2-Meth-ro

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Il viaggio che mi porta dall'università a casa è di certo il periodo di tempo più adatto a studiare personaggi per le mie sceneggiature. Quando la si prende la mattina, la metro intendo, è così affollata che potrebbero farti un'esame prostatico senza che tu te ne accorga. Un posto a sedere bramato dalla folla quanto un tostapane durante il black friday, o quanto una livella per un terrapiattista. Ci sono persone che invocherebbero Cthulhu pur di prendere posizione all'interno del vagone, nonostante sia così pieno da far venire la claustrofobia anche a Lara Croft. Il calore è così pressante che la mia camicia diviene talmente trasparente da riuscire a riflettere le immagini, tant'è che in facoltà tutti si domandano dove io abbia trovato un'indumento identico alle sedie dell'aula. Questa è la mattina. Dato che già esiste un diario su centinaia di persone ammassate in un treno che muoiono per il caldo, preferisco non dilungarmi oltre. La sera il tutto assume un aspetto più onirico, motivo per cui si può associare il viaggio ad un effettivo "trip" causato da metanfetamine. Quella che vi sto per presentare è la pletora di emozioni che un semplice tragitto di trenta minuti sulla metro M2 di Milano può presentare in un Mercoledì come un altro.

Arriva il vagone, avvicino sempre leggermente la testa verso questi per avvertire il brivido che l'aria mossa dal mezzo mi provoca, spostandomi i capelli. Per quello, e perché di solito mi addormento in piedi mentre lo aspetto. I sedili gialli ed ondulati permettono a quattro persone di sedersi, nonostante spesso ce ne si dimentica e si tenta di occupare più spazio possibile, come un liquido in un contenitore. O un nano in un'orgia. I posti più ambiti sono i due laterali, in cui i più fortunati riescono ad appoggiare il proprio braccio su una barra di ferro. Riesco a conquistare uno di questi posti ed il fatto di essermi sentito così fiero di esserci riuscito mi fa pensare che devo pormi obbiettivi più alti nella vita. Beh, oltre il voler divenire immortale attraverso la mia arte ed il voler smettere di inserire le prese usb dal verso sbagliato. Osservo con puro sdegno il ragazzo - più grande di me di circa quattro anni, nonostante di faccia io sembri suo padre - che non è riuscito a piazzarsi accanto a me, a causa di un signore di mezza età che lo ha spinto senza alcun risentimento. Il ragazzo non ha capito che, in metro, non esiste età, razza o sesso; per sederti, devi essere disposto a procurare una frattura in tre punti ad un bambino in modo da far alzare la madre. Sei come un sopravvissuto in un'apocalisse zombie, nessuno ti giudicherà se per salvarti - o sederti, in questo caso - sparerai in testa a tua sorella. Di fronte, tre persone con un telefono in mano sembrano essersi organizzati per un flash moab riadattato al nuoto sincronizzato: muovono solamente un dito rimanendo completamente immobili, nonostante l'andirivieni di pendolari che li disturba. - Bravi, devono essersi allenati per anni - mi viene da dire ad alta voce, creando non poco imbarazzo nel volto del signore alla mia sinistra. Cerco di coprire la débâcle del mio pudore fingendo di star parlando a telefono, nonostante anche l'utente medio di pomeriggio cinque sarebbe riuscito a capire la mia messa in scena. - Hai visto il bilancio dello scorso trimestre, pazzesco!- continuo imperterrito, tentando di darmi anche un certo tono - Comunque devo proprio salutarti, salutami Michael - che nella mia mente è Jordan - e anche il signor Wayne. A domani, ciao caro - dico ad alta voce, come per sottolineare l'enfasi dell'atto conclusivo della mia opera. "Whole Lotta Love" dei Led Zeppelin risuona nei miei auricolari, mentre "Redbone" di Childish Gambino riecheggia nella mia testa. Cranio che muovo a tempo di entrambi i pezzi, nonostante abbiano una metrica completamente diversa. Mentre continuo a scuotere i capelli in modo decisamente poco consono alla posizione in cui mi trovo, entra una ragazza alla fermata di Lanza. Manca un'eternità a casa mia ed io ho fame. Ho voglia di mordere qualcosa. I pensieri cannibali vengono offuscati dalla ragazza, di certo non per la sua bellezza, ma perché stava trattenendo a stento le lacrime. Il mio intento iniziale è quello di farla sedere, ma poi capisco quanto sia un gesto completamente inutile, come esplicare le condizioni meteo di domani ad un detenuto sul punto di essere condotto alla sedia elettrica. Non riesco a non fare qualcosa, mi sento immobilizzato. Immobile a fissare la sua espressione di dolore, splendida da associare ad una mia qualunque storia che richieda un momento di tristezza. Eppure, per quanto la guardi per studio e non per edonismo, sono costretto a distogliere lo sguardo a periodi regolari per non farla insospettire. Tra un turista asiatico che crede probabilmente di essere a Roma ed una ragazza che sta odiando il momento della giornata in cui ha deciso di mettere dei tacchi alti, il mio sguardo scorge un nuovo soggetto interessante: un ragazzo dal dubbio gusto per il vestiario, dato che indossa dei pantaloni così strappati che al confronto un bambino del Congo risulta vestito. E' arrabbiato, è decisamente arrabbiato. Il volto perfettamente sbarbato, non so se per pulizia o per mancanza dei giusti ormoni, è completamente paonazzo, probabilmente perché la persona con cui sta parlando a telefono gli ha dato buca. Si esprime in un turpiloquio di un certo spessore, con alcune bestemmie talmente ricercate da dare un valore aulico alla scena a cui sto assistendo. Sono così preso che, mio malgrado, ho perso di vista la ragazza nel momento preciso in cui i singhiozzi e le flebili lacrime si sono evoluti in un pianto, con sgomento, ma deciso distacco, dei presenti. Sono combattuto tra quali delle due scene sia più interessante, quando arrivo alla mia fermata. Scendo, con un certo disappunto. Compio alcuni passi verso i tornelli e mi accorgo di come la mia giornata sia andata male, decisamente. Eppure, in quell'istante, non ero ne triste, ne arrabbiato. Ero felice, felice di essere sceso da quel calvario. La metro ha avuto un potere catartico, ha purificato qualsiasi mio pensiero negativo. Come il viaggio dantesco, la metro di mattina è l'inferno, la sera è il purgatorio, la fermata è il paradiso, e solo compiendo questo percorso ci si può purificare. Cammino verso casa, a tempo di musica. Decido di voler scrivere di ciò che ho assistito oggi, concentrandomi sull'aspetto emotivo dei due personaggi. Accendo il pc, inizio a scrivere. Le parole scorrono come un fiume durante un'acquazzone, come se la storia fosse già scritta ed io dovessi solo ricopiarla. Nella mia testa, gli avvenimenti sono accaduti esattamente come li sto narrando, senza che niente di ciò che riempiva il restante spazio del vagone interferisse minimamente. Come se loro fossero pedine della mia storia. Come se tutti gli altri fossero comparse. Non ricordo il volto della ragazza, ma solo la sua tristezza. Non ricordo il volto del ragazzo, ma solo la sua rabbia. Lacrime, singhiozzi. Vene gonfie, saliva. Soffocare. Voler soffocare. Mordere.

Un po' di musica, ecco ciò che mi serve. Devo distrarmi un po'. Cerco le mie cuffie, non le trovo. Invidio la capacità dialettale del ragazzo nell'ambito delle bestemmie. Cerco tra le lenzuola, in bagno, in cucina. La casa è così piccola che riesco agilmente ad osservarla tutta a 360° rimanendo fermo al centro, così da rendere fiero Jeremy Bentham. Trovate! Tutti i dubbi, la nausea che il mio costante distaccamento dalla realtà mi provoca, cesseranno tra pochi istanti. Devo solo collegarle.
Il cavo usb è al contrario. Lo giro, questa volta entra nella porta apposita. Rimango fermo in silenzio. L'immortalità non è più una priorità.

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⏰ Last updated: Mar 20, 2019 ⏰

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Spremuta di meningiWhere stories live. Discover now