Parte 1- Incidente

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Rapporto dell'Assistente personale del Dott. M. Rossetti (31/10/2492): Daniel Eldrich

Cargo Terraformante: Ulisse

Assegnato a: Programma Pandora, pianeta denominato "Itaca"

Oggetto: Dettagli sul fallimento della missione.

Apertura registri:

Questa sarà la mia prima ed ultima trasmissione: tutto è perduto, la missione, i miei compagni e la possibilità di terraformare il pianeta. Li sento ancora lottare tra loro come bestie. Dopo aver trasmesso questo messaggio tutto sarà finito, sono pronto a far detonare le cariche in prossimita della base nella speranza che quella cosa muoia assieme a tutto il resto. Spero che capiate il motivo di questo mio gesto e che possiate perdonarmi.

Siamo giunti su Itaca dopo i cinque anni previsti, nessun guasto al sistema dell'ipersonno. Quando ci siamo destati il pianeta era li davanti ai nostri occhi, rosso e inospitale come probabilmente apparve Marte ai primi Terraformatori. Lo abbiamo battezzato Itaca in onore del nome portato dalla nostra astronave.

"Finalmente baceremo la nostra petrosa Itaca."

Aveva detto Michael Rossetti, il nostro capitano e mio punto di riferimento. Ero affascinato da quell'uomo e dalla sua mente e assisterlo in questa impresa in qualità di suo assistente era un onore.

"Ha preparato questa battuta cinque anni fa."

Commentò Michael J. Rossetti, chiamato "Piccolo Mick" scatenando spensierate risa tra l'equipaggio. Era il figlio maggiore di Rossetti, orgoglio ed erede del padre e mio amico. Il resto dell'equipaggio era composto da altre menti geniali, il meglio del genere umano inviato tra le stelle per trovare una nuova casa per la nostra specie.

L'atterraggio fu turbolento, uno dei motori di stabilizzazione di tribordo venne tranciato via ma alla fine guadagnammo (grazie principalmente all'abilità di Rossetti) un buon punto di attracco e qui nell'arco di poco più di un mese realizzammo la nostra Cupola Abitativa.

Il terzo mese eravamo già pronti ad eseguire le prime esplorazioni della calotta polare del pianeta. Avevamo rilevato un potenziale punto in cui piazzare le testate a centocinquanta kilometri più a nord ed occorreva una squadra per andare a verificare di persona. Piccolo Mick avrebbe guidato la missione ed io mi ero offerto volontario per prendervi parte.

Il giorno della partenza salutai Rossetti assieme a Piccolo Mick, ero ansioso di dimostrare a entrambi il frutto dei miei studi; non ero certo carismatico e risoluto quanto il primogenito del capitano, ma ero ansioso di compiacere il mio Maestro. Era un uomo giusto, dai sani principi e del tutto estraneo a sentimenti malvagi, nonostante la sana competizione tra me e Piccolo Mick, Rossetti non si sbilanciava in alcun tipo di preferenza. Contava sulle nostre capacità e ci spronava a fare del nostro meglio indipendentemente dal sangue che scorreva nelle nostre vene.

Ci avventurammo a bordo dei Rover tra i ghiacci di quel mondo alieno. La strada si rivelò più impervia del previsto, percorremmo stretti crepacci tra enormi blocchi di ghiaccio frastagliati simili a colossali schegge di vetro che lacrimavano sotto i raggi emanati da Eridani. Mi trovavo all'interno del Rover di testa assieme a Piccolo Mick, a proteggerci dalla temperatura esterna di centinaia di gradi al di sotto dello 0 c'era soltanto la cabina del veicolo e le nostre tute. Eppure il gelo penetrava quei gusci protettivi fino ad insinuarsi nelle nostre ossa. Minuscoli cristalli di ghiaccio, simili a centinaia di formiche albine, cominciarono a scemare per l'abitacolo e nelle nostre visiere. Avvenne tutto troppo in fretta. Arrestammo il Rover comunicando il problema agli altri. I due veicoli di scorta sembravano illesi, il nostro invece veniva invaso dal ghiaccio e con un ultimo rantolo si arrestò.

"Dan rapporto."

Eravamo addestrati per situazioni del genere, la calma di Piccolo Mick era totale e finché lui aveva il controllo della situazione io lo avevo di me stesso. Ho eseguito una diagnostica dei sistemi, il motore e le ruote erano bloccate dal ghiaccio e di li a poco sarebbe congelato anche il carburante nel serbatoio d'emergenza. Dovevamo uscire di li il più in fretta possibile. I cristalli di ghiaccio ricoprirono l'intero abitacolo ad una velocità inaudita, di quel passo saremmo rimasti intrappolati li dentro. Poi arrivò lo schianto e subito dopo il tuono. Piccolo Mick urlò qualcosa, non ricordo, probabilmente un ultimo ordine, una parola di conforto o un semplice "reggiti".

Ricordo il sapore del sangue attaccato al palato, dopodiché realizzai di trovarmi ancora assicurato al sedile del Rover. Dolore martellante alla testa e altri sparsi per tutto il corpo, era come se mi avessero pestato brutalmente. Ero vivo. Fortunatamente la tuta non aveva riportato danni ma quel dannato freddo continuava a tenermi nella sua morsa; quando realizzai di essere da solo nell'abitacolo tutto il resto perse importanza.

Sganciai le cinture di sicurezza e mi catapultai verso il portello che miracolosamente trovai aperto. Piccolo Mick doveva essere li fuori in comunicazione con la base, già me lo immaginavo li fuori in piedi con le braccia conserte a dirmi con bonaria arroganza.

"Finito il sonnellino?"

Pieno si speranza saltai giù dal veicolo, fu in quel momento che la mia mente vacillò, incapace di reggere tanto orrore. Ricordo distintamente quei cristalli, erano ovunque, enormi e dalle linee bizzarre. Quando coglievo la trama del reticolo cristallino esso mutava, seguendo leggi proprie sconosciute al nostro mondo. La meraviglia suscitata da quelle formazioni aliene morì non appena vidi le speranze di un futuro pianeta, anni di studi, sacrifici, dolori, risate e amori riversi su quei cristalli al centro di una ragnatela cremisi. Mi anniento li sul posto, le ginocchia cedettero, non piansi ne urlai. Le tenebre mi inghiottirono. L'ultima immagine furono quei cristalli che si avventavano sul corpo di Piccolo Mick.

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