1- Insalata di capezzoli

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15.13

Appuntamento alle 15:30, sono in anticipo. Fuori il cielo è grigio, pioviggina. Clima che adoro, clima che vorrei contemplare in questo momento. Clima che posso intravedere solo dalla piccola porzione di finestra non occultata dalla libreria (vuota) dietro le mie spalle. Così misero come scorcio che, appunto, preferisco dargli le spalle per ammirare la bacheca degli annunci che mi si para dinnanzi. Due fogli A4 con contenuti così poco interessanti che rimpiango la scelta di aver imparato a leggere. Ripensandoci, avrei preferito dedicare quel tempo per delle lezioni di karate, così almeno la libreria (vuota) dietro le mie spalle sarebbe un lontano ricordo. Invece, ora sono a conoscenza della possibilità di iscriversi ad un corso di flamenco con "open day" il 23 settembre dell'anno prima. Ormai sono in piedi, dunque tanto vale stiracchiarsi le gambe. Passeggio avanti, 4 passi. Mi giro. Passeggio indietro, 3 passi. Mi giro nuovamente. Avanti, 3 passi. Mi giro verso il muro. Ho una voglia particolarmente insistente di dargli una testata. L'idea mi solletica per almeno una decina di secondi, dato che potrebbe effettivamente procurarmi gaudio l'idea di testare quanto la mia testa od il muro siano resistenti.

Sento una porta aprirsi. Abbandono (non completamente) l'idea autolesionista per cercare di assumere nuovamente un aspetto normale. Mi risiedo sulla sedia blu. Divarico le gambe. Le accavallo. Divarico. Le unisco. Accavallo di nuovo. Mi alzo. Meglio aspettare in piedi, così sembra che sia impaziente di iniziare. Oppure sembra che sia appena arrivato? Mi siedo. Mi alzo per metà. Mi siedo. Silenzio.

Sento solo il mio respiro affaticato dalla polvere della libreria (vuota e trascurata). Mi inclino leggermente per cercare di trovare una conseguenza alla porta aperta sentita chiaramente pochi istanti prima. Niente. Non c'è nulla. L'ho immaginato? No, sono in una sala d'attesa non all'Overlook Hotel. Torno a fissare la bacheca. Qualcuno ha mai affisso qualcosa di effettivamente utile sopra questo pezzo di compensato? Questo inutile e degradato pezzo composto di scarti è conscio di essere stato creato solo per sponsorizzare eventi e non ne è in grado perché ha il potere mediatico di un'insalata russa? Anzi, un'insalata russa effettivamente potrebbe rivoluzionare il mercato. Un'insalata con delle noci, dei ravanelli. O dei capezzoli. Un'insalata di capezzoli farebbe proprio al caso di un maestro di flamenco.

Scusa. Scusa bacheca. Non voglio prendermela con te. Non è colpa tua se all'appuntamento sono arrivato in anticipo. In effetti, dai quel non so che di caratteristico a questa cianotica stanza che mi pare divenga sempre più piccola intanto che sono qui dentro. Poi, non è vero che sei inutile. Noto numerose puntine di vari colori conficcati nella tua membrana accogliente. Due verdi, tre blu, una rossa, tre bianche ed un'ultima marrone. Non sostengono alcun foglio, eppure sono perfettamente paralleli. Anzi, si può dire che siano in posa. Si, la bacheca è un palco e le puntine la compagnia teatrale. Quella rossa, di nome Jeremy, era perfettamente a metà tra una di quelle blu, Vincent, e quella marrone, Marie. Questo perché Jeremy è l'amante segreto di Marie che però è molto legata ad Eva, una puntina verde, sorella gemella di Hope. Nonostante sia ovviamente un rapporto da tenere nascosto, Marie l'ha detto ad Eva che lo ha riferito ad Hope che ne ha parlato con Michael, puntina di colore bianco come il suo camice da psicologo. Nel reparto dove lavora Michael, purtroppo per Jeremy, lavora anche un'altra puntina bianca, Kevin, alle cui orecchie arrivano i numerosi fatti narrati da Hope a Michael e prontamente li ha riferiti a Michelle, l'ultima delle puntine bianche, fidanzata ufficialmente con Jack, la puntina blu che ha chiesto a Vincent di fagli da testimone di nozze. Dunque, parlandone con il padre Marcus, l'ultima puntina blu, i due decidono di non avvisare Vincent per non spezzargli il cuore ma di correre a rompere le gambe ai due amanti segreti. Aspetta, ora che osservo meglio, c'è una puntina gialla. Ormai ho già scritto la trama. Già ho visto la trama. Non posso aggiungere un nuovo attore. Maledetta puntina gialla. Mi alzo, corro verso la bacheca. Il muro è fortunato, dato che la testata ora è evidentemente rivolta verso questa puntina. Ah, devo toglierla, non conficcarla ancor di più con la mia fronte. Inizio a tirare. Non se ne viene. Da quanto tempo non viene usata questa dannata bacheca? Tiro. Tiro più forte. Tiro ancora più forte. Non vuole saperne niente. Sto per colpirti puntina, meglio che tu sia preparata al peggio.

La porta. No. Ora no. Non posso darla vinta alla puntina. Alla bacheca. Alla libreria (vuota, polverosa e che mi sta implorando di darle la libertà spaccando la finestra dietro di lei). Stringo i pugni. Mi vado a sedere. Metto le mani tra le ginocchia, per tenerle ferme. Chiudo gli occhi. Respiro. Apro gli occhi. Sorrido. Giro la testa verso la porta. È aperta. Una persona esce. Viene verso di me. Mi supera e prenda un cappotto che si trovava alla mia sinistra. Come ho fatto a non accorgermi della presenza di un attaccapanni? Non importa. Non importa nulla in questo momento. Ho vinto. Ho superato anche questa. Sento la psicologa venire verso di me.

Si, sono in attesa per andare dalla psicologa. Non perché sono pazzo, ma per un test. Non un test per vedere se sono pazzo. Insomma, fidatevi. Magari è difficile dopo aver letto di testate su muri e puntine soap opera, ma non lo sono. Credo.

Rumori di passi sulle mattonelle. Uno si allontana, la tizia del cappotto. Uno si avvicina. È la psicologa. Lo so, l'ho intravista. Asciugo la mano destra. Era già asciutta, ma non si sa mai. Alzo le gambe. Sorrido. Roteo il busto di 45 gradi verso destra. Mi tende la mano, non l'ho guardata nemmeno in faccia. La stringo. Presentazioni. Chiedo di seguirla, di lasciarmi questa stanza alle spalle. Mi spiazza.

Sono fermo. Impietrito. Non so che posizione hanno le mie gambe. Non so che faccia sto facendo. La psicologa mi chiede una breve pausa caffè, dato che sono in anticipo. Sorrido. Acconsento. La signora si gira e va oltre il mio campo visivo. Osservavo lei andare via. Ora osservo il vuoto. Per qualche secondo. Mi giro verso il muro. Respiro affannato. Appoggio la testa. Freddo. La parete è fredda, mi dà un po' di sollievo. Giro leggermente lo sguardo verso il mio amico di compensato, sorridendo, mentre penso ai bei momenti passati assieme. Una puntina cade.

Mi sollevo di scatto, incredulo. Mi getto come un avvoltoio sulla carcassa della puntina non per mangiarla ma per innalzarla in segno di vittoria. La stringo tra pollice e medio. La osservo. Sgrano gli occhi. È Marie. Quasi urlo. Spingo con forza Marie nella bacheca tentando di tenerla in vita come fosse un militare morente sul campo da guerra con cui ho parlato di gamberi. Quasi piango. Non si tiene più. Ormai la punta è rotta. La stringo con delicatezza nella mano. La osservo a capo chino. Alzo lo sguardo. Inizio a dubitare della mia capacità di stare fermo da qualche parte. Getto Marie contro la libreria (che ora contiene una puntina), strappo i due fogli A4 segnandomi il numero del corso di flamenco, nel caso chi l'avesse organizzato fosse ancora vivo. Non ci sono cestini, dunque posiziono i fogli stropicciati nelle tasche. Mi siedo. Divarico le gambe. Le accavallo. Osservo le puntine. La bacheca. Mi giro. Osservo la libreria. Stringo le gambe. Mi rigiro. Mi alzo. Cammino. Passi avanti. Passi indietro. Mi siedo. Mi rialzo. Tocco la bacheca. Torno a sedere. Gambe. Puntine. Libreria. Bacheca. Paura. Ho paura. Non uscirò mai più da qui. Non uscirò mai più da qui.

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Spremuta di meningiWhere stories live. Discover now