Prologo

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"La notte mi era sempre piaciuta. La notte: silenzio,calma,pensieri. L'orologio segnava la mezzanotte e il buio aveva avvolto i monti. Non si sentiva alcun rumore se non i grilli che cantavano e i nostri respiri: il mio e il suo. Davanti a noi non c'era nulla se non le stelle. Le stelle e la loro lunga storia. Vendole così, così belle e luminose, è strano pensare che un giorno esploderanno e noi da qui nemmeno ce ne accorgeremo. E vedendo lui , di fianco a me, sentire il battito del suo cuore e ammirare i suoi occhi brillare per me nonostante il buio delle nostre vite ,mi impediva di pensare che un giorno il nostro amore sarebbe scomparso. Il tempo continuava a scorrere, i problemi continuavano ad aumentare, eppure grazie alle stelle il cielo non era del tutto buio e grazie ai suoi occhi il mio cuore non era completamente spezzato."
Leggere il diario di mia madre mi riempiva di mille emozioni diverse. "Una pagina all'anno" diceva sempre. "Questa storia va assaporata lentamente. Devi farla tua, devi rifletterci sopra. Devi capire, accettare e, quando sarà arrivato il momento, perdonare. Perciò, una pagina all'anno"

Era mezzanotte quando corse fuori di casa. Ero abituata a vederla così. Raramente mi raccontava di lei e di papà, e solo una volta all'anno potevo leggere una pagina del diario. il giorno del mio compleanno, per l'esattezza. Dopo averlo fatto andava a rifugiarsi nell'alcool e nel fumo, e non c'era nulla che io sapessi fare per evitare ciò. Non volevo che la allontanassero da me, non sapevo a chi rivolgermi. Accettavo le sue condizioni e aspettavo sola il suo ritorno.

Pur cercando di restare sveglia alle tre del mattino mi addormentai. Quando mi svegliai, due ore dopo, corsi fuori anche io, più velocemente di lei, in cerca della sua anima distrutta in qualche bar. In un locale chiesi al barista se l'aveva vista e mi portò nel retrobottega dove mia madre dormiva su un divano mal messo. La svegliai bruscamente.
La presi per un braccio e, nonostante i suoi strani versi , la trascinai fuori.
Ci fermammo in quell'immenso parco dove mi portava quando ero piccola. Una volta sedute in una panchina prese a parlare e dopo avermi raccontato logorroicamente la sua lunga notte, lamentandosi di tanto in tanto per il mal di schiena, concluse chiedendomi scusa per il suo completamento e definendosi "una pessima madre".
La abbracciai. La sua era una frase fatta, e non lo dicevo per essere dura, lo ripeteva in continuazione ma non faceva nulla per cambiare. Non era giusto che dovessi essere io a prendermi cura di lei e non il contrario. Ero delusa. Ero delusa perché dai suoi racconti aveva sempre affrontato la vita con forza, e poi, alla mia nascita, decise di arrendersi e lasciarmi lottare da sola, la amavo da morire ma la consideravo una perfetta egoista.

Quando ci alzammo per tornare a casa si accasciò a terra, cercò di dirmi qualcosa ma non aveva fiato a sufficienza per farlo. Stava per perdere i sensi e io ero lì, inerme, senza la minima idea di cosa fare. Con le lacrime agli occhi, urlai ai passanti di aiutarmi. Non avevo seguito corsi di pronto soccorso, e quel parco era frequentato solo da coppie anziane che potevano semplicemente chiamare l'ambulanza per me. Io le tenevo la mano.Le dicevo di restare con me, ben presto l'avrebbero aiutata e saremmo tornate a casa mano nella mano. Sentii qualcuno dire la parola "infarto" e in pochi istanti persi i sensi anch'io. Al mio risveglio ero sola, orfana.

My mother's DiaryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora