La giornata iniziò con un ronzio fastidioso che costrinse Dragana a emergere dal mondo dei sogni. Aprì gli occhi a fatica, senza capire da dove provenisse la vibrazione costante, e si rese conto che non aveva disattivato la sveglia del telefono. Si alzò svogliata, trascinandosi verso il rumore per frugare tra le tasche dello zaino abbandonato sul pavimento, e spense la fonte del disturbo.
Aspettò che il silenzio tornasse sovrano e si abbandonò con la schiena alla struttura in legno del letto, sedendosi sulla pietra ghiacciata. Ogni nuovo giorno era un passo in più che compiva da sola: l'inizio era la parte più difficile, perché la mente ancora annebbiata dal sonno nascondeva ogni brutto ricordo. La prima settimana era stato insolito svegliarsi senza l'odore del caffè di suo padre e, quando realizzava che l'aroma tostato non avrebbe mai raggiunto la sua camera, si rifugiava di nuovo tra le coperte, decisa a non voler affrontare l'incubo in cui si era trasformata la sua vita. La dottoressa Mottin e Sara avevano impiegato diversi giorni per convincerla a lasciare la sua camera, e parlare con la psicologa le era stato di grande aiuto, ma le sensazioni di estraneità e solitudine non erano ancora riuscite ad abbandonarla del tutto. Non lo faranno mai, pensò mesta.
Poi, però, era andata un po' meglio. In quei momenti, con gli occhi ancora impastati di notte, si sentiva come quando riprendeva a disegnare dopo tanto tempo: all'inizio la mano pareva insicura, ma dopo i primi tratti, quando le dita iniziavano a scaldarsi e a ricordare come muoversi, tutto le sembrava parte di un meccanismo ormai assimilato. Allo stesso modo, le bastava sciacquarsi il viso, prendere un grande respiro e lasciare che il suo corpo conducesse per lei una vita che era ormai diventata abitudine.
Dragana si stiracchiò e decise di concedersi una visita al bagno prima di scendere al piano inferiore. Nel tragitto notò sul pavimento alcuni fazzoletti sporchi di sangue: il colore rosso non la allarmò, poiché fin da quando era piccola soffriva di epistassi notturna. Vista l'assenza di dolori o conseguenze fisiche, i dottori l'avevano sempre etichettato come un sintomo da stress, dal momento che accadeva soprattutto dopo qualche sogno troppo vivido o troppo spaventoso. Con il tempo aveva imparato a non darci peso, si puliva il naso e poi tornava a dormine come se nulla fosse successo, e lo stesso doveva essere accaduto durante la notte appena trascorsa.
Si lavò velocemente il viso e il suo sguardo cadde di sfuggita sull'ammasso di capelli biondo scuro che le contornava il volto, uno degli elementi che tanto avevano turbato le donne della famiglia. Era vero, nel suo aspetto non aveva preso nulla dal padre, né i gelidi occhi, né la chioma corvina. Eppure sua mamma le diceva sempre che riusciva a riconoscerla anche da lontano, perché il suo fisico longilineo e la camminata leggera erano caratteristiche che ritrovava anche nel marito. Afferrò una ciocca bionda, così corta che a stento le sfiorava le spalle. Un pensiero fulmineo si fece spazio tra i rimasugli dei sogni – una sensazione di rabbia e sconforto l'aveva accompagnata durante il sonno, anche se in quel momento non ricordava a cosa fosse dovuta –, ma si affrettò a rimetterlo al suo posto: non sarebbe cambiata per loro. Se un giorno avesse dovuto decidere di modificare il proprio aspetto, sarebbe stato solo e soltanto per se stessa. In più, sospettava che il nero sulla sua testa sarebbe sfigurato rispetto alla fulgida bellezza di Melissa e l'ultimo suo desiderio era dare un ulteriore motivo alla cugina per sentirsi superiore.
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La Mietitrice [completa]
ParanormalDragana si ritrova a dover affrontare la solitudine dopo la scomparsa prematura dei genitori e, a causa della minore età, è costretta a trasferirsi a millequattrocento chilometri da casa per essere affidata alla custodia dello zio. Abbandonare l'Ita...