Il doppio

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Quando la vidi per la prima volta, seduta su quella panchina col cappello che la riparava dal sole, che quel giorno picchiava forte, me ne innamorai subito, all'istante. Fui colpito dalla sua andatura elegante, che spesso era decisa e disinvolta, mentre altre volte era timida e insicura.

Strano a dirsi e decisamente surreale, ma fu un colpo di fulmine. Non che me ne intenda molto di colpi di fulmini, quando c'è il sole o quando piove, anzi non sono per niente ferrato sull'argomento, ma posso solo dirvi che quella mattina, quando passai per caso in quel parco per fare una passeggiata, visto la bella giornata, fortunatamente incrociai gli occhi di una bellissima creatura, che mi guardò a sua volta.

Mi chiedevo spesso e molte volte non ottenevo alcuna risposta da me stesso, come la gente si innamorasse: forse era merito di un unico sguardo dato peraltro per caso, come per esempio durante una passeggiata nel parco, oppure il frutto di un lungo processo di sguardi che poi andranno a sfociare nell'innamoramento, o ancora il piano già prestabilito di un destino che ci accumuna tutti.

Insomma, le mie erano una serie di tristi ipotesi scaturite dal mio senso di estrema, quasi imbarazzante, solitudine. Mi divertivo a scherzare e a prendere di mira il sentimento che più mi mancava, quello che da anni avevo cercato: l'amore.

Da piccolo, mi ricordo, fui allevato nell'amore, nell'armonia, eppure non ne conobbi mai fino in fondo le gioie, le felicità. I miei genitori si amarono per tutta la vita, fin dal momento che celebrarono il loro matrimonio, in una chiesetta di campagna circondata dal verde, ed io ogni giorno li guardavo con ammirazione, anche per il semplice fatto che rimassero fedeli l'una all'altra.

Le sera, prima di coricarmi, mio padre mi spiegava l'amore, ovviamente con parole chiare e comprensibili adatte alla mia età, attraverso la lettura di favole, o racconti, che spiegavano l'argomento, ma io non lo capivo. La mia preferita, tra tutte le fiabe che mi aveva letto, era Amore e Psiche. Mia madre, invece, prima che mi addormentassi si limitava a darmi un bacio sulla fronte, augurandomi la buonanotte.

Ma mentre tutti in casa dormivano, e il silenzio invadeva le stanze, io non lo facevo: la mia mente vagava, pensando e ripensando a quella magica parola, per me sconosciuta, che mi tormentava continuamente, senza darmi tregua.

Passai notti insonni per colpa dell'amore, senza mai riuscire a capirlo fino in fondo. Una notte, e non mi vergogno a dirlo, scoppiai addirittura a piangere leggendo la mia favola d'amore preferita, che vi ho già citato prima. I miei pianti, le mie urla, troppo sonore forse, svegliarono mio padre, che entrò in camera mia con aria assonnata, permettendo alla luce che aveva accesso in salotto di entrare.

Consolandomi, mi chiese cosa avessi, ma io continuavo a piangere a dirotto, bagnando con le mie lacrime le pagine che stavo sfogliando.

"Questa favola è cattiva papà, è brutta", mi lamentai io.

"Perché figliolo dici così".

"Perché loro, nella storia, si innamorano, mentre nel mondo non c'è così tanto amore come nella favola e questo non è per niente giusto".

Mio padre non replicò.

"Che cos'è allora l'amore papà? Se nessuno si innamora più come nelle favole, allora che ci innamoriamo a fare? Per sprecare tempo?".

Ascoltando quelle innocenti domande, mio padre si guardò bene dal rispondermi e mi salutò con un'unica frase: "L'amore è una cosa troppo difficile da spiegare, non potresti capire".

E, così dicendo, mi lasciò.

Qualche minuto dopo, decisi di alzarmi, perché non riuscivo a prendere sonno. Di nuovo mi tormentava quel sentimento, che non riuscivo a scacciare dalla mia mente, nemmeno mettendoci tutta la buona volontà, finché qualcosa non mi avesse chiarito i miei dubbi.

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⏰ Last updated: Apr 29, 2018 ⏰

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