Tidano consegnò a me e alla regista una lettera:
"All'attenzione di Piroli Emma,
lo staff tecnico dell'Unendo Yamamay Busto Arsizio, dopo attenta valutazione delle sue prestazioni di gioco, l'ha ritenuta idonea per ottenere un ingaggio, nel ruolo di libero, per il prossimo campionato di Serie A1 per la stagione 2018-2019.
In attesa di una sua risposta, le porgiamo Distinti Saluti,
Direzione del Busto Arsizio Pallavolo"
Lessi quelle parole ed iniziai ad urlare e correre come una matta per il campo. A volte i sogni possono davvero diventare realtà, se lotti e lavori duro. Negli ultimi otto mesi mi ero dedicata solo a questo. Casa e palestra, palestra e casa. Fingevo di cercare un lavoro, per far contenta mia madre, ma "casualmente" senza trovare nulla. Quella lettera è stata la prova che i miei sacrifici avevano uno scopo, ben definito.
Tornai a casa con un raggiante sorriso, che si spense in fretta.
- Emma, è arrivata questa per te. Ti hanno assunta, in quel centro per anziani, appena fuori città.-
- Mamma, non ho intenzione di accettare.- dissi risoluta e ferma.
- Stai scherzando, vero? Non ho intenzione di mantenerti a vita. La pallavolo non è la soluzione.-
- Ho trovato un altro lavoro.-
- Davvero? Cosa?-
Senza rispondere, le mostrai la lettera. Aveva una strana espressione: incredulità e sconcerto, forse anche gioia, ma su questo non ero certa.
- Accetterai?- domandò con tono neutro.
- Me lo chiedi anche? Certo che accetto! È quello per cui ho lavorato una vita. È il mio sogno, da sempre. Io e papà lo abbiamo immaginato per anni- la guardai rassegnata. Non mi aveva mai capita, perchè continuavo a stupirmi?
- Sei libera, non ti fermerò, anche se sai quel che penso.-
- Non mi hai mai conosciuta, non mi aspetto niente, non più.-
Mi abbracciò, ma il muro tra noi era sempre più alto. L'orgoglio di entrambe non avrebbe mai permesso di abbassarlo, nemmeno di un centimetro.
Quando ricevetti la lettera era il 18 Maggio. Il dialogo con Adele, mia mamma, si limitava a comunicazioni di servizio per una civile convivenza, sotto lo stesso tetto. Sono passati tre mesi: sto preparando la valigia, pronta a salire sul treno per Milano. Sono pronta a brillare e a lottare per me stessa.
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A tu per tu
Buongiorno lettori!
Oggi è sabato, e ho preparato un nuovo capitolo per voi.
Anche Emma ha fatto il suo ingresso. Che ne dite? Cosa vi sembra del suo carattere?
Spero di sentirvi numerosi nei commenti.
Spero di poter aggiornare presto. Nel frattempo, vi mando un bacio.
Giulia
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Our destination
FanfictionLa vita di un pallavolista non è mai sedentaria: si viaggia da una parte all'altra dell'Italia, dell'Europa o del mondo, senza sosta. Creare dei legami profondi è difficile, soprattutto quando molti restano accanto soltanto per la fama e non per rea...