Capitolo 8 - Libertà-1 parte

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Giunti alla residenza dei Mcgregor, attraversammo un cancello di pietra e fummo scaricate nel cortile interno dove galline e conigli correvano a destra e a manca e servitori, dallo sguardo basso, cercavano di acchiapparli.

Herbert si incamminò verso un edificio rettangolare poco lontano, portando con sé i cavalli dei fratelli e del padre e li consegnò allo stalliere.

Nel frattempo, Louis si posizionò davanti a noi, con le braccia al petto. «Chiudetele in stanze diverse. Non devono scappare.»

Frederick e Duncan ci furono subito accanto e ci afferrarono per le braccia.

«No! Non potete!» urlai, cercando di liberarmi.

«Sì che posso» ringhiò il padrone di casa.

«Non scapperemo. Ma per favore fateci rimanere insieme!» implorai.

«Separate» ripeté e ci spinsero all'interno.

Il maniero quadrangolare ricordava tempi antichi con le pareti di pietre a vista e le finestre contornate da telai di legno. Entrammo nel salone principale dove l'unica fonte di luce era il grosso camino acceso ma non sostammo lì. Seppur con la coda dell'occhio notai come l'ambiente fosse spoglio, privo di vettovaglie e ornamenti che mi sarei aspettata di vedere in una residenza. Fui spinta verso una scala ripida che conduceva al piano nobile. Vidi Frederick spingere mia sorella nella prima stanza a sinistra e chiudere la porta.

Mi fermai inorridita e Duncan mi venne letteralmente addosso. «Andiamo» ordinò.

«Non posso stare senza di lei!» lo pregai, guardandolo dritto negli occhi così simili al padre. Rimasi sollevata di non leggervi la stessa rabbia, ma fui subito distratta dal gemito sommesso proveniente dalla porta chiusa. «No!»

«Milady, non vi sarà torto un capello. A nessuna delle due. Almeno fino a che saremo in attesa del denaro.»

«Volete un riscatto?» chiesi, immaginando di sgattaiolare verso il muro e correre poi veloce verso la stanza di Dana, ma l'uomo fu più veloce e mi trascinò lungo il corridoio fino a raggiungere l'ultima stanza. Mi spinse dentro e chiuse la porta lasciandomi sola. Le lacrime iniziarono a scendere e le ginocchia non ressero più il mio peso. Mi lasciai cadere lì, a pochi passi dalla porta, e vi rimasi per l'intera notte.

Quando le prime luci dell'alba entrarono dalla finestra, mi diedi della stupida.

"Dov'è andata a finire la Amelie coraggiosa?" mi rimproverai.

Mi alzai con fatica e raggiunsi il letto a baldacchino. La stanza era in penombra a causa delle imposte chiuse e non vi era alcuna luce.

"Ci sarà una via di uscita, no?"

Osservai con attenzione l'arredo semplice che mi circondava. Qualcuno aveva depositato sopra al letto una coperta pesante e, ai piedi della struttura, vi era un cassettone chiaro. Un tavolino da pranzo con due sedie erano al centro della stanza e, vicino alla finestra, un caminetto spento.

La porta si aprì e Duncan entrò con un vassoio tra le mani. «Venite a mangiare qualcosa, Amelie. Non vi dispiace vero se vi chiamo per nome?» e rise della sua proposta.

«Non voglio nulla.»

In un baleno torreggiò su di me e mi alzò come fossi un fuscello. «Invece mangerete.»

«Faccio da sola!» replicai, scrollandomelo di dosso.

«Tenete a bada la lingua, donna.»

"Come ho potuto pensare che fosse diverso dal padre?".

«Voglio vedere mia sorella.»

«No.»

«Voglio vedere mia sorella» ripetei.

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