Apertura

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I più tristi, guardano le cose più piccole e si scandalizzano, il portale si era aperto, dall'esterno, e in fretta le guardie lo avevano circondato, e così anche gli altri immortali. Tutti esaltati e curiosi, in parte preoccupati attendevano di vedere chi stava tornando.
Poteva tornare un immortale che aveva scontato una condanna all'esterno, poteva entrare un'armata all'assalto, dovevano essere pronti a tutto. Quando il velo si aprì, a mo di plasma, fecero tutti un espressione seria, i più giovani furono strattonati al silenzio, i più vecchi smisero di contrattare le evidenti minacce, le guardie entrassero spade e lancie.
Fu tutto inutile, per un attimo si vide entrare la cenere, un edificio crollare, per un attimo spiarono oltre le porte del mondo e videro il caos, una guerra sfuriava senza sosta, ma niente di questo passò nel portale, nessuna armata, nessuna spia, ci fu un momento di stupore, d'illusione, la luce di un eplosione costrinse quasi tutti a distogliere lo sguardo.
Quando il bagliore finì solo un manipolo di uomini restava al centro dei mille sguardi. Umani, semplici umani, e dietro, un immortale particolare, che fece sputare tutti a terra, egli andò avanti, ai venti umani che si era portato, nella propria armatura nera e i propri capelli rossi, sputò anche lui, prima di dire alla piazza.
«Loro sono innocui.»
Era rabbioso, chiaramente, non era stata una buona idea tornare a casa, era via da più di mille anni, e forse sarebbe stato meglio continuare a stare via.
Tuttavia, nessuno poteva buttarlo fuori, lui non era stato rigettato per crimini, né aveva rotto le tradizioni, lui, semplicemente se ne andava, se ne andava e tornava sporadicamente portando caos, ma pur sempre rispettando quel mondo natio, certamente, non lo amava, questo tutti lo sapevano, ma non era importante, molti degli immortali non amavano quel mondo, ma nessuno aveva il coraggio di andarsene, lui sí, lui se n'era sempre andato.
Alla grande chiusura avvenuta eoni prima aveva scelto spontaneamente all'ultimo concilio di andarsene e aveva continuato per tutta la sua vita, a viaggiare per poi tornare per pochi giorni, pochi mesi, un anno il suo massimo di permanenza.
Nessuno sapeva il perché, tutti ne borbottavano la possibile causa, o spifferavano il suo nome con cautela, come fosse una tempesta che era meglio non tornasse mai.
Si diceva, che le sue mille cicatrici venissero dalle sue stesse lame, che i suoi poteri lo rendevano più simile a un demone che altro; eppure tutti sapevano che le leggende erano solo ricordi travisati.
In un mondo di antichi, che peso ha la storia? C'erano vecchi che dalla notte dei tempi vivevano in quelle case, e i più antichi, erano gli spiriti: una setta. O una specie, essi insieme alle guardie erano esseri autoproclamati che vegliavano sulla creazione, tramandavano la storia e in parte costituivano il cuore pulsante della magia e della fisica di quella fluttuante perenne cittadella.
Apparentemente, non c'era una gerarchia, ma questo scherzo non poteva essere fatto a chi li aveva visti creare, ma di quell'età, non c'erano molti Elohim: coetanei con quel mostro dai capelli rossi, rimanevano
solo una quarantina.
Il manipolo di uomini, era formato da due famiglie, legate fra loro da un legame di sangue, due fratelli, le loro mogli, i loro figli, le loro figlie, sposate e rispettivamente madri, una aveva in braccio un bambino di pochi mesi il piccolo piangeva per lo sbalzo, avevano altri piccoli per mano.
In tutto quattro bambini, cinque uomini, sei ragazze di varia età, componevano quella piccola legione.
Erano tutti spaventati, vestiti in maniera regale, avevano fatto un patto con quel demone pur di salvare la casata, avevano pregato per un Dio che li potesse salvare, in cambio, avrebbero dovuto dargli la mappa per un luogo lontano del loro mondo.
Una volta avuta la mappa, Fleur aveva aperto quel portale e gli aveva,  annoiato spinti a seguirlo, davanti a quella variopinta piazza si sentivano tutti spaesati, si stringevano fra loro provenivano da un mondo in cui la magia era pericolosa, poca e mal usata e adesso erano inghiottiti non solo dalla guerra, ma  anche da quel mondo magico; erano un dipinto curioso agli occhi di chi non ha famiglia o non ne comprende il significato.
Gli Elhoim parlavano tutti una lingua sconosciuta, improponibile ad orecchie umane, il maggiore dei due fratelli fece per parlare, andare avanti, Fleur lo freddò.
«Ignorateli, non riconoscerebbero in alcun modo alcuna autorità, e non dovete dare spiegazione a nessuno, qui non c'è legge, né crimine.»
Una freccia avvelenata per la gente di Rollium che sprezzante guardò il generale rosso, parlavano fra loro scandalizzati, uno parlò, ma per sé:
«Non c'è legge, ma è inaccettabile, non potete portare umani qui.»
Fleur rise:
«Chi fra voi ha il diritto di dire a un altro cosa deve fare e cosa può fare.»
Guardò gli antichi in quella folla rimanevano zitti, come si aspettava, portavano un vestito blu, avevano perso i tratti distintivi, erano luminosi, la loro pelle era pregna di magia, la luce che emettevano era paragonabile a quella di una lama incantata.
Essi si allontanarono, tutti, tornando alle proprie mansioni, gli altri fecero lo stesso, a parte qualcuno, chi aveva parlato aveva occhi verdi e capelli biondi, fra le mani un tomo di medicina, i suoi tratti distintivi erano le orecchie, la punta faceva un ricciolo lungo, a spirale, e la sua magia curativa.
Alcune guardie circondarono gli umani, erano visibilmente spaventati, queste guardie riposero le armi:
«Noi tutti, vi osserviamo.»
Disse il biondo, Fleur scrollò le spalle.
«Allora vedrete belle cose.»
Le guardie avrebbero impedito di rompere tradizioni o di effettuare cose sconvenienti, non avevano bisogno di armi, contro gli umani bastava il pensiero.
«Seguitemi—girandosi verso le famiglie.— Ho una proprietà, che non è più casa mia da anni, sarà vostra.»
Curandosi di ogni minima parola, di fronte a chi era rimasto, indicò una palazzina dai mattoni bianchi, come tutte le altre, dai giardini morti, le finestre chiuse, la porta nera, in legno che raffigurava dei draghi.
Nessuno poteva portare nella propria casa altri, questo lo avevo accennato, ma nessuno poteva impedire a qualcuno di ripudiare la propria casa, farla crollare, chiudere, bruciare e Fleur l'aveva fatta bruciare tante volte.
In più, gli umani non erano altri, erano una razza fra le tante inferiore, potevano essere anche semplici animali per molti immortali, nessuno si sarebbe opposto.
I due fratelli, non si fidavano affatto di quel demone dalle squame di drago, era pericoloso, lo sapevano bene, ma era l'unica possibilità.
Nessuno aveva avuto un patto vantaggioso con lui, ma la memoria degli umani è fragile, nessuno rimane come testimone, le generazioni sono così veloci, 100 anni sono come 3000.
La ragazza con il bambino fu la prima a seguirlo, si chiamava katherine, aveva meno di 17 anni, suo figlio meno di uno e ormai, avendo perso suo marito in battaglia, non le restava che la sua famiglia natia e quel patto per sperare in un futuro che non fosse peste, fiamme e terrore.
In qualche modo, quel demone aveva dato speranza a tutti, una fragile, ingenua speranza.
Pochi a quel punto erano rimasti, o per lo meno, pochi si sarebbero esposti ma tutti parlavano di lui, di loro anzi, di quanto fossero strani, tutti uguali, del perché fossero lì.
Clairine era fra queste voci, ma non se ne curava, stava cercando Oscar, quel ragazzo doveva smettere di sparire, chiese in giro; nessuno lo notava mai quindi non ebbe alcuna indicazione.
Conoscendolo, o almeno credendo di conoscerlo prese la strada per il bosco, salì le scale di marmo, superò la cascata che le bagnava perennemente, svoltò sotto l'archetto della grotta verde, chiamata così per le vene di roccia smeraldo che si vedevano sulle pareti, e subito dopo si ritrovò in altura.
C'era un piccolo spazio aperto, dava sulla città, una volta veniva usato per i combattimenti, ma nessuno lo usava più per quello. A terra un motivo circolare, un mandala di pietre nere incastonate su un pavimento di lastre bianche, parte del terreno rimaneva in aria, o veniva tenuto da alberi, contro ogni capacità della fisica.
Sulla sua destra tutta la città, sulla sua sinistra, l'inizio della foresta, che copriva il Monte esausto: per poi scendere abbracciare la città, il suo lago viola.
Clairine entrò nella foresta, non poteva sapere che Oscar era dall'altra parte, che egli aveva preso la strada Angolosa, per poi passare nei vicoli Nuovi, a testa in giù, fino alla parte sud.
Aveva costeggiato il lago, protetto dal silenzio e si era seduto lì, su uno dei massi galleggianti con i piedi in acqua.
Le acque erano abitate, tutte le acque di quel regno lo erano, alcuni immortali, facevano dei laghi la loro casa, il loro rifugio, alcuni non potevano vivere sulla terra ferma.
Appena egli tirò un sasso nelle acque tiepide gli fu restituito.
«Lucertola, allora sei vivo!»
Oscar evitò il sasso, che per poco non lo prese in pieno.
«Net, ma che fai..»
«Quello che hai appena fatto tu! Quante volte ti ho detto di non tirare cose in acqua?»
«Ma quando mai potrei prenderti in acqua.» in effetti, era molto difficile che potesse toccare qualcuno con un sasso, loro stavano sul fondo, in più si muovevano talmente veloci che non c'era possibilità.
«Ti sei liberato della caccia oggi? O hai ucciso Clairine.»
Il ragazzo nuotava lì intorno, aveva le gambe unite fra loro, che si chiudevano in una pinna, le mani palmate, la pelle di un viola striato per confondersi col fondale, gli occhi erano due rotondi pozzi neri, non aveva capelli, solo una cresta altrettanto viola, e le branchie sul collo, sarebbe potuto uscire dall'acqua solo con un potente incantesimo di metamorfosi, ma non ne aveva mai avuta l'intenzione. La sua voce fuori dall'acqua risultava echeggiante e strana, i due si erano conosciuti tanto tempo prima, quando a pochi anni di età oscar fu buttato nel lago da un gruppetto di ragazzi più grandi, non sapeva nuotare all'epoca come non sapeva nuotare granché neanche ora, fu quel Tritone a salvarlo, da allora si vedevano spesso sulle rive. I rapporti fra acqua e superficie erano poco cordiali, perché c'erano state molte diatribe sul pesce e soprattutto gli acquatici si ostinavano a mantenere tradizioni differenti e marcate, la discordia era arrivata al punto che in molti clan acquatici era vietato andare in superficie o parlare con qualcuno.
Per fortuna per Net, sua madre, visto che suo padre non lo conosceva, come era normale che fosse per quel mondo sotto la superficie; non era fra quelli che vietavano i contatti.
«Ho sfruttato una riunione in piazza, ho pensato fosse occupata e me la sono svignata.»
«Ah, vero, a proposito, tu sai che sta succedendo? Sono tutti in delirio qui sotto.»
Oscar scosse la testa.
«Non sai mai nulla! Mia madre ha ragione, staresti meglio in acqua a fare il corallo.»
«Per tua madre sono tutti inutili.»
Scherzò.
«In effetti.» incalzò Net, i due presero a ridere, Net diede una spinta al sasso di Oscar portandolo lontano dalla riva.
«Che fai, no, non di nuovo..»
Il ragazzo cercò di impedirlo, ma in meno di pochi secondi si ritrovò in acqua, zuppo fino ai capelli.
«Perché diavolo fai cosi! Vorrei vedere come corri sulla terra ferma!»
Il ragazzo rimaneva a galla, mentre Net gli nuotava intorno molto velocemente, rispondendo.
«Perché fai troppo ridere» ridendo.
In lontananza, altri due occhi scuri guardavano la scena.

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