1. Julian

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C'era sempre un momento che accomunava tutti i miei appuntamenti.

Le donne sono diverse, le parole differenti, ma il desiderio resta sempre lo stesso. Così come l'attimo in cui si decidevano a dare un'altra possibilità al nostro tempo insieme.

Bastava che mi vedessero abbottonare la patta dei pantaloni affinché in loro si sviluppasse la frenesia. C'ero abituato ormai. Tanto che, non appena misi mani al cavallo, cominciai a contare.

Il primo bottone.

Il secondo.

«Quando ci rivedremo?» domandò la ragazza alle mie spalle.

In piedi in fondo al letto mentre mi preparavo ad andare via, voltai il capo verso di lei e restai in silenzio per un minuto buono.

In un'altra circostanza avrei risposto con un sospiro rammaricato, accompagnato da un flebile «Vedremo». Era l'unica vana speranza che riuscivo a dare a tutte le donne che mi ponevano quella domanda; qualcosa che mi risparmiava scocciature immediate e future. Mentre non contemplavo mai l'opzione di dire «Non ci rivedremo più», troppo schietto e pericoloso.

Ero stronzo non insensibile.

Okay, sono un tipo dalla faccia pulita di quelli che si presentano ai genitori e che poi si mettono a scopare nella stanza accanto... ma da qui a rivederle...

La ragazza che mi preparavo ad abbandonare era diversa da tutte le altre. Era la mia fotocopia in gonnella e, se mi aveva chiesto quando ci saremmo rivisti, si riferiva al lavoro. Le piaceva essere fottuta in aula, sotto gli occhi del giudice, non solo fuori dal tribunale. Avere un caso in comune con lei significava che ci sarebbe stato un incontro tra le parti che rappresentavamo e poi tra le nostre. Intime, ovviamente.

Si trattava perlopiù di incontri sporadici, nessuno dei due cercava mai l'altro se non per l'amore verso il nostro lavoro.

Dimenticavo in maniera sistematica il suo nome, ma non il caso in comune e il soprannome: la signorina vengo in aula.

Era una delle parole che pronunciava più spesso, sia quando veniva richiamata per i suoi ritardi, sia quando le strizzavo l'occhio dopo l'udienza.

«Certo che vengo» mimava ogni volta, con le movenze morbide delle labbra, capace di strapparmi un sorriso per via di quel doppio senso che lei sapeva non sfuggire a nessuno.

Finalmente mi decisi a guardarla per davvero. Era seduta sul letto, e il suo corpo era avvolto nel lenzuolo bianco. Maliziosa, scostò una gamba mettendo in bella mostra le parti intime. Solo con lei riuscivo ad avere quel genere di rapporto. Non che mi impegnasse, s'intende. Eravamo due cani sciolti. Tutto si limitava a un incontro da me o da lei e una sigaretta fumata mentre riparlavamo dell'udienza. Sesso e lavoro. Cristo, che vita fantastica.

«Quindi hai un appuntamento che ti aspetta?» miagolò, tentando di dissuadermi dall'andare via.

Nei suoi occhi riconobbi la stessa scintilla che animava i miei.

Non ero un semplice fanatico del sesso: era tutto ciò che gravitava intorno a eccitarmi e attrarmi. Mi piaceva osservare il corpo femminile quando veniva scosso dalla febbre del desiderio. Tutto in una donna si preparava al momento. Gli occhi si facevano lucidi, le labbra faticavano a restare chiuse e il profumo... Era questo che mi piaceva del sesso.

E mi piaceva guardarle mentre lo facevamo. Probabilmente qualcuno mi avrebbe chiamato: voyeur del sesso.

I loro sospiri, così come i rantolii, mi regalavano sempre un brivido estatico che partiva dalla nuca e finiva dritto dritto fra le gambe.

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⏰ Last updated: Feb 18, 2018 ⏰

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